Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9304 del 11/04/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 11/04/2017, (ud. 01/02/2017, dep.11/04/2017),  n. 9304

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11968/2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, presso i cui uffici domicilia in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12;

– ricorrente –

contro

M.E. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA A. CARONCINI 6, presso lo studio dell’avvocato GENNARO CONTARDI,

rappresentato e difeso dall’avvocato DAVIDE ATTILIO, giusta delega

in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1799/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 03/03/2016 R.G.N. 8500/12;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/02/2017 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato GESUALDO D’ELIA;

udito l’Avvocato ATTILIO DAVIDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Napoli, in riforma della sentenza di prime cure, ha accolto la domanda proposta da M.E. e ha condannato la Agenzia delle Entrate a corrispondere all’appellante la differenza fra l’ammontare delle retribuzioni non corrisposte nel periodo 5 ottobre 1993/ 30 settembre 1998 e l’assegno alimentare, erogato nel medesimo arco temporale in costanza di sospensione facoltativa.

2. La Corte territoriale ha premesso che il M., sottoposto a procedimento penale per i delitti di cui agli artt. 110, 317 e 319 c.p., era stato destinatario di ordinanza di custodia cautelare e, riacquistata la libertà personale, si era visto negare la riammissione in servizio dal Ministero delle Finanze che, con Decreto del 31 maggio 1994, si era avvalso della facoltà prevista dal D.P.R. n. 3 del 1957, art. 91. La sospensione si era protratta per l’intero quinquennio previsto dall’art. 27 del CCNL per il comparto Ministeri del 16.5.1995, spirato il quale il M. era stato destinato all’Ufficio Iva di (OMISSIS). All’esito della definizione del processo penale, conclusosi con sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, era stato avviato il procedimento disciplinare e al M. era stata inflitta la sanzione della sospensione dal servizio, con privazione della retribuzione per giorni dieci.

3. In punto di diritto la Corte ha osservato, in sintesi, che il C.C.N.L., pur prevedendo il diritto al conguaglio in caso di sentenza definitiva di assoluzione o proscioglimento con formula piena, non disciplina espressamente l’ipotesi che si verifica allorquando, definito il processo penale con altra formula, il procedimento disciplinare non venga attivato o si concluda favorevolmente per il dipendente oppure sfoci in una sanzione conservativa. In tutte queste ipotesi non può che operare il principio generale in forza del quale la sospensione del rapporto, se disposta unilateralmente dal datore di lavoro, non esonera quest’ultimo dall’obbligo del pagamento della retribuzione.

4. Il giudice di appello ha escluso l’eccepita prescrizione del diritto perchè, come evidenziato dal Tribunale, il termine decennale decorreva dal 16 gennaio 2003, ossia dal momento in cui il diritto alla restitutio in integrum poteva essere esercitato.

5. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate

sulla base di due motivi, illustrati da memoria. M.E. ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la Agenzia delle Entrate denuncia “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 3 del 1957, artt. 91 e 97; art. 27 CCNL comparto Ministeri del 1995, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”. Premesso che la dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione non equivale al riconoscimento della innocenza dell’imputato, sostiene la ricorrente che il diritto al conguaglio può sorgere solo nell’ipotesi in cui la sospensione si riveli ingiusta a seguito dell’accertamento della assenza di responsabilità del dipendente.

2. Il secondo motivo censura la sentenza impugnata per “violazione e falsa applicazione dell’art. 2948 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”. La Agenzia rileva che la Corte territoriale avrebbe dovuto ritenere applicabile alla fattispecie il termine quinquennale di prescrizione previsto dall’art. 2948 c.c., n. 4. Aggiunge che erroneamente il giudice di appello ha richiamato l’istituto della restitutio in integrum, configurabile solo nei casi di sospensione cautelare ab origine illegittima.

