Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9301 del 20/05/2020

Cassazione civile sez. lav., 20/05/2020, (ud. 27/11/2019, dep. 20/05/2020), n.9301

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4049-2016 proposto da:

FEDERAZIONE RADIO TELEVISIONI, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA

CAMILLUCCIA 785, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO CHIOLA, che

la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

A.M.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CRESCENZIO 58, presso lo studio degli avvocati SAVINA BOMBOI,

ALBERTO PICCININI, BRUNO COSSU, che la rappresentano e difendono;

– controricorrente –

nonchè contro

NUOVA RETE S.R.L.;

– intimata –

E SUL RICORSO SUCCESSIVO, SENZA NUMERO DI R.G. proposto da:

NUOVA RETE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI GRACCHI 39, presso lo

studio dell’avvocato ADRIANO GIUFFRE’, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati MARCO ROSSIGNOLI e BEATRICE BELLI;

– ricorrente successivo –

contro

A.M.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CRESCENZIO 58, presso lo studio degli avvocati SAVINA BOMBOI,

ALBERTO PICCININI, BRUNO COSSU, che la rappresentano e difendono;

– controricorrente al ricorso successivo –

avverso la sentenza n. 625/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 06/08/2015 r.g.n. 854/2010.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. A.M.L., cineoperatore dipendente della Nuova Rete s.r.l., aveva evocato in giudizio la datrice di lavoro e – per quanto ancora rileva nella presente sede, stante il giudicato interno formatosi sui restanti capi della originaria domanda – aveva chiesto la condanna della convenuta al pagamento delle differenze retributive tra la qualifica di inquadramento e quella di giornalista, avendone svolto le relative mansioni sin dal gennaio 1999. Il Tribunale aveva ritenuto fondata la pretesa e aveva condannato la società Nuova Rete s.r.l., per tale titolo, al pagamento della somma di Euro 90.121,80.

2. La Corte di appello, con sentenza n. 625/15, rigettava i motivi di censura della società datrice di lavoro riguardanti la valutazione del materiale probatorio con riferimento alle caratteristiche della prestazione svolta dalla A., da qualificare di natura giornalistica, sussistendo un apporto originale nella mediazione tra la notizia e la diffusione della conoscenza di essa, atto a distinguere la funzione giornalistica in concreto svolta dal ruolo tecnico di cui al formale inquadramento.

2.1. Riteneva poi che, al fine di verificare l’adeguatezza del trattamento economico, non potesse che farsi riferimento al contratto nazionale di lavoro dei giornalisti, tuttavia applicabile solo per il c.d. minimo costituzionale. Pertanto, in parziale accoglimento dell’appello della società convenuta, rideterminava in Euro 80.729,05, oltre accessori, la somma dovuta alla A., applicando il predetto contratto nazionale di lavoro in via parametrica ex art. 36 Cost..

3. Per la cassazione di tale sentenza proponevano ricorso sia la Nuova Rete s.r.l., sia la Federazione Radio Televisioni (F.R.T.), associazione di categoria degli imprenditori radiotelevisivi privati, intervenuta volontariamente nel giudizio di appello; quest’ultima per censurare la sentenza nella parte in cui non aveva applicato il CCNL relativo alle Imprese Radiotelevisive Private, stipulato dalla medesima Federazione, di cui Nuova Rete è associata. La A. resisteva con controricorso avverso entrambe le impugnazioni.

4. In prossimità dell’udienza, il difensore della Federazione Radio Televisioni ha depositato atto di rinuncia sottoscritto dal Presidente della Federazione e dal difensore medesimo e ritualmente notificato ai difensori della Nuova Rete s.r.l. e della A.. Quest’ultima ha infine depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 1, insistendo nella pronuncia di condanna (anche) della Federazione rinunciante al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. In limine litis, deve essere dichiarata l’estinzione del giudizio tra la Federazione Radio Televisione e la A. per intervenuta rinuncia ex artt. 390 e 391 c.p.c..

1.1. Quanto alle spese del giudizio di legittimità tra le stesse parti, se ne ravvisano i presupposti per disporne la compensazione.

