Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9307 del 08/05/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 9307 Anno 2015
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: D’AMICO PAOLO

SENTENZA
sul ricorso 21938-2011 proposto da:

D’APICE

FRANCESCHINO

detto

FRANCESCO

DPCFNC28P16L447X, il quale sta in giudizio di persona
‘ ex art. 86 c.p.c., elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA S.GIROLAMO EMILIANI 19 presso il suo studio
legale, rappresentato e difeso da sé medesimo;
– ricorrente –

2015

contro

90

SABETTI

LUCIANA,

SABETTI

PATRIZIA,

SABETTI

ALESSANDRO, SABETTI MARCELLO, SABETTI LEANDRO;
– intimati –

1

Data pubblicazione: 08/05/2015

avverso la sentenza n.

4345/2010 della CORTE

D’APPELLO di ROMA, depositata il 26/10/2010 R.G.N.
4290/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/01/2015 dal Consigliere Dott. PAOLO

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per il
rigetto del ricorso;

2

D’AMICO;

Svolgimento del processo
Francesco D’Apice convenne in giudizio

dinanzi al

Tribunale di Roma la R.A.S. – Romana Ascensori Sabetti
chiedendone la condanna al risarcimento del danno da
inadempimento alla prestazione d’opera consistente nella

La convenuta si costituì chiedendo il rigetto della
domanda della quale sosteneva l’infondatezza e proponendo
domanda riconvenzionale avente ad oggetto il pagamento del
prezzo.
Con sentenza n. 1502/2004 del 16 gennaio 2004 il giudice,
rilevata l’estinzione del rapporto azionato per intervenuta
transazione novativa e la tardività della spiegata
riconvenzionale, rigettò le pretese condannando parte attrice a
pagare alla convenuta i 2/3 delle spese di lite.
Avverso detta pronuncia propose appello Francesco D’Apice.
Si costituì la Romana Ascensori Sabetti sostenendo che
prive di pregio risultavano le doglianze dell’appellante e
proponendo appello incidentale riguardo alla pronuncia sulle
spese giudiziali.
Nel corso del giudizio di secondo grado si costituirono
Luciana, Patrizia, Alessandro, Marcello e Leandro Sabetti, in
proprio e quali eredi di Umberto Sabetti, titolare della Romana
Ascensori

Sabetti, che rappresentaróno essere intervenuto il

decesso di quest’ultimo e manifestarono la volontà di

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installazione di un ascensore.

proseguire nella lite riportandosi alle difese, eccezioni e
conclusioni svolte nell’interesse dello stesso.
La Corte d’appello di Roma, definitivamente pronunciando
sull’appello proposto da Francesco D’Apice nei confronti di
Luciana Sabetti, Patrizia Sabetti, Alessandro Sabetti, Marcello

Sabetti, titolare della Romana Ascensori Sabetti, ha rigettato
l’appello principale e l’appello incidentale compensando
integralmente fra le parti le spese del grado.
Propone ricorso per cassazione Franceschino D’Apice detto
Francesco, con tre motivi assistiti da memoria.
Gli intimati non svolgono attività difensiva.
Motivi della decisione

Con il primo motivo parte ricorrente denuncia «violazione
e/o falsa applicazione degli artt. 1965 e 1976 in relazione
all’art. 360 n. 3 c.p.c. nonché omessa, insufficiente e/o
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.»
Espone parte ricorrente che, a fronte dell’inadempimento
della R.A.S. di provvedere a mettere in funzione l’impianto di
ascensore, oggetto del contratto di fornitura del 25 novembre
1995, aveva promosso il presente giudizio onde ottenere il
risarcimento dei danni per il ritardo, commisurandolo al
residuo prezzo preteso dalla ditta fornitrice con fattura n. 7
del 16 marzo 2000.

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Sabetti e Leandro Sabetti, in proprio e quali eredi di Umberto

A suo avviso del tutto erroneamente il giudice a

quo ha

individuato nella scrittura privata del 24 giugno 2000 una
transazione novativa, pur in assenza di una

res dubia

fra le

parti e di reciproche concessioni in ordine ad essa.
L’affermazione che si legge in sentenza, prosegue il

aveva dato vita a obbligazioni oggettivamente diverse rispetto
a quelle preesistenti, dovendosi ravvisare nella fissazione di
un nuovo prezzo e di un nuovo termine di . adempimento, con
accordo per l’estinzione

della

lite pendente, non trova

adeguata e sufficiente motivazione con riferimento ai diversi
rilievi contenuti nelle censure mosse in appello.
Il motivo è inammissibile.
Deve essere qualificata novativa la transazione che
determina l’estinzione del precedente rapporto e ad esso si
sostituisce integralmente, di modo che si verifichi una
situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto
preesistente e quello dell’accordo transattivo, con la
conseguente

insorgenza

dall’atto

di

un’obbligazione

oggettivamente diversa dalla precedente. qualificabile,
invece, come transazione semplice o conservativa l’accordo con
il quale le parti si limitano ad apportare modifiche solo
quantitative ad una situazione già in atto e a regolare il
preesistente rapporto mediante reciproche concessioni,
consistenti (anche) in una bilaterale e congrua riduzione delle

