Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9306 del 08/05/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 9306 Anno 2015
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: D’AMICO PAOLO

SENTENZA

sul ricorso 21666-2011 proposto da:
ALLEGRA

SERGIO

LGRSRG47M01C390L,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 106, presso
lo studio dell’avvocato FRANCESCO FALVO D’ORSO, che
lo rappresenta e difende giusta procura speciale a
margine del ricorso;
– ricorrente contro

DONNINI LUCIANO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA DEL FORTE TIRBURTINO 160, presso lo studio
dell’avvocato ANNUNZIATO SAMMARCO, che lo rappresenta

Data pubblicazione: 08/05/2015

e difende giusta procura speciale a margine del
controricorso;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 182/2011 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 18/01/2011;

udienza del 14/01/2015 dal Consigliere Dott. PAOLO
D’AMICO;
udito l’Avvocato FALVO D’URSO FRANCESCO;
udito l’Avvocato SAMMARCO ANNUNZIATO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per il
rigetto del ricorso;

2

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Svolgimento del processo

In accoglimento del ricorso proposto da Sergio Allegra
il 13 luglio 1995, il Presidente del Tribunale di Roma emise
decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di £ 500.558.000
nei confronti di Luciano Donnini, a titolo di prezzo di

Con atto di citazione in opposizione quest’ultimo
esponeva che con scrittura privata del 14 febbraio 1995 si
era effettivamente impegnato ad acquistare da Allegra n.
3.500 azioni, pari al 35% del capitale sociale della società
Finagri s.p.a., per un totale di £ 1.750.000.000 da versarsi
in più soluzioni.
Con coeva scrittura privata, premesso di essere venuto a
conoscenza che la citata società per azioni aveva intenzione
di deliberare l’aumento del capitale sociale di £
1.000.000.000 a £ 12.500.000.000, con la conseguente
trasformazione in banca, comunicò di essere disposto a
sottoscrivere n. 35.000 azioni e versò un acconto di £
600.000.000.
La “comunicazione” era sottoscritta per accettazione
dall’Allegra che nell’occasione aveva mostrato al Donnini un
prospetto informativo redatto su carta intestata alla
società, che esponeva un saldo attivo di £ 5.000.000.000.
Successivamente, rilevato che il deposito del bilancio
sociale relativo all’esercizio 1994 era avvenuto

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soltanto

azioni.

nel giugno 1996; che la Finagri non possedeva i requisiti
prescritti per l’esercizio dell’attività bancaria; che
esistevano iscrizioni pregiudizievoli in danno della società,
il Donnini comunicò per iscritto all’Allegra la sua volontà
di sospendere il pagamento della parte di prezzo pari

comunque dell’annullabilità dell’impegno assunto.
Sulla base di tale premessa il Donnini chiese il rigetto
della domanda, attesa l’annullabilità del contratto nel quale
confluivano le due indicate scritture private, deducendo
errore e dolo, la relativa risolubilità per inadempimento o
eccessiva onerosità, l’applicabilità del disposto dell’art.
1461 c.c. e, in riconvenzionale, condannarsi l’Allegra alla
restituzione della somma già versata di £ 99.442.000 e al
risarcimento del danno per lite temeraria.
Si costituì l’Allegra insistendo per l’accoglimento
della domanda e chiedendo la condanna al pagamento della
ulteriore somma di £ 1.150.000.000, quale residuo del prezzo
convenuto.
Il Tribunale, con sentenza n. 11349/2001 accolse la sola
domanda principale dell’Allegra limitandone l’importo alla
somma ingiunta e compensando le spese del giudizio.
La Corte d’appello adita dal Donnini confermò la
decisione con la sentenza n. 2910/2004, impugnata con ricorso
per cassazione dallo stesso Donnini con sei motivi.