1.2. Premesso che l’ammissibilità dell’intervento dell’Associazione sindacale intervenuta nel giudizio di appello ad adiuvandum a sostegno della ragioni della soc. Nuova Rete, con la sola funzione di rappresentanza di interessi collettivi e di assistenza, in tale contesto, della propria iscritta – è stata implicitamente riconosciuta dalla Corte territoriale e che pertanto deve ritenersi ammissibile anche il ricorso per cassazione proposto dalla stessa Federazione a sostegno delle ragioni di Nuova Rete s.r.l., va osservato che l’art. 391 c.p.c., comma 2, – come sostituito dal D.Lgs. 20 febbraio 2006, n. 40, applicabile ratione temporis – stabilisce che il provvedimento “che dichiara l’estinzione può condannare la parte che vi ha dato causa alle spese”.

1.3. Il fatto che il rinunciante possa (e non più debba) essere condannato alle spese avalla l’ipotesi che, con la novella di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, “si sia voluto dar luogo ad una sorta di incentivazione alla rinuncia” (Cass., Sez. U., Ordinanza n. 19514 del 2008; v. pure Cass. nn. 14747 e 24757 del 2018, Cass. 19388 del 2017).

1.4. Non opera il raddoppio del contributo unificato, in quanto del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, – che pone a carico del ricorrente rimasto soccombente l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato – non trova applicazione in caso di rinuncia al ricorso per cassazione. Tale misura si applica ai soli casi – tipici – del rigetto dell’impugnazione o della sua declaratoria d’inammissibilità o improcedibilità e, trattandosi di misura eccezionale, lato sensu sanzionatoria, è di stretta interpretazione e non suscettibile, pertanto, di interpretazione estensiva o analogica (Cass. 23175 del 2015).

2. Venendo all’esame del ricorso proposto dalla Nuova Rete s.r.l., con il primo motivo, si denuncia omessa valutazione di un fatto decisivo (art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5), poichè la Corte territoriale si sarebbe limitata a recepire il giudizio espresso dal giudice di primo grado senza valutare l’effettiva sussistenza del quid pluris che connota le funzioni giornalistiche.

3. Con il secondo motivo, si denuncia violazione degli artt. 2070 e 1372 c.c., falsa applicazione di accordi collettivi e omesso esame della fattispecie sottoposta a giudizio. Si lamenta l’erronea applicazione di un c.c.n.l. diverso da quello sottoscritto e applicato dalla società e neppure rispondente all’oggetto sociale.

4. Con il terzo motivo si denuncia omesso esame della fattispecie sottoposta a giudizio, falsa applicazione del contratto nazionale di lavoro dei giornalisti e violazione di legge per omessa applicazione del CCNL Aeranti-Corallo. Si assume che la Corte di appello avrebbe dovuto applicare, come parametro economico, non il c.c.n.l. FIEG giornalisti, ma il c.c.n.l. Aeranti – Corallo che disciplina anche il lavoro giornalistico nelle imprese di radiodiffusione sonora e televisiva in ambito locale.

5. Il ricorso proposto da Nuova Rete s.r.l. è infondato.

6. Il primo motivo presenta innanzitutto profili di inammissibilità. Il motivo si incentra su censure di merito e dirette ad una rivalutazione del fatto non compatibili con la nuova formulazione dell’art. 360 c.c., comma 1, n. 5, (D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134). Inoltre, tutti gli aspetti oggetto di censura sono stati già valutati dal giudice di merito con una motivazione che certamente soddisfa i minimi costituzionali essendo congrua, puntuale e correlata a specifici elementi (cfr. Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, nn. 8052 e 8053). Il ricorso tende, pertanto, ad una inammissibile rivisitazione del merito.

6.1. A ciò aggiungasi che la sentenza, sulla base di una puntuale ricostruzione delle mansioni, opera una corretta sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta del lavoro giornalistico. La Corte di appello ha accertato che l’appellata si era occupata di effettuare le riprese per i servizi che sarebbero andati in onda durante il telegiornale ed aveva provveduto a realizzare sul campo le riprese, ad effettuare le interviste ove non fossero presenti addetti specifici, ad eseguire il montaggio delle riprese effettuate. Aveva provveduto alla regia del telegiornale, alla programmazione dei palinsesti e, in piena autonomia, all’abbinamento delle riprese con i testi e con le interviste; alla realizzazione dei servizi video e al successivo montaggio, servizi che venivano così trasmessi senza ulteriori modifiche. Aveva partecipato alla discussione in ordine alla individuazione dei servizi da realizzare e alla tematiche da trattare. Inoltre, la ricorrente era stata incaricata di realizzare gli spot pubblicitari per conto della concessionaria per la pubblicità del gruppo.

