Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9306 del 03/04/2019

Cassazione civile sez. VI, 03/04/2019, (ud. 06/02/2019, dep. 03/04/2019), n.9306

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1134-2018 proposto da:

M.D., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

FRANCESCO GANCI;

– ricorrente –

contro

DUSSMANN SERVICE SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE TRE MADONNE 8,

presso lo studio dell’avvocato MARCO MARAZZA, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati FRANCESCO ROTONDI, ANGELO GABRIELE

QUARTO;

– contro ricorrente –

avverso la sentenza n. 581/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 29/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. DE FELICE

ALFONSINA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’Appello di Palermo, confermando la sentenza del Tribunale della stessa sede, ha rigettato il reclamo proposto ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 8, da M.D., operaio del settore pulizie presso la Società Dussmann Service s.r.l., volto a sentir dichiarare l’illegittimità del licenziamento intimatogli per superamento del periodo di comporto, per essersi lo stesso assentato dal lavoro per causa di malattia per 373 giorni nell’arco del triennio 2012-2015;

la Corte territoriale ha affermato che il datore non avesse violato i doveri di buona fede e correttezza contrattuale nell’aver mancato di avvisare il lavoratore della imminente scadenza del periodo di comporto per malattia, non ponendo a suo carico alcun obbligo od onere in tal senso la legge, nè una pattuizione collettiva o, come nel caso in esame, individuale; che il lavoratore non aveva fatto richiesta di aspettativa non retribuita della durata di quattro mesi, secondo quanto previsto dall’art. 51 del c.c.n.l. per il personale dipendente delle imprese di pulizia;

la decisione ha accertato poi la correttezza del computo del periodo di comporto da parte della Società, rilevando che: a) i giorni festivi o comunque non lavorativi compresi nell’arco temporale dell’assenza per malattia andavano computati nel periodo; b) non andavano ricompresi nel comporto i giorni di malattia ritenuti derivare da una presunta violazione delle norme di sicurezza da parte della Società, poichè le mansioni svolte dal reclamante (operaio addetto alle mansioni di pulizia ordinaria con l’ausilio di un carrello “porta detersivi”) non erano correlate a specifici rischi professionali, nè egli aveva mai inoltrato denuncia per l’accertamento della sussistenza di una malattia professionale a giustificazione delle assenze oltre il comporto, e non aveva provato in giudizio il nesso causale tra la patologia riscontrata (lombosciatalgia) ed eventuali inadempimenti da parte della Società; c) non aveva diritto al congedo parentale di sei mesi per la nascita della figlia non avendone fatto espressamente richiesta, nè potendo invocare l’esonero dall’obbligo del preavviso riservato al lavoratore che si trovi in una condizione di oggettiva impossibilità (D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 32, comma 3);

la Corte territoriale ha affermato che non poteva il reclamante dolersi che il primo giudice non si fosse pronunciato sull’eccezione relativa alla mancanza di un giustificato motivo di recesso, atteso che il licenziamento per superamento del periodo di comporto previsto dall’art. 2110 c.c., costituisce una fattispecie speciale, che prevale su quella del licenziamento individuale e subordina la legittimità del recesso alla sola condizione del superamento del dato temporale; che la Società aveva adempiuto all’obbligo di motivazione indicando nel dettagliato prospetto riepilogativo allegato alla lettera di risoluzione le singole giornate di assenza determinanti il superamento del periodo di comporto; che, da ultimo, nel caso del licenziamento per superamento del periodo di comporto la legge non pone in capo ai contraenti l’obbligo di esperire il tentativo di conciliazione;

la cassazione della sentenza è domandata da M.D. sulla base di nove motivi; la Dussmann Service s.r.l. resiste con tempestivo controricorso e deposita anche memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, parte ricorrente contesta “Nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1375 e 1175 c.c. – Violazione e/o falsa applicazione del principio dispositivo di cui all’art. 115 c.p.c.”; in difformità con le norme richiamate, la sentenza gravata avrebbe erroneamente ritenuto insussistente in capo al datore l’onere di avvisare il lavoratore dell’imminente scadenza del periodo di comporto per permettergli di attivare altre forme di tutela della conservazione del proprio posto di lavoro;