3. Il primo motivo è infondato.

Il D.P.R. n. 3 del 1957, nel disciplinare l’istituto della sospensione cautelare, oltre a prevedere, all’art. 97, il diritto dell’impiegato al conguaglio nella ipotesi di sentenza di proscioglimento o di assoluzione passata in giudicato perchè il fatto non sussiste o perchè l’imputato non lo ha commesso, stabiliva, all’art. 96, che nei casi di sospensione cautelare seguita dal proscioglimento in sede disciplinare o dalla irrogazione di una sanzione di minore entità rispetto alla sospensione già sofferta, dovessero essere corrisposti all’impiegato, previa detrazione delle somme liquidate a titolo di assegno alimentare, “tutti gli assegni non percepiti, escluse le indennità o compensi per servizi e funzioni di carattere speciale o per prestazioni di carattere straordinario, per il tempo eccedente la durata della punizione o per effetto della sospensione”.

Il C.C.N.L. 16 maggio 1995 per il comparto Ministeri, invece, prevedeva all’art. 27, comma 7, la sola ipotesi della sospensione cautelare disposta in relazione a procedimento penale conclusosi con sentenza definitiva di assoluzione o proscioglimento con formula piena, stabilendo che in tal caso dovesse essere conguagliato ” quanto corrisposto nel periodo di sospensione cautelare a titolo di indennità….con quanto dovuto al lavoratore se fosse rimasto in servizio”.

3.1. Sulla interpretazione della normativa contrattuale sopra richiamata questa Corte ha espresso orientamenti difformi perchè, da un lato, si è valorizzata la diversità della disciplina pattizia rispetto a quella di legge per escludere il diritto al conguaglio nei casi non espressamente previsti dalle parti collettive e per affermare che queste ultime avrebbero inteso trasformare la sospensione cautelare in provvedimento definitivo, ossia in pena disciplinare (Cass. 14.3.2012 n. 4061, seguita da Cass. 25.6.2013 n. 15941 e da Cass. 10.7.2013 n. 17130); dall’altro si è invece evidenziato che la mancanza di una espressa previsione del diritto al conguaglio, anche nella ipotesi di condanna disciplinare ad una sanzione diversa dal licenziamento, non è sufficiente per escludere il diritto dell’impiegato a ottenere il pagamento delle somme che avrebbe percepito ove fosse rimasto in servizio, giacchè detto diritto, poi espressamente riconosciuto dall’art. 15 del C.C.N.L. 12.6.2003 per il comparto Ministeri (coincidente con la analoga previsione contenuta nell’art. 70, comma 9, del C.C.N.L. 28.5.2004 per il comparto Agenzie Fiscali), discende dai principi generali e dalla natura stessa della sospensione cautelare, che rendono ingiustificata la perdita della retribuzione dovuta ad una iniziativa unilaterale del datore di lavoro (Cass. 1.3.2013 n. 5147; Cass. 22.5.2014 n. 11391 che ha interpretato, valorizzando i medesimi principi, l’analoga disciplina dettata dall’art. 32 del CCNL 1.9.1995 per il comparto sanità; Cass. 25.6.2015 n. 13160 che, sempre in relazione all’art. 27 del C.C.N.L. 1995 per il comparto ministeri, ha escluso il diritto al conguaglio nel solo caso in cui il procedimento disciplinare si concluda con il licenziamento dell’impiegato).

3.2. A detto ultimo orientamento il Collegio intende dare continuità, poichè la interpretazione della normativa contrattuale non può prescindere dalla natura della sospensione che, in quanto misura cautelare e interinale, “ha il carattere della provvisorietà e della rivedibilità, nel senso che solo al termine e secondo l’esito del procedimento disciplinare si potrà stabilire se la sospensione preventiva applicata resti giustificata e debba sfociare nella destituzione o nella retrocessione, ovvero debba venire caducata a tutti gli effetti” (Corte Cost. 6.2. 1973 n. 168).

La sospensione facoltativa, infatti, è solo finalizzata a impedire che, in pendenza di procedimento penale, la permanenza in servizio del dipendente inquisito possa pregiudicare l’immagine e il prestigio della amministrazione di appartenenza, la quale, quindi, è tenuta a valutare se nel caso concreto la gravità delle condotte per le quali si procede giustifichi l’immediato allontanamento dell’impiegato.