6.2. Alla stregua di tale ricostruzione in fatto, la Corte di appello ha argomentato la sussistenza di un apporto originale e creativo nella mediazione tra la notizia e la conoscenza che di essa era proposta, nonchè la continuità o periodicità del servizio, l’attualità delle notizie e tempestività dell’informazione, facendo corretta applicazione dei principi elaborati da questa Corte in materia (v. ex plurimis, Cass. n. 23625 del 2010, n. 17723 del 2011 e n. 1853 del 2016).

7. Quanto al secondo motivo, oltre a preliminari profili di inammissibilità, atteso che spettava alla società ricorrente indicare in quale diversa figura prevista al CCNL ritenuto applicabile sarebbe stata sussumibile l’attività giornalistica come ricostruita in fatto dalla sentenza impugnata, il motivo è altresì infondato quanto alla dedotta inapplicabilità del CNL giornalisti ex art. 36 Cost..

7.1. Una volta accertato che le mansioni di fatto svolte dalla A. non erano corrispondenti alla qualifica attribuita, ma avevano natura giornalistica e che esse non trovavano corrispondenza nelle previsioni del CCNL stipulato dalla datrice di lavoro, correttamente la Corte distrettuale ha applicato, ai fini della “giusta retribuzione” di cui all’art. 36 Cost., il contratto collettivo dei giornalisti, considerato più idoneo ad assicurare il rispetto del principio costituzionale.

7.2. La liquidazione equitativa è stata ammessa dalla giurisprudenza proprio nelle ipotesi di determinazione della “giusta retribuzione” ex art. 36 Cost. e di utilizzazione come parametri di riferimento di contratti collettivi pur non applicabili direttamente al rapporto dedotto in giudizio (cfr., da ultimo, Cass. n. 3137 del 2019, emessa in analoga fattispecie, e altri precedenti ivi richiamati). Dei contratti collettivi pur non applicabili direttamente al rapporto dedotto in giudizio il giudice di merito può, dunque, avvalersi per determinare i diritti e gli obblighi anche dei soggetti non appartenenti alle associazioni stipulanti.

7.3. Resta incensurabile in sede di legittimità tanto la valutazione circa la concreta non riconducibilità del rapporto, come in punto di fatto accertato, al CCNL richiamato in sede di contratto individuale, sia l’idoneità, ai fini dell’adeguamento, del contratto collettivo giornalisti utilizzato quale parametro ex art. 36 Cost. (cfr. Cass. n. 3137 del 2019, cit.).

8. Il terzo motivo è inammissibile poichè introduce una questione nuova, che non risulta trattata dalla sentenza impugnata e in relazione alla quale il ricorrente non ha chiarito se e in quali termini la questione fosse stata introdotta nei precedenti fasi del giudizio.

8.1. Secondo costante giurisprudenza di legittimità, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di cui all’art. 366 c.p.c., del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (ex plurimis, Cass. n. 23675 del 2013, n. 324 del 2007, nn. 230 e 3664 del 2006).

8.2. Inoltre, non è chiarito quale sia l’interesse a impugnare sul quantum, poichè non è precisato in quale modo l’utilizzazione del diverso parametro ex 36 Cost., sarebbe più favorevole alla società ricorrente rispetto a quello applicato dalla Corte di appello.

9. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2.

9.1. Le spese sono distratte ex art. 93 c.p.c., in favore dei difensori della A., avv.ti Bruno Cossu e Savina Bomboi, dichiaratisi antistatari.

10. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (nella specie, rigetto del ricorso) per il versamento, da parte della società ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara estinto il giudizio tra Federazione Radiotelevisioni e A.M.L. e compensa le spese. Rigetta il ricorso proposto da Nuova Rete s.r.l. e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi e in Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge, da distrarsi in favore del procuratori antistatari.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 27 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2020

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