Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9305 del 11/04/2017

Cassazione civile, sez. lav., 11/04/2017, (ud. 02/02/2017, dep.11/04/2017),  n. 9305

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28045/2014 proposto da:

G.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

NAPOLI, VIA GUANTAI NUOVI 11, presso lo studio dell’avvocato GIACOMO

MUNGIELLO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIANFRANCO ANGELI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

ENEL SERVIZIO ELETTRICO, S.P.A. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

GIULIO CESARE 21/23, presso lo studio dell’avvocato CARLO BOURSIER

NIUTTA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

SALVATORE MEROLA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5513/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 12/05/2014 R.G.N. 5513/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/02/2017 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato GIANFRANCO ANGELI;

udito l’Avvocato ANTONIO ARMENTANO per delega verbale Avvocato CARLO

BOURSIER NIUTTA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 12 maggio 2014, la Corte d’Appello di Napoli, confermava la decisione resa dal Tribunale di Napoli e rigettava la domanda proposta da G.A. nei confronti di ENEL Servizio Elettrico S.p.A., avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli a seguito di contestazione disciplinare elevata per essere stato egli raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari, fondata sull’imputazione di concorso in furto di energia elettrica mediante intervento sulle schede elettriche dei contatori, in relazione al ruolo di mediatore fra i privati interessati all’illecito ed i tecnici della Società che vi provvedevano, emerso in particolare da alcune intercettazioni telefoniche.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto giustificata la mancata audizione a difesa del ricorrente, tempestiva la contestazione dell’addebito, legittima l’irrogazione del provvedimento sanzionatorio in pendenza del procedimento penale, sussistente la giusta causa di recesso, in relazione alla riferibilità al ricorrente del comportamento addebitato ed alla gravità del medesimo, non smentite dalla generiche contestazioni del ricorrente in ordine al contenuto delle intercettazioni telefoniche da cui il comportamento era stato desunto. Per la cassazione di tale decisione ricorre il G., affidando l’impugnazione a sette motivi, cui resiste, con controricorso, la Società.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa della L. n. 300 del 1970, art. 7 e dell’art. 113 c.p.c., lamenta l’essersi la Corte territoriale pronunziata in spregio del principio di immediatezza della contestazione essendo apodittico ed indimostrato il convincimento espresso in ordine alla congruità temporale tra conoscenza dei fatti poi addebitati e contestazione degli stessi.

Nel secondo motivo la medesima censura è prospettata sotto il profilo della contraddittorietà della motivazione.

Ancora la stessa censura è reiterata nel terzo motivo in relazione al vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

Con il quarto motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, dell’art. 12, 1175 e 1375 c.c., il ricorrente lamenta la non conformità a diritto della statuizione relativa alla giustificatezza dell’omessa audizione a difesa del ricorrente.

Con il quinto motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione degli artt. 113, 115, 116 c.p.c., artt. 2729, 2697 c.c. e L. n. 604 del 1966, art. 5, il ricorrente censura il convincimento espresso dalla Corte territoriale in ordine alla valenza probatoria delle intercettazioni telefoniche rispetto a fatti di cui non risulta acquisita in giudizio la prova diretta.

Nel sesto motivo, intitolato alla violazione e falsa applicazione degli artt. 266, 267, 268,269, 270, 271 c.p.p., artt. 2697 e 2729 c.c., si contesta, per difetto di verifica dei presupposti di utilizzo delle intercettazioni telefoniche, la disposta ammissione delle stesse quale mezzo di prova.

Con il settimo motivo, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2729 c.c., art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 e R.D. n. 1368 del 1941, art. 118, commi 1 e 2, in una con il vizio di motivazione, si lamenta il malgoverno, sotto il profilo logico e giuridico, delle regole sulla valutazione della prova con specifico riferimento a quella presuntiva.

I primi tre motivi, che, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, devono ritenersi infondati, risultando pienamente rispettato il principio di immediatezza della contestazione, nella sua accezione relativa, accreditata dalla giurisprudenza di questa Corte, nell’ambito di un giudizio quale quello compiuto dalla Corte territoriale, che, lungi dall’aver omesso la considerazione della circostanza per cui i fatti posti a base dell’ordinanza di custodia cautelare che nel settembre del 2010 venne emessa a carico del ricorrente erano gli stessi che sei mesi dopo sarebbero stati fatti oggetto della contestazione disciplinare inviata dalla Società datrice al ricorrente, ha plausibilmente valutato l’immediata reazione disciplinare della Società medesima, concretatasi nella sospensione cautelare dal servizio quale mero momento di avvio di un autonomo approfondimento delle responsabilità del ricorrente, compatibile, stante la sua complessità valutata anche in relazione all’organizzazione aziendale, con il decorso del tempo che separa quell’inizio dalla contestazione successiva, tempo inidoneo, appunto in ragione dell’immediata sospensione disciplinare, non solo a pregiudicare il diritto di difesa del ricorrente, ma, altresì, a fondare l’affidamento del ricorrente nell’assenza di rilevanza disciplinare del fatto oggetto dell’imputazione penale.

Infondato deve ritenersi altresì il quarto motivo alla luce dell’orientamento accolto da questa Corte (cfr., da ultimo, Cass. 15.3.2016 n. 5057) cui il Collegio intende dare continuità, per il quale nel sistema delineato dalla L. n. 300 del 1970, art. 7, il diritto del lavoratore di farsi assistere da un rappresentante sindacale esaurisce la tutela di legge, non essendovi in esso alcun riferimento alla difesa c.d. “tecnica” assicurata da un avvocato, che è normalmente prevista solo per il giudizio e che può essere riconosciuta o meno al di fuori di tale ipotesi in base a valutazione discrezionale del datore, nè ha alcun rilievo la circostanza che il lavoratore, per gli stessi fatti oggetto dell’iniziativa disciplinare sia chiamato a rispondere nell’ambito di un processo penale considerata la diversità della sfera di interessi, privati e pubblici, su cui incidono i due procedimenti, sicchè correttamente la Corte territoriale ha ritenuto legittimo, a fronte del rifiuto del ricorrente di procedere secondo le modalità ordinarie, il superamento da parte della Società di quella fase della procedura.

A loro volta il quinto, sesto e settimo motivo, che, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, devono ritenersi parimenti infondati, dovendosi rapportare l’ammissibilità dei mezzi istruttori e qui, in particolare, delle intercettazioni telefoniche, su cui la Corte territoriale ha fondato il proprio giudizio in ordine alla ricorrenza nella specie dell’invocata giusta causa di recesso, alla finalità cui l’accertamento giudiziale è funzionale, accertamento che qui non è volto all’attribuzione di responsabilità di un fatto penalmente rilevante, implicante limitazioni della libertà personale, tali da giustificare, in relazione alla garanzia costituzionale che assiste tale fondamentale diritto della persona, l’adozione delle cautele qui invocate dal ricorrente apprestate dall’ordinamento in coerenza con la struttura accusatoria del nostro processo penale, bensì ha riguardo alla verifica della corretta esecuzione del contratto, sotto il profilo tanto del legittimo esercizio dei poteri datoriali quanto dell’esatto adempimento della prestazione lavorativa, legittimando il giudice, non a caso investito di poteri istruttori di ufficio, ad acquisire ogni elemento di prova e ad inferirne, anche in via meramente presuntiva, ogni dato desumibile ai fini della formazione del proprio libero convincimento, soggetto soltanto all’ordinario limite della congruità logica e giuridica della motivazione, qui palesemente fuori discussione per non essere stati i rilievi svolti dalla Corte territoriale in ordine all’esito dell’esame delle intercettazioni telefoniche in questione neppure fatti oggetto di specifica censura.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2017

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