Ove la amministrazione, valutati i contrapposti interessi in gioco, opti per la sospensione, in difetto di una diversa espressa previsione di legge o di contratto, opera il principio generale secondo cui ” quando la mancata prestazione dipenda dall’iniziativa del datore di lavoro grava su quest’ultimo soggetto l’alea conseguente all’accertamento della ragione che ha giustificato la sospensione ” (Corte Cost. n. 168/1973).

La verifica della effettiva sussistenza di ragioni idonee a giustificare l’immediato allontanamento è indissolubilmente legata all’esito del procedimento disciplinare, perchè solo qualora quest’ultimo si concluda con una sanzione di carattere espulsivo potrà dirsi giustificata la scelta del datore di lavoro di sospendere il rapporto, in attesa dell’accertamento della responsabilità penale e disciplinare.

Viceversa difetta la necessaria strumentalizzazione della misura cautelare rispetto alla sanzione definitiva non solo nei casi di proscioglimento dell’impiegato ma anche ogniqualvolta l’addebito disciplinare, pur se sussistente, venga ritenuto di gravità tale da potere essere sanzionato con una misura conservativa, posto che in detta ipotesi finisce per essere priva di fondamento la decurtazione della retribuzione subita dal dipendente per un fatto unilaterale del datore di lavoro.

La circostanza che la contrattazione collettiva non abbia espressamente disciplinato la fattispecie che qui viene in rilievo e, quindi, non abbia previsto il diritto al conguaglio, non è sufficiente a far ritenere che si sia voluto derogare ai principi generali sopra sinteticamente riportati, posto che la attribuzione alla sospensione di una natura non meramente cautelare ma anche sanzionatoria, avrebbe richiesto una espressa qualificazione in tal senso.

4. Il secondo motivo è inammissibile, perchè sulla infondatezza della eccezione di prescrizione si è formato giudicato interno, non avendo l’Agenzia delle Entrate proposto appello incidentale, sia pure condizionato, avverso il capo della sentenza di primo grado che aveva ritenuto non fondata la questione di carattere preliminare.

La giurisprudenza di questa Corte, infatti, è consolidata nell’affermare che soltanto la parte totalmente vittoriosa in primo grado non ha l’onere di riproporre con appello incidentale le domande od eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado e, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia di cui all’art. 346 cod. proc. civ., può limitarsi a riproporle nella comparsa di risposta o, per il rito del lavoro, nella memoria difensiva. Viceversa qualora la parte sia rimasta soccombente su di

una questione preliminare di merito o pregiudiziale di rito ha l’onere di proporre appello incidentale condizionato, pena il formarsi del giudicato (cosiddetto giudicato implicito), che concerne anche gli accertamenti che costituiscono il presupposto logico – giuridico della decisione (Cass. 23.9.2004 n. 19126; Cass. 14.3.2013 n. 6550; Cass. 13.5.2016 n. 9889).

5. Il ricorso va, pertanto, rigettato con condanna della Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo con distrazione in favore dell’Avv. Attilio Davide, dichiaratosi antistatario.

Il contrasto esistente nella giurisprudenza di questa Corte di cui sopra si è dato conto non può giustificare nella specie una pronuncia di compensazione, in quanto le decisioni che hanno riconosciuto natura disciplinare alla sospensione, hanno anche affermato la applicabilità della disciplina (ritenuta innovativa) dettata dal C.C.N.L. del 1995 ai soli fatti commessi successivamente alla entrata in vigore del contratto, mentre nella specie si discute di sospensione disposta il 5.10.1993. In nessun caso, pertanto, il ricorso della Agenzia avrebbe potuto trovare accoglimento.

Non sussistono le condizioni richieste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il raddoppio del contributo unificato perchè la norma non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.500,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese forfettarie del 15% e accessori di legge, con distrazione in favore dell’Avv. Attilio Davide.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 1 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2017

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