col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deduce ” Violazione art. 51 c.c.n.l. di categoria – Violazione del principio dispositivo di cui all’art. 115 c.p.c. – Erronea valutazione delle risultanze istruttorie con violazione dell’art. 116 c.p.c.”; l’art. 51 del c.c.n.l. per il personale delle imprese di pulizia non indica le modalità della richiesta dell’aspettativa, di tal che il lavoratore avrebbe potuto avanzare tale richiesta per fatta concludentia, non mutando il titolo dell’assenza, dovuta sempre alla malattia, ma trasformandosi il congedo da retribuito a non retribuito; tale interpretazione sarebbe quella maggiormente coerente con la ratio dell’art. 2110 c.c., che mira a tutelare la conservazione del posto di lavoro;

il terzo motivo, formulato sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contesta ” Erronea e/o falsa applicazione degli artt. 42 e 43 del c.c.n.l. di categoria”; la critica è formulata con riferimento alla statuizione della sentenza impugnata che ha ritenuto computabili i giorni di ferie e le festività nel periodo di comporto;

col quarto motivo, formulato ancora ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si contesta “Violazione e falsa applicazione art. 2087 c.c. e D.Lgs. n. 1 del 2008, per come richiamati dall’art. 64 del c.c.n.l. di categoria”; la sentenza gravata avrebbe erroneamente computato nel periodo di comporto periodi di malattia derivanti da

inadempimento delle norme in tema di sicurezza; nella specie la Società avrebbe omesso di sottoporre il lavoratore alle visite annuali di controllo per verificarne l’idoneità al servizio, le quali avrebbero messo in luce che lo stesso aveva contratto una lombosciatalgia a causa dei ripetuti sforzi fisici dovuti allo svolgimento delle mansioni di addetto al servizio di pulizie;

il quinto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamenta “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 51 del 2001, art. 32, comma 3 e dell’art. 52 del c.c.n.l. di categoria”; la sentenza avrebbe erroneamente escluso il diritto del ricorrente a usufruire del congedo parentale per la nascita della figlia, di cui la Società avrebbe avuto conoscenza a seguito della trasmissione da parte del lavoratore del nuovo stato di famiglia ai fini dell’erogazione da parte dell’Inps dell’assegno per il nucleo familiare; la sentenza avrebbe omesso di motivare in merito alle ragioni per cui la malattia del M. non sia da ricondurre ai casi di oggettiva impossibilità per i quali l’autonomia collettiva esonera il lavoratore dal formulare la richiesta di congedo parentale;

il sesto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deduce “Violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, artt. 3 e 5 – Erronea valutazione delle risultanze probatorie circa la sussistenza del giustificato motivo di licenziamento – Violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 51 c.c.n.l. di categoria”; critica la sentenza per aver ritenuto risolto il rapporto in virtù del solo superamento del termine massimo di comporto, senza ritenere necessaria la prova dell’esistenza di un giustificato motivo oggettivo, nè dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione, nè dell’impossibilità di adibire il lavoratore, inquadrato nel secondo livello contrattuale, a mansioni diverse da quelle svolte;

il settimo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamenta “Violazione e/o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 7, come riformato dalla L. n. 92 del 2012”; riporta il testo della L. n. 604 del 1966, art. 7 “nuovo”, criticando la sentenza per non aver ritenuto l’obbligatorietà del previo esperimento del tentativo di conciliazione;

con l’ottavo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contesta “Violazione e/o falsa applicazione art. 18 dello statuto dei lavoratori”;

il ricorrente invoca la tutela reale per l’illegittimità del licenziamento, e il pagamento dell’indennità risarcitoria nella misura massima di dodici mensilità della retribuzione globale di fatto, ritenuta l’insussistenza della contestazione del superamento del periodo di comporto;

con nono e ultimo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contesta “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.”; afferma che, data la evidente soccombenza totale nel giudizio de quo, la Società avrebbe dovuto essere condannata a pagare le spese dei due gradi di merito;

il primo motivo è infondato;

