Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9309 del 20/05/2020

Cassazione civile sez. lav., 20/05/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 20/05/2020), n.9309

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5089-2017 proposto da:

TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI GIUSEPPE

FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCO RAIMONDO

BOCCIA, ENZO MORRICO, ROBERTO ROMEI;

– ricorrente –

contro

P.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE

MILIZIE 34, presso lo studio dell’avvocato MARCO GUSTAVO PETROCELLI,

che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3719/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/09/2016, R.G.N. 1730/2013.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. il Tribunale di Roma aveva respinto l’opposizione proposta dalla s.p.a. Telecom Italia avverso il decreto ingiuntivo ottenuto da P.D. per la somma di Euro 4.295,15 a titolo di retribuzioni per il periodo da ottobre a novembre 2011, durante il quale la predetta non aveva percepito alcuna somma dalla s.p.a. ITS Servizi Marittimi e Satellitari, che l’aveva estromessa di fatto dalla società, in ottemperanza alla statuizione di illegittimità della cessione di ramo d’azienda avviata da Telecom Italia;

2. la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 8.9.2016, respingeva il gravame di Telecom Italia, osservando che la pronuncia del Tribunale di Roma n. 11569/2011 su cui si fondava il decreto ingiuntivo – sentenza di condanna al risarcimento del danno nella misura delle retribuzioni non percepite dalla data del 16.9.2006 e fino all’effettiva reintegrazione, detratto quanto percepito dalla stessa ricorrente alle dipendenze della ITS – era una pronuncia esecutiva; che, a prescindere dal rilievo che la detraibilità di qualunque altra somma a titolo di aliunde perceptum doveva essere fatta valere nel precedente giudizio, nessuna prova, neppure indiziaria o presuntiva, aveva fornito l’appellante su cui incombeva il relativo onere e che nulla poteva ritenersi provato quanto al dedotto aliunde percipiendum riferito al brevissimo lasso di tempo che si collocava nei due mesi immediatamente successivi alla estromissione dal posto di lavoro, dovendo Telecom tanto più farsi carico del suo ruolo di soggetto onerato della prova;

3. di tale decisione domanda la cassazione Telecom Italia s.p.a., affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, la P., che deposita memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. con il primo motivo, la ricorrente denunzia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., laddove la sentenza della Corte d’appello ha ritenuto corretta la riqualificazione – da retributiva a risarcitoria – della natura dell’azione promossa dalla P. che era stata operata dal Tribunale; assume che il secondo motivo di appello era quello con il quale era prospettata violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere il Tribunale trasmutato un’azione di adempimento in un’azione risarcitoria, omettendo di rigettare tale azione ed operando una modifica di fatto del titolo in base al quale la richiesta di ingiunzione era stata effettuata;

2. con il secondo motivo, la società lamenta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1206,1207,1217,1223,1256, 1453 e 1463 c.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che solo i proventi da attività lavorativa possano essere detratti a titolo di aliunde perceptum, sostenendo che la Corte d’appello abbia erroneamente ritenuto non detraibili le somme ricevute a titolo di indennità di disoccupazione, laddove le stesse rappresentavano comunque un vantaggio economicamente valutabile scaturito dal presunto illecito ed erano state riscosse dalla P. non avendo perso il proprio fondamento giustificativo, sicchè dovevano ritenersi definitivamente acquisite al patrimonio della lavoratrice e di esse non poteva tenersi conto in sede risarcitoria; rileva come una diversa soluzione consentirebbe al lavoratore di lucrare un vantaggio economico scaturito dall’illecito in violazione del principio della compensatio lucri cum damno;

3. il terzo motivo si incentra sulla dedotta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 210 c.p.c. nella parte in cui la Corte di appello non ha ritenuto di ammettere nei confronti della P. l’ordine di esibizione della dichiarazione dei redditi per l’anno 2011 richiesto dalla Telecom, nonchè degli artt. 1223 e 1227 c.c., nella parte in cui ha rigettato l’eccezione di aliunde perceptum;

4. il ricorso va deciso conformemente a quanto argomentato nella pronunzia di questa Corte (Cass. 18.9.2019 n. 23306), con riferimento ad un’ipotesi sovrapponibile nella parte rilevante, in relazione alla quale è stato ritenuto applicabile il principio della “ragione più liquida”, desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., secondo cui la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza necessità di esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 c.p.c. (Cass. n. 23306/2019 cit., con richiamo a Cass., s.u., 8 maggio 2014, n. 9936; Cass. 11 maggio 2018, n. 11458; Cass. 9 gennaio 2019, n. 363);

4.1. è stato ritenuto che occorresse, alla stregua di tali principi, avviare l’esame dal secondo motivo, che rendeva evidente l’assorbimento del primo, formulato negli stessi termini di quello relativo alla presente controversia;

4.2. tanto premesso, anche in tale sede l’esame prioritario, secondo la logica richiamata, del secondo motivo, conduce ad analoghe conclusioni, di reiezione dello stesso, dovendo osservarsi che la soluzione della questione prospettata risente della ricostruzione della fattispecie quale ben delineata da Cass. 29092/2019, che ha affermato il seguente principio di diritto: “In caso di cessione di ramo d’azienda, ove su domanda del lavoratore ceduto venga giudizialmente accertato che non ricorrono i presupposti di cui all’art. 2112 c.c., le retribuzioni in seguito corrisposte dal destinatario della cessione, che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente alla messa a disposizione di questi delle energie lavorative in favore dell’alienante, non producono un effetto estintivo, in tutto o in parte, dell’obbligazione retributiva gravante sul cedente che rifiuti, senza giustificazione, la controprestazione lavorativa”;

4.2. non si pone più un problema di compensatio lucri cum damno per ogni ipotesi di aliunde perceptum, una volta escluso che la richiesta di pagamento del lavoratore abbia titolo risarcitorio, su cui si fonda la detraibilità dell’aliunde perceptum (così Cass. 29092/2019 cit., nonchè, tra le altre, Cass. 21158/2019, Cass. 21160/2019, Cass. 3 luglio 2019 nn. 17786, 17784, cui si rinvia per la ricostruzione sistematica in termini giuridici della vicenda della cessione di ramo d’azienda ritenuta illegittima, dopo la decisione della Corte a sezioni unite 7.2.2018 n. 2990, e quella della Corte costituzionale n. 29 del 2019);

5. tali considerazioni rendono evidente l’assorbimento anche del terzo motivo, che, peraltro, si fonda su rilievi ampiamente disattesi in diritto da Cass. 26344/2018, che ha escluso la richiesta di attivazione dei poteri istruttori del giudice con finalità meramente esplorative;

6. in conclusione, il rigetto del secondo motivo rende superfluo l’esame degli altri due;

7. il ricorso va, pertanto, complessivamente respinto;

8. le spese del presente giudizio di legittimità vanno compensate tra le parti, per la intervenuta rivisitazione dell’indirizzo giurisprudenziale sulla questione in periodo contiguo al deposito del presente ricorso;

9. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del citato D.P.R., art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2020

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