Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9301 del 19/04/2010

Cassazione civile sez. un., 19/04/2010, (ud. 16/02/2010, dep. 19/04/2010), n.9301

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo – Primo Presidente –

Dott. PREDEN Roberto – Presidente di Sezione –

Dott. D’ALONZO Michele – rel. Consigliere –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

s.r.l. POLIMERI EUROPA (già s.r.l. BRINDISI ETILENE), con sede in

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma alla Via Germanico n. 146 presso

lo studio dell’avv. MOCCI VITTORIO insieme con gli avv. Emilio ZECCA

ed Eugenio BRIGUGLIO (entrambi del Foro di Milano) che la

rappresentano e difendono in forza della procura speciale rilasciata

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(1) il MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE, in persona del

Ministro pro tempore, e (2) l’AGENZIA delle ENTRATE, in persona del

Direttore pro tempore, entrambi elettivamente domiciliati in Roma

alla Via dei Portoghesi n. 12 presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO che li rappresenta e li difende;

– controricorrenti –

(2) l’Ufficio di Milano (OMISSIS) dell’AGENZIA delle ENTRATA, in

persona del Direttore pro tempore;

– intimato –

Avverso la sentenza n. 38/66/01 depositata dalla Commissione

Tributaria della Lombardia il 29 marzo 2001;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 16 febbraio 2010

dal Cons. Dott. Michele D’ALONZO;

sentite le difese delle amministrazioni pubbliche svolte dall’avv.

Paolo GENTILI, dell’Avvocatura Generale dello Stato;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato al MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE, all’AGENZIA delle ENTRATA ed all’Ufficio di Milano (OMISSIS) di questa, la s.r.l. POLIMERI EUROPA (già s.r.l. BRINDISI ETILENE) – premesso che: (1) l’assemblea straordinaria della s.r.l. BRINDISI ETILENE aveva deliberato di coprire la perdita di L. 17.288.412.243 scaturente dalla situazione patrimoniale al 31 ottobre 1994 attraverso (a) l’integrale utilizzo delle poste “altre riserve” e (b) la riduzione del capitale sociale (da L. 220.000.000.000 a L. 136.450.000.000); (2) “contestualmente” la stessa assemblea aveva deliberato di aumentare il capitale sociale dalle dette L. 136.450.000.000 “fino ad un massimo di L. 700.000.000.000” con il “conferimento di un ramo di azienda” da parte del “socio (unico) ENICHEM spa”; (3) con rogito del 16 marzo 1995 essa e la spa ENICHEM (conferente) avevano stipulato atto di conferimento di un ramo d’azienda per effetto del quale il capitale sociale di essa conferitaria era stato aumentato a L. 659.850.000.000 (essendo stato stimato il valore del ramo d’azienda conferito in L. 523.400.000.000