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all’importo della somma ingiunta, a causa della nullità o

Resistette l’Allegra.
La Corte di cassazione, con sentenza n. 16663/2008 diede
atto che non vi era stata impugnazione in ordine alla
riconduzione della prima delle due scritture private al
paradigma del negozio di cessione delle azioni, il cui

consenso espresso dalle parti contraenti, come ricostruito
dalla Corte territoriale; rigettò l’istanza di ammissione
delle prove testimoniali per inammissibilità, attesa la sua
genericità e la mancata riproduzione nel ricorso dei capitoli
dedotti e la istanza di nomina di c.t.u. tendente ad
accertare l’effettivo valore del patrimonio della società al
momento della compravendita; accolse il terzo motivo del
ricorso con cui il Donnini lamentava che la Corte d’appello
aveva posto a suo carico l’onere della riconoscibilità del
ravvisato errore essenziale.
La causa fu riassunta davanti alla Corte d’appello di
Roma dal Donnini che ripropose la domanda.
Resistette l’Allegra.
La Corte d’appello di Roma, in accoglimento dell’appello
e in riforma della sentenza impugnata, ha annullato la
scrittura privata del 14 febbraio 1995 ed ha revocato il
decreto ingiuntivo opposto; ha condannato Sergio Allegra al
pagamento, in favore di Luciano Donnini, della somma di C
51.357,50, oltre accessori; ha compensato fra le parti le

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effetto traslativo si era perfezionato per effetto del

spese dei tre gradi del giudizio ed ha condannato Sergio
Allegra alla rifusione delle spese del giudizio d’appello in
favore di Luciano Donnini.
t

Propone ricorso per cassazione Sergio Allegra con tre
motivi.

Motivi della decisione

Con il primo motivo parte ricorrente denuncia
«violazione art. 360 c.p.c..»
Sostiene il ricorrente che la sentenza n. 2910/2004
della Corte d’appello era stata emessa dalla terza sezione
civile per cui è evidente che il successivo giudizio di
rinvio si sarebbe dovuto celebrare dinanzi ad altra sezione
della stessa Corte e non certo dinanzi alla suddetta sezione.
Il motivo è infondato.
Il principio dell’alterità del giudice di rinvio,
sancito dall’art. 383 c.p.c., è rispettato sia quando, dopo
la cassazione la causa venga rinviata ad altro ufficio
giudiziario, sia quando il rinvio avvenga allo stesso ufficio
in diversa composizione, ovvero ad altro giudice monocratico
2

dello stesso ufficio, purché non sussista identità personale
tra il giudice del rinvio e quello che pronunziò la sentenza
cassata. 2, pertanto, onere della parte che, ricorrendo per
cassazione avverso la sentenza pronunciata in sede di rinvio,
ne invochi la nullità per violazione dell’art. 383 c.p.c.,

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Resiste con controricorso Luciano Donnini.

allegare e provare che la pronuncia di rinvio sia stata
decisa dalle stesse persone fisiche che pronunciarono la
sentenza cassata con rinvio (Cass., 31 maggio 2012, n. 8723).
Nel caso in esame il rinvio disposto da questa Corte con
la sentenza n. 16663/2008 era rivolto «alla Corte d’appello

da quella che ebbe a pronunciare la sentenza cassata. Né
parte ricorrente ha allegato e provato che la pronuncia di
rinvio è stata decisa dalle stesse persone fisiche che
pronunciarono la sentenza cassata con rinvio.
Con il secondo motivo si denuncia «violazione art. 1439
c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c. e falsa applicazione
delle norme di diritto.»
Sostiene il ricorrente che questa Corte, nell’accogliere
il motivo di ricorso, aveva precisato che il giudice del
rinvio avrebbe dovuto:
a)

accertare la malafede dell’Allegra in base alle

circostanze dedotte in sede di merito;
b)

in caso affermativo, accertare se la condotta

dell’Allegra rientrasse nel paradigma dell’art. 1439 c.c.;
c) in caso affermativo accertare se avesse provocato nel
Donnini un errore essenziale per indurlo alla conclusione del
contratto.
Dall’indagine svolta dalla Corte d’appello non poteva
emergere, per il ricorrente, un suo comportamento doloso.

