Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9307 del 20/05/2020

Cassazione civile sez. lav., 20/05/2020, (ud. 09/01/2020, dep. 20/05/2020), n.9307

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26031-2014 proposto da:

P.L., P.R., P.E., tutti nella

qualità di eredi di M.A.P., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CRESCENZIO 20, presso lo studio

dell’avvocato SALVINO GRECO, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati SERGIO

PREDEN, LUIGI CALIULO, ANTONELLA PATTERI, LIDIA CARCAVALLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2841/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 30/04/2014 R.G.N. 6433/2011.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 2841/2014, dichiarava l’improcedibilità dell’appello proposto da P.L. e dagli altri eredi di M.A. avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Roma aveva respinto la domanda di riconoscimento del diritto alla corresponsione del 60% della pensione diretta cat. VOS della loro dante causa.

1.1. Osservava la Corte di appello quanto segue:

a) è improcedibile l’appello, seppure tempestivamente proposto, ove non sia avvenuta la notificazione del ricorso depositato e del decreto di fissazione dell’udienza, non essendo consentito al giudice di assegnare all’appellante un termine perentorio per provvedere alla notifica, ai sensi degli artt. 291 e 421 c.p.c.; tale situazione ricorre non solo quando la notifica è stata omessa del tutto, ma anche quando non sia avvenuta in tempo utile per permettere la difesa di parte appellata e lo svolgimento della discussione della causa; tale effetto ricorre anche in caso di inosservanza del termine di cui all’art. 435 c.p.c., comma 3; tale ipotesi non consente la concessione di un termine, che sarebbe in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo;

b) pur tenuto conto del carattere assorbente di tali rilievi, va comunque considerato che alla prima udienza del 5 aprile 2013, la Corte, ancorchè erroneamente, ebbe a concedere alla parte appellante, su richiesta) suo procuratore, un termine (necessariamente perentorio) per rinnovare la notifica, in quanto effettuata senza il rispetto dei termini di comparizione; l’appellante non ha provveduto a tale adempimento, non avendo prodotto alcun atto notificato; difatti, l’INPS si costituì il 30 dicembre 2013 eccependo la nullità del ricorso notificato il 27 marzo 2013.

2. Per la cassazione di tale sentenza gli originari ricorrenti hanno proposto ricorso affidato ad un motivo, seguito da memoria ex art. 380-bis c.p.c..

3. Ha resistito l’INPS con controricorso evidenziando che il termine concesso agli appellanti per la nuova notifica, ai sensi dell’art. 291 c.p.c., ha natura di termine perentorio e la mancata osservanza dello stesso determina l’improcedibilità dell’appello, restando dunque irrilevante che dopo la scadenza del termine l’Istituto si fosse costituito in giudizio.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con unico motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 435 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per avere la Corte di appello erroneamente applicato i principi enunciati dalle Sezioni Unite della S.C. con la sentenza n. 20604/2008 anche all’ipotesi di tardiva notifica del ricorso e del decreto, laddove l’effetto dell’improcedibilità era stato affermato per la sola ipotesi di omessa notifica e non anche per la tardiva notifica dell’appello stesso. Del pari la sentenza della Corte Costituzionale n. 60 del 2010, menzionata nella sentenza impugnata, nel fare riferimento all’improcedibilità dell’appello anche nell’ipotesi di inosservanza del termine di cui all’art. 435 c.p.c., comma 3, aveva fatto espresso riferimento all’ipotesi dell’omessa notifica. Nell’ipotesi di notifica tardiva il diritto di difesa è preservato con la concessione di un termine congruo per la costituzione del convenuto.

Va dunque cassata la prima parte sentenza, laddove la Corte territoriale ha ritenuto che fosse errata l’ordinanza con la quale la stessa Corte ebbe a concedere un termine per il rinnovo della notifica ai sensi dell’art. 291 c.p.c..

Del pari errata è la seconda statuizione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui l’appello sarebbe comunque improcedibile per non avere l’appellante ottemperato all’ordine di rinnovo della notifica dell’appello: l’Inps si era costituito per effetto della prima notifica, con ciò sanando ogni difetto della notificazione stessa e rendendo inutile e ininfluente il rinnovo della medesima.