la sentenza è conforme al consolidato orientamento di questa Corte secondo cui non sussiste in capo al datore di lavoro un autonomo dovere datoriale di preavvertire il lavoratore circa la scadenza del periodo di comporto per malattia (ex multis cfr. Cass. n. 20761 del 2018 e n. 3645 del 2016);

il secondo e il terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono improcedibili, atteso che parte ricorrente omette di produrre il contratto collettivo sulla base del quale fonda le sue doglianze;

secondo il costante orientamento di questa Corte “Nel giudizio di cassazione, l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi – imposto, a pena di improcedibilità del ricorso, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella formulazione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – può dirsi soddisfatto solo con A la produzione del testo integrale del contratto collettivo, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto dall’art. 1363 c.c.; nè, a tal fine, può considerarsi sufficiente il mero richiamo, in calce al ricorso, all’intero fascicolo di parte del giudizio di merito, ove manchi una puntuale indicazione del documento nell’elenco degli atti” (cfr. per tutti Cass. n. 4350 del 2015; anche Cass. n. 15580 del 2018);

il quarto motivo è inammissibile, poichè la censura appare rivolta ad ottenere un riesame del merito, inibito in sede di legittimità; secondo il costante orientamento di questa Corte, infatti, non è sufficiente che il ricorrente per cassazione faccia esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma lo stesso è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali (ex multis Cass. n. 27136 del 2017; n. 9054 del 2013; n. 17168 del 2012);

il quinto motivo non merita accoglimento, presentando sia il profilo d’improcedibilità rilevato in relazione al secondo e al terzo motivo, sia il profilo di inammissibilità rilevato in relazione al quarto profilo;

il sesto motivo è infondato, atteso che la sentenza gravata ha dato corretta attuazione ai principi affermati dal consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui la fattispecie del licenziamento per superamento del periodo di comporto in caso di malattia costituisce un’ipotesi tipizzata di giustificato motivo di licenziamento, di tal che, le regole dettate dall’art. 2110 c.c., prevalgono, in quanto speciali sia sulla disciplina dei licenziamenti individuali che su quella degli artt. 1256 e 1463 e 1464 c.c. e si sostanziano nell’impedire al datore di lavoro di porre fine unilateralmente al rapporto sino al superamento del limite di tollerabilità dell’assenza (cosiddetto comporto) predeterminato dalla legge, dalle parti o, in via equitativa, dal giudice, nonchè nel considerare quel superamento unica condizione di legittimità del recesso; le stesse regole hanno quindi la funzione di contemperare gli interessi confliggenti del datore di lavoro (a mantenere alle proprie dipendenze solo chi lavora e produce) e del lavoratore (a disporre di un congruo periodo di tempo per curarsi senza perdere i mezzi di sostentamento e l’occupazione), riversando sull’imprenditore, in parte ed entro un determinato tempo, il rischio della malattia del dipendente; da ciò deriva che il superamento del periodo di comporto è condizione sufficiente a legittimare il recesso, e pertanto non è necessaria, nel caso, la prova del giustificato motivo oggettivo nè dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa nè quella della correlativa impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse (cfr. per tutte Cass. n. 1404 del 2012);

il settimo motivo è altresì infondato;

la Corte territoriale, seguendo l’orientamento di questa Corte, ha dato compiuta attuazione al disposto legislativo contenuto nel D.L. n. 76 del 2013, art. 7, comma 4, convertito con modificazioni dalla L. n. 99 del 2013, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame; la norma da ultimo richiamata, che ha modificato della L. n. 604 del 1966, art. 7, così come sostituito dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 40, ha inequivoca natura interpretativa, e stabilisce che la procedura di conciliazione obbligatoria non trova applicazione in caso di licenziamento per superamento di periodo di comporto di cui all’art. 2110 c.c., escludendo, perciò, in radice la causa di illegittimità del licenziamento così come prospettata dall’odierno ricorrente (Cass. n. 20106 del 2014);

l’ottavo e il nono motivo di ricorso rimangono assorbiti;

in definitiva, non essendo i motivi meritevoli di accoglimento, il ricorso va rigettato; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500 per compensi professionali, Euro 200 per esborsi, oltre spese generali al 15 per cento ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 6 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2019

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