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ricorrente, secondo la quale la scrittura del 24 giugno 2000

opposte pretese in modo da realizzare un regolamento di
interessi sulla base di un

quid medium tra le prospettazioni

iniziali. Il relativo accertamento, circa la ricorrenza
dell’una o dell’altra ipotesi di transazione, integrando un
apprezzamento di fatto, è come tale riservato al giudice del

congruamente motivato (Cass., 14 giugno 2006, n. 13717).
Non sussiste pertanto nessuna violazione di legge.
D’altra parte la sentenza impugnata motiva adeguatamente e
logicamente in relazione alla qualificazione giuridica del
contratto di transazione e, non essendo stato trascritto dal
ricorrente né allegato il contratto in oggetto, né
identificandosi specificamente la sede processuale nel quale
rinvenirlo, il motivo difetta del requisito di autosufficienza.
E comunque tutte le questioni esposte dal ricorrente si
dirigono contro una motivazione di merito, sul fatto che fosse
una transazione novativa, insindacabile in sede di legittimità.
Con il secondo motivo si denuncia «violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 92, 2 c.p.c. in relazione all’art. 360
n. 3 c.p.c. nonché omessa, insufficiente e/o contraddittoria
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.»
Il giudice di primo grado aveva rigettato entrambe le
domande, quella attrice perché fondata su titolo ritenuto
novato e quella riconvenzionale perché tardivamente proposta.

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merito ed è incensurabile in sede di legittimità, se

Ritiene il ricorrente che, essendovi stata fra le parti
una “perfetta” soccombenza reciproca, in applicazione dell’art.
92, 2 ° comma, il giudice di primo grado avrebbe dovuto
compensare integralmente le spese fra le parti.
L’impugnazione sul punto è stata invece respinta sul
presupposto del diverso valore economico delle domande
rigettate.
Il motivo è infondato.
La nozione di soccombenza reciproca, che consente la
compensazione parziale o totale tra le parti delle spese
processuali (art. 92, secondo comma, cod. proc. civ.), sottende
– anche in relazione al principio di causalità – una pluralità
di domande contrapposte, accolte o rigettate e che si siano
trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti
ovvero anche raccoglimento parziale dell’unica domanda
proposta, allorché essa sia stata articolata in più capi e ne
siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri ovvero
quando la parzialità dell’accoglimento sia meramente
quantitativa e riguardi una domanda articolata in un unico capo
(Cass., 21 ottobre 2009, n. 22381).
In tema

di

regolamento delle spese processuali, il

sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che
non risulti violato il principio secondo il quale le spese non
possono essere poste a carico della parte vittoriosa. Pertanto,
esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del

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giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare
in tutto o in parte le spese di lite e ciò sia nell’ipotesi di
soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di contrasto con altri
giusti motivi.
Nel caso in esame la sentenza impugnata ha congruamente

diverso valore delle reciproche pretese.
Con il terzo motivo si denuncia «violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n.
4 c.p.c.»
Sostiene parte ricorrente che l’impugnazione mossa in
grado di appello in ordine alle spese di lite aveva poi
riguardato, oltre il profilo della loro regolamentazione, anche
quello della determinazione, non condividendosene la
liquidazione fatta nella sentenza impugnata in E 300,00 per
spese, e 1.000,00 per competenze ed E 1.700,00 per onorari. Non
potendosi interpretare il silenzio del giudice di merito alle
su riferite censure in termini di rigetto implicito, consegue
che la mancata statuizione sul punto equivalga ad omessa
pronuncia.
Il motivo è inammissibile in quanto difetta del requisito
dell’autosufficienza in riferimento alla dedotta proposizione
della doglianza specifica e della relativa allegazione della
distinta nota. In altri termini il ricorrente non espone in che
termini la doglianza era stata formulata nei motivi d’appello.

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motivato in riferimento ai giusti motivi, in considerazione del

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Roma, 14 gennaio 2015

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