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di Roma in diversa composizione» e non ad una sezione diversa

Inoltre, sempre a suo avviso, la Corte d’appello viola le
norme di diritto in tema di interpretazione dei bilanci nel
momento in cui sostiene che è stato prodotto un documento
falso, confondendo lo stato patrimoniale di una società con
le voci attivo e passivo e non accenna minimamente ai bilanci

Il motivo è infondato.
Non sussiste infatti alcuna violazione dell’art. 1439
c.c. giacché la sentenza della Corte di cassazione aveva
demandato al giudice di rinvio un’indagine di mero fatto che
è stata correttamente svolta dal relativo giudice; né il
ricorrente ha avanzato alcuna doglianza motivazionale in
questa sede. E comunque secondo un costante orientamento di
questa Corte, la valutazione e la scelta, tra le varie
risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a
sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto
riservati al giudice di merito.
La decisione impugnata ha ricostruito la vicenda in
punto di fatto sulla base della mera produzione documentale,
ritenendo che la tardività del deposito dei bilanci del 1994
(avvenuta nel 1996), la qualità apparente dell’Allegra,
l’impossibilità di accesso ai dati contabili nel periodo
precedente il

closing per mancanza di legittimazione, non

essendo socio l’acquirente prima della firma del contratto,
il progetto di aumento del capitale e di trasformazione in

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depositati.

banca della società su carta a questa intestata, rendevano
difficoltoso ogni ulteriore accertamento per cui non può
essere ritenuto negligente chi ha subito tale frode, non
avendo potuto conoscere le citate circostanze usando la
normale diligenza; né è stata dedotta prova in ordine

Donnini.
La Corte d’appello, seguendo le direttive imposte dalla
sentenza della Cassazione n. 16663/2008, ha motivato
sull’esistenza del dolo; tale motivazione verte sul merito ed
è insindacabile in sede di legittimità, mentre la doglianza
del ricorrente tende comunque ad una diversa ricostruzione
del fatto a lui più favorevole.
Con il terzo motivo si denuncia «violazione artt. 1224
c.c. e 1284 c.c.»
Sostiene il ricorrente che altro errore dell’impugnata
sentenza è quello di aver mal calcolato la somma liquidata in
favore del Donnini. La Corte, in particolare, avrebbe dovuto
calcolare gli interessi previsti al tasso legale e non
calcolare gli indici di rendistato quale maggiore danno ex
art. 1224, coma 2 c.c. Infatti il Donnini non ha mai
dimostrato quale sarebbe stato il suo danno, atteso che lo
stesso all’epoca non ha fatto alcun ricorso al credito
bancario, né la somma sarebbe potuta essere utilizzata
nell’azienda, essendo egli un pensionato.

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all’effettiva conoscenza degli stessi dati da parte del

Ritiene ancora il ricorrente che il prospetto e il
calcolo degli interessi è errato perché questi ultimi
andavano calcolati dal 16 luglio 2008 e non dal 1995; inoltre
con la lettera del 16 giugno 1995 il Donnini non metteva in
mora l’Allegra per cui, mancando la messa in mora gli

avrebbe quindi dovuto constatare se vi fosse stata la messa
in mora e in che data e inoltre, mancando qualsiasi lettera
di interruzione della prescrizione, al massimo avrebbero
dovuto essere calcolati gli interessi degli ultimi 5 anni.
Il ricorrente ritiene comunque che il calcolo è errato.
Il motivo è infondato.
Si osserva che il giudice di rinvio ha correttamente
applicato le norme regolatrici sul risarcimento del maggior
danno, secondo le quali nel caso di ritardato adempimento di
una obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’art.
1224, secondo comma, c.c. può ritenersi esistente in via
presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio
medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza
non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio
degli interessi legali (Cass., Sez. un., 16 luglio 2008, n.
19499).
Ricorrendo tale ipotesi, il risarcimento del maggior
danno spetta a qualunque creditore, quale che ne sia la
qualità soggettiva o l’attività svolta.

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interessi non potevano decorrere da detta data. La Corte

Per quanto riguarda la censura relativa all’erroneità
del calcolo, si rileva che lo stesso andava denunciato con la
revocazione.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con
condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente
alle spese del giudizio di cassazione che liquida in E
7.200,00 di cui £ 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed
accessori di legge.
Roma, 14 gennaio 2015

cassazione che si liquidano come in dispositivo.

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