2. E’ fondata la censura mossa alla prima ratio decidendi, mentre è infondato il ricorso mosso alla seconda ratio decidendi, che da sola è idonea a sorreggere il decisum.

3. Quanto alla prima proposizione della sentenza impugnata, è fondato il rilievo mosso dalla parte ricorrente, in quanto nel rito del lavoro, all’inosservanza del termine a comparire ex art. 435, comma 3, c.p.c., consegue non già l’improcedibilità dell’appello, bensì la nullità della notificazione suscettibile, perciò, di essere rinnovata, previa fissazione di una successiva udienza e concessione di un nuovo termine per la notifica, sebbene la stessa sia stata eseguita in un termine ab initio insufficiente (ex plurimis, da ultimo, Cass. n. 12691 del 2019, che ha cassato con rinvio la decisione di merito che, in presenza di una notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza eseguita senza osservare il termine a comparire di cui all’art. 435 c.p.c., comma 3, aveva dichiarato l’improcedibilità dell’appello, ritenendo ostativo alla concessione di un nuovo termine per la notifica il principio di ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost.; v. pure Cass. 9735 del 2018).

4. E’ invece infondata l’impugnazione della seconda ratio decidendi.

5. Va premesso che la violazione del termine di cui all’art. 435 c.p.c., comma 3, configura un vizio che produce la nullità della notificazione, e ne impone la rinnovazione, solo in difetto di costituzione dell’appellato e che il vizio resta invece sanato da detta costituzione, ancorchè effettuata al solo scopo di far valere la nullità, salva la possibilità per l’appellato di chiedere, all’atto della costituzione, un rinvio dell’udienza per usufruire dell’intero periodo previsto dalla legge ai fini di un’adeguata difesa (Cass. n. 9735/2018 cit. v. pure Cass. n. 22166 del 2018).

5.1. Nel caso in esame, l’INPS non si costituì alla prima udienza di discussione (5.4.13), di talchè, non essendo stato sanato il vizio della nullità della originaria notifica per mancato rispetto del termine a comparire di cui all’art. 435 c.p.c., comma 3, la Corte di appello correttamente concesse alla parte appellante – che ne aveva fatto richiesta – un nuovo termine per il rinnovo della notifica dell’atto di appello ex art. 291 c.p.c..

6. Orbene, il nuovo termine concesso ex art. 291 c.p.c. è necessariamente perentorio, di talchè la sua infruttuosa scadenza produce l’improcedibilità dell’appello, restando irrilevante la successiva costituzione di parte appellata (cfr. Cass. n. 8125 del 2013). Si è osservato infatti con la citata sentenza n. 8125 del 2013, in un’ipotesi di tardiva notifica a seguito della rinnovazione ordinata ex art. 291 c.p.c., che, “…ove venisse riconosciuta funzione di sanatoria della violazione del termine alla costituzione nel giudizio di appello del soggetto destinatario della tardiva notifica, verrebbe alterata la funzione del carattere perentorio del termine (e della decadenza dal compimento dell’atto comminata dall’art. 152 c.p.c.) e verrebbe frustrato lo schema delle decadenze disegnato dal codice di rito. Dato che la disciplina dei termini processuali risponde ad esigenze di ordine pubblico attinenti al funzionamento del processo” (Cass. sent. cit., in motivazione).

7. In conclusione, la sentenza è conforme a diritto laddove, dopo avere rilevato che era rimasta non ottemperata l’ordinanza di rinnovo della notifica ex art. 291 c.p.c., ha ritenuto che la infruttuosa scadenza del termine (perentorio) non fosse suscettibile di sanatoria.

7.1. Per completezza, va rilevato che parte ricorrente, che ne aveva l’onere, non ha neppure allegato nè tanto meno dimostrato l’eventuale anteriorità della costituzione dell’INPS rispetto alla scadenza del termine perentorio.

8. Per tali assorbenti motivi, il ricorso va rigettato. Poichè non risultano dimostrati i presupposti processuali di cui all’art. 152 disp. att. c.p.c., consegue la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate – sulla base della fascia di valore della causa – nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2.

9. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (nella specie, il rigetto del ricorso) per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 1.800,00 per compensi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 9 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2020

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