Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9305 del 07/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 07/04/2021, (ud. 07/10/2020, dep. 07/04/2021), n.9305

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 33144/2018 proposto da:

ACCIAIERIE BERTOLI SAFAU S.P.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MAZZINI 27,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO MAINETTI, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati VANNI MARCO RIBECHI,

STEFANIA PATTARINI;

– ricorrente –

contro

V.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO

58, presso lo studio degli avvocati SAVINA BOMBOI, e BRUNO COSSU,

che lo rappresentano e difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 210/2018 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 11/09/2018 R.G.N. 95/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/10/2020 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MARCO RIBECHI VANNI;

udito l’Avvocato SAVINA BOMBOI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza 11 settembre 2018, la Corte d’appello di Trieste rigettava il reclamo proposto da Acciaierie Bertoli Safau s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che, in esito a procedimento con rito Fornero, aveva accertato l’illegittimità (per insussistenza del fatto contestato e conseguente reintegrazione ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4) del licenziamento disciplinare intimato con lettera 15 maggio 2017 a V.G., operaio inquadrato nel quinto livello CCNL metalmeccanici aziende industriali, per avere: a) procurato, compiendo alla guida del carrello elevatore un movimento in avanti mentre un collega si stava accingendo al taglio di un big bag (per lo sversamento del ferro-molibdeno in esso contenuto posizionato mediante detto carrello sopra la benna della pala meccanica), lo schiacciamento del braccio del collega tra la parete della benna e il big bag; b) rilasciato false dichiarazioni in merito alla dinamica dell’infortunio (dalla società datrice addebitato inizialmente alla responsabilità esclusiva dell’infortunato) in sede di ricostruzione immediata e poi di rilievo dell’addetto dell’ufficio sicurezza; c) approfittato della qualità di R.L.S. (Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza) per avallare una versione dei fatti che ne occultasse la responsabilità.

In esito al critico ed argomentato scrutinio delle risultanze istruttorie, la Corte territoriale condivideva l’accertamento del Tribunale (tanto con ordinanza in fase sommaria che con sentenza, all’esito della cognizione piena) di insussistenza della responsabilità del lavoratore, che aveva seguito la procedura operativa aziendale di sversamento delle ferroleghe: essa sì foriera di pericolo (non consentendo la percezione dal conducente del carrello elevatore di eventuali situazioni di rischio del secondo operatore, addetto allo sversamento) ed infatti modificata a seguito dell’infortunio occorso; e parimenti escludeva l’effettiva volontà di un travisamento dei fatti (per la riconduzione delle dichiarazioni del lavoratore a mere ipotesi) e così pure l’esercizio di pressioni in tale senso in virtù della carica di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Sicchè, la Corte friulana ribadiva l’insussistenza del fatto contestato, in assenza di antigiuridicità, in applicazione del novellato testo della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, come interpretato dal consolidato indirizzo di legittimità.

Con atto notificato il 9 settembre 2018, la società datrice ricorreva per cassazione con unico motivo, illustrato da memoria comunicata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui il lavoratore resisteva con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con unico motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, per erronea applicazione della tutela reintegratoria, in luogo di quella indennitaria, al lavoratore per un’erronea ritenuta insussistenza di tutti i fatti disciplinari contestati (da considerare ciascuno nella propria singolare idoneità a giustificare la sanzione), in ragione della falsità della sua descrizione della dinamica dell’infortunio in qualità di R.L.S., specificamente addebitata e autonomamente rilevante sotto il profilo disciplinare: così esclusa l’ipotesi di insussistenza del fatto contestato in assenza di antigiuridicità, ricorrendo invece “altra ipotesi” (anche di eventuale non proporzionalità) di insussistenza della giusta causa, comportante la tutela indennitaria e non reintegratoria, a norma del novellato testo della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5 e non comma 4.

2. Esso è infondato.

3. Nel caso di licenziamento disciplinare intimato per una pluralità di distinti ed autonomi comportamenti, solo alcuni dei quali risultino dimostrati, la “insussistenza del fatto” si configura, come noto, qualora possa escludersi la realizzazione di un nucleo minimo di condotte che siano astrattamente idonee a giustificare la sanzione espulsiva, o se si realizzi l’ipotesi dei fatti sussistenti ma privi del carattere di illiceità, ferma restando la necessità di operare in ogni caso una valutazione di proporzionalità tra la sanzione ed i comportamenti dimostrati; con la conseguenza, nell’ipotesi di sproporzione tra sanzione e infrazione, dell’applicazione della tutela risarcitoria se la condotta dimostrata non coincida con alcuna delle fattispecie per le quali i contratti collettivi o i codici disciplinari applicabili prevedano una sanzione conservativa, ricadendo invece la proporzionalità tra le “altre ipotesi” di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 42, per le quali è prevista la tutela indennitaria cd. forte (Cass. 3 dicembre 2019, n. 31529).

3.1. Sotto altro profilo, la L. n. 300 del 1970, art. 18, nel testo novellato riconosce al comma 4 la tutela reintegratoria in caso di insussistenza del fatto contestato, nonchè nelle ipotesi in cui il fatto contestato sia sostanzialmente irrilevante sotto il profilo disciplinare o non imputabile al lavoratore; la non proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato ed accertato rientra nel suddetto comma 4, quando questa risulti dalle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, che stabiliscano per esso una sanzione conservativa; diversamente verificandosi le “altre ipotesi” di non ricorrenza del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa, per le quali dell’art. 18, comma 5, prevede la tutela indennitaria cd. forte (Cass. 25 maggio 2017, n. 13178; Cass. 16 luglio 2018, n. 18823).

3.2. Ebbene, la Corte triestina ha correttamente applicato i suenunciati principi di diritto (pure richiamandoli al secondo capoverso di pg. 13 della sentenza), avendo accertato l’insussistenza (così come del primo addebito di responsabilità nella causazione dell’infortunio al collega, per le ragioni esposte dal terzo capoverso di pg. 10 al primo di pg. 12 della sentenza, anche) di quelli di falsità delle dichiarazioni del lavoratore nella descrizione della dinamica dell’infortunio e di pressione per il suo travisamento in qualità di R.L.S. (“non può… ritenersi comprovata la responsabilità del lavoratore… quanto agli ulteriori due addebiti”: così al secondo capoverso di pg. 12 della sentenza, appunto relativi ad essi), in esito a critico scrutinio delle risultanze istruttorie congruamente argomentato (per le ragioni esposte dal secondo capoverso di pg. 12 al primo di pg. 13 della sentenza). Sicchè, il suo accertamento in fatto è insindacabile in sede di legittimità.

3.3. Si comprende allora come la censura consista, non già nella deduzione della violazione di legge formalmente denunciata, non configurandosi un vizio di sussunzione, ossia di erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina (Cass. 13 marzo 2018, n. 6035; Cass. 14 settembre 2020, n. 19059), quanto piuttosto, sotto l’apparente contestazione di un tale vizio, una rivalutazione inammissibile dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. s.u. 27 dicembre 2019, n. 34476).

4. Dalle superiori argomentazioni discende allora il rigetto del ricorso, con la statuizione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza, con distrazione ai difensori anticipatari, secondo la loro richiesta e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

PQM

La Corte

rigetta il ricorso e condanna la società alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali nella misura del 15 per cento e accessori di legge, con distrazione ai difensori antistatari.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2021

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