Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9307 del 07/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 07/04/2021, (ud. 07/10/2020, dep. 07/04/2021), n.9307

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29148/2014 proposto da:

TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L. G. FARAVELLI 22,

presso lo studio degli avvocati ENZO MORRICO, ARTURO MARESCA,

ROBERTO ROMEI, FRANCO RAIMONDO BOCCIA, che la rappresentano e

difendono;

– ricorrente –

contro

F.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA POMPEO MAGNO,

23/A, presso lo studio dell’avvocato GUIDO ROSSI, che lo rappresenta

e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4682/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/06/2014; r.g.n. 10364/2011.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/10/2020 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato BARBARA SANTORO, per delega verbale Avvocato ARTURO

MARESCA;

udito l’Avvocato GUIDO ROSSI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso al Tribunale di Roma F.S., esponeva di essere dipendente della S.p.A. Telecom Italia quale addetto alla funzione Directory Assistance e di essere stato illegittimamente collocato in solidarietà con riduzione dell’orario di lavoro e dalla retribuzione come da atto in data 21 luglio 2009; sulla scorta di tali premesse chiedeva dichiararsi l’invalidità del suddetto contratto e comunque l’illegittimità del provvedimento che aveva ridotto l’orario di lavoro, con conseguente condanna di Telecom Italia s.p.a. a reintegrarlo nel proprio orario di lavoro contrattuale e a corrispondergli la parte di retribuzione contrattuale da lui non percepita per effetto dell’anzidetta riduzione a far tempo dalla costituzione in mora risalente al 9 novembre 2009. Il ricorrente formulava altresì istanza di condanna della società al risarcimento del danno alla professionalità subito nella misura del 50% della retribuzione globale di fatto dovuta dal settembre 2009.

L’adito giudice, in parziale accoglimento della domanda, dichiarava che il ricorrente era stato illegittimamente collocato in solidarietà con riduzione dell’orario di lavoro e della retribuzione in virtù di provvedimento datato 21 luglio 2009 e condannava la società convenuta a reintegrare l’attore nel proprio orario di lavoro contrattuale e a corrispondergli la parte retribuzione da lui non percepita per effetto dell’anzidetta riduzione a decorrere dal 9 novembre 2009, compensate le spese di lite.

Avverso la sentenza di primo grado proponeva appello Telecom Italia S.p.A. il cui gravame veniva tuttavia respinto dalla Corte distrettuale con sentenza resa pubblica in data 11 giugno 2014.

La cassazione di tale di tale pronuncia è domandata dalla società soccombente con ricorso articolato in due motivi successivamente illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c..

Resiste con controricorso la parte intimata che a propria volta ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione del D.L. n. 727 del 1984, art. 1, convertito in L. n. 863 del 1994, nonchè della L. n. 236 del 1993, art. 5, ed ancora della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 24.

Si deduce che il richiamato art. 1, prevede la concessione di un trattamento di integrazione salariale a favore dei dipendenti di imprese le quali abbiano stipulato contratti collettivi aziendali che stabiliscano una riduzione dell’orario di lavoro al fine di evitare, in tutto per parte la riduzione o la dichiarazione di esuberanza del personale anche attraverso un suo più razionale impiego.

Ai sensi della L. n. 236 del 1993, art. 5, l’ambito di applicazione del contratto di solidarietà era stato esteso anche alle imprese non rientranti nel campo di applicazione del D.L. n. 726 del 1984, art. 1, che, al fine di evitare o ridurre le eccedenze di personale nel corso della procedura di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 24, ovvero al fine di evitare licenziamenti plurimi individuali per giustificato motivo oggettivo, stipulano contratti di solidarietà, prevedendo che nei loro confronti venga corrisposto, per un periodo massimo di due anni, un contributo pari alla metà del monte retribuito da esse non dovuta a seguito della riduzione di orario.

Secondo la società ricorrente, in violazione di tali previsioni di legge, la Corte d’appello aveva considerato illegittimo il contratto di solidarietà difensivo oggetto del giudizio, in quanto convenuto nell’ambito di una procedura di mobilità avviata nel maggio 2009, quando era ancora efficace, sino al dicembre del 2010, una precedente procedura di mobilità avviata nel settembre del 2008 che interessava ambiti aziendali parzialmente coincidenti e che avrebbe trovato giustificazione nelle stesse esigenze.

Ad avviso della ricorrente il dettato normativo, contrariamente a quanto opinato dalla corte capitolina, affermava espressamente la possibilità di ricorrere alla solidarietà difensiva per evitare anche solo in parte di dover avviare procedure di mobilità di riduzione del personale e non sanciva alcuna incompatibilità tra ricorso alla solidarietà e quello ad altri di riduzione di personale, tra cui la mobilità. Nè alcuna previsione normativa sanciva un’incompatibilità tra l’avviamento di procedura di mobilità per ambiti aziendali parzialmente coincidenti.

La sentenza impugnata non aveva considerato come qualora sopraggiungessero nel corso del tempo particolari situazione di crisi aziendali – nella fattispecie puntualmente dedotte con riferimento alla funzione di Directory Assistance e non contestate, nonchè comunque documentalmente dimostrate- l’impresa abbia la facoltà di avviare procedure di mobilità in base alle vigenti disposizioni normative per poterle fronteggiare e tentare di preservare la continuità aziendale.

Non aveva quindi alcun rilievo il fatto che la procedura di mobilità volontaria del 2008 fosse ancora aperta al momento dell’introduzione della mobilità. Rilevava unicamente che all’inizio del 2009 la procedura di mobilità volontaria già avviata per l’intera azienda da circa un anno non consentiva di fronteggiare gli esuberi di personale che si presentavano, con notevole intensità, presso la funzione Directory Assistance a seguito dello specifico calo delle attività svolte dei servizi di cui questa si componeva.

Nè si poteva attendere la conclusione della precedente procedura di mobilità poichè altrimenti la crisi in atto avrebbe compromesso definitivamente l’attività produttiva di servizi ricompresi nella Directory Assistance.

2. Con il secondo motivo la ricorrente ex art. 360 c.p.c., n. 3, ha denunciato violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. e segg. nonchè lettura erronea e parziale degli accordi collettivi 19 settembre 2008 e 2009 da parte della Corte d’Appello, la quale avrebbe quindi ritenuto che le esigenze sottese alla solidarietà difensiva del 2009 per la funzione directory assistance fossero le medesime della mobilità avviata nel giugno 2008 per l’intera azienda.

3. Il ricorso, nei suoi articolati motivi che possono trattarsi congiuntamente per connessione, è fondato e va accolto.

Il tema del decidere investe lo strumento individuato dal legislatore per fronteggiare situazioni di eccedenza di personale, introdotto nel nostro ordinamento nel 1984, e denominato contratto di solidarietà. Si tratta di uno strumento volto a scongiurare una situazione di esuberanza di personale di carattere strutturale aziendale, stipulato allorchè un’impresa intenda procedere ad un licenziamento collettivo con l’obiettivo di evitare la riduzione di personale.

Attraverso questo istituto, originariamente disciplinato dal D.L. 30 ottobre 1984, n. 726, art. 1, convertito in L. 19 dicembre 1984, n. 863 e sul quale hanno successivamente inciso molteplici disposizioni (in particolare con le Leggi L. n. 236 del 1993 e L. n. 608 del 1996, si è prefigurata una ulteriore modalità di accesso all’intervento straordinario della CIG; esso infatti presuppone la stipulazione di un contratto collettivo aziendale con i sindacati comparativamente più rappresentativi (D.P.R. n. 218 del 2000, ex art. 7), nel quale venga stabilita una certa riduzione dell’orario di lavoro (L. n. 863 del 1984, art. 1, comma 1) giornaliero, settimanale o mensile (vedi L. n. 236 del 1993, art. 5, comma 1). Per rendere meno gravosa siffatta solidarietà fra lavoratori, è stato previsto l’intervento della CIG con corresponsione della integrazione salariale in favore degli operai ed impiagati coinvolti, in misura che è stata variata dai molteplici interventi legislativi che si sono sovrapposti nel tempo.

Nel suo impianto fondamentale rimasto inalterato, il contratto di solidarietà, configura un’ipotesi di intervento della cassa integrazione guadagni, entro il quale si colloca il necessario provvedimento ministeriale di ammissione alla integrazione salariale (vedi sul punto Cass. 28/11/2007 n. 24706, Cass. 30110/2015 n. 22255).

La novità della legge, e quindi il dato più rilevante, consiste nella introduzione, nell’ordinamento, di un nuovo tipo di intervento statale, mentre, così come formulata la disposizione, non vi sono elementi per ritenere che a quel contratto, da solo, e non seguito dall’intervento statale, venga conferito il potere di incidere in peius sui contratti individuali.

Inoltre è opinione pressochè generale in dottrina, che la legge, mentre ha assunto detto contratto come presupposto, lo abbia nello steso tempo – sia pure implicitamente – provvisto di una generale efficacia “normativa” nei confronti di tutti i rapporti individuali di lavoro, quanto meno di quelli che sono interessati alla riduzione di orario (e quindi sia ai lavoratori iscritti sia a quelli non iscritti alle associazioni sindacali stipulanti). Lo conferma non solo la scelta dell’agente negoziale “i sindacati aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale”, ma anche la considerazione che la riduzione di orario può efficacemente operare solo se generale, ossia se investe tutto il personale che nel contratto ne viene interessato.

La sentenza n. 24706/2007 sopra richiamata, ha poi soggiunto che il provvedimento di ammissione alla cassa, come interpretato dalla dottrina maggioritaria, non rappresenta un atto “dovuto” in presenza dell’accordo, ma presuppone un controllo di congruità rispetto alle finalità indicate dalle legge, e cioè che la riduzione dell’orario sia idonea ad evitare la dichiarazione di esuberanza del personale, di talchè l’intervento dovrebbe essere escluso in tutti quei casi in cui la manovra sull’orario non sia verosimilmente utile a ridurre, neppure in parte, la eccedenza di personale.

In tale prospettiva si è rimarcato come il contratto aziendale si iscriva all’interno di una fattispecie complessa comprensiva del contratto di solidarietà e del provvedimento ministeriale di ammissione all’integrazione salariale, provvedimento che assume natura di accertamento costitutivo della sussistenza delle condizioni per la stipula del contratto di solidarietà.

La temporanea modifica peggiorativa, in via collettiva, del contenuto dei rapporti individuali, sostenuta dal concorso finanziario dello Stato è stata, in definitiva, ritenuta come la via privilegiata di tutela degli interessi dei lavoratori.

Se corretto è l’approccio ermeneutico alla tematica qui scrutinata tracciato dai richiamati arresti di questa Corte, qui condivisi, deve ritenersi che la questione posta dalla Corte distrettuale a fondamento del decisum, e relativa alla illegittimità del contratto di solidarietà perchè intervenuto allorquando la pregressa procedura di mobilità che investiva anche la funzione Directory Assistance cui era addetto il lavoratore, non abbia valore dirimente; ciò che rileva nello specifico, è che la procedura di mobilità volontaria già avviata per l’intera azienda da circa un anno, non aveva consentito di fronteggiare gli esuberi di personale che si erano evidenziati successivamente, anche sub specie di aggravamenti della situazione di crisi pregressa, e che la serietà delle ragioni sottese alla adozione dell’accordo di solidarietà era stata oggetto di positivo scrutinio da parte della Amministrazione, consacrato dal provvedimento ministeriale di ammissione dei lavoratori alla integrazione salariale.

Diversamente opinando, secondo la tesi accreditata dalla Corte d’appello, si dovrebbe ritenere che qualora l’impresa avvii una procedura di mobilità volontaria di personale in un determinato arco temporale non potrebbe, nel perdurare dello stesso, fronteggiare alcuna criticità produttiva sopravvenuta inerente ad uno specifico settore anche qualora questa comprometta la continuità aziendale.

Siffatta opzione ermeneutica non è meritevole di condivisione perchè non si confronta con la ratio ispiratrice della legge che colloca il contratto collettivo di solidarietà nel quadro degli strumenti atti a fronteggiare situazioni di eccedenza di personale, evitando in tutto o in parte di addivenire ad una riduzione di personale.

In tale prospettiva deve ritenersi legittima la sottoscrizione dell’accordo di solidarietà di tipo difensivo al quale le parti hanno convenuto di ricorrere nel periodo 1/9/2009 – 31/8/2011, in ragione della sussistenza di quei mutamenti strutturali organizzativi, forieri di negativi riflessi sul piano occupazionale ed oggetto di vaglio da parte della Amministrazione in sede di emanazione del provvedimento di ammissione all’integrazione salariale.

L’espressa previsione legislativa della possibilità che la riduzione oraria realizzi un impedimento anche solo parziale di esuberi implica, dunque, per quanto sinora detto, il riconoscimento da parte del legislatore della possibilità che un contratto di solidarietà difensiva intervenga nel corso di una procedura di riduzione di personale, laddove, invece, è da ritenersi illegittima l’inversa situazione, in cui, nella vigenza del contratto di solidarietà c.d. difensivo, previsto dal D.L. n. 726 del 1984, art. 1, conv. con modif. in L. n. 863 del 1984, il datore di lavoro avvii una procedura di licenziamento collettivo.

Secondo i principi affermati nei precedenti arresti di questa Corte, nella vigenza di tale tipologia di contratti al datore di lavoro è precluso il licenziamento collettivo – che presuppone necessariamente la riduzione stabile dell’attività economica – proprio in ragione delle specifiche finalità cui è preordinata la stipula del contratto di solidarietà, in connessione al sacrificio richiesto ai lavoratori con la riduzione dell’orario lavorativo e quindi della retribuzione (vedi Cass. 26/09/2018 n. 23022, Cass. 15/12/2008 n. 29306, Cass. 23/1/1998 n. 637); ma per le considerazioni sinora esposte, è invece ammissibile l’ipotesi inversa.

Conclusivamente, il ricorso è meritevole di accoglimento, la sentenza va cassata e rinviata alla Corte distrettuale indicata in dispositivo che, disponendo anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità, si atterrà ai principi innanzi enunciati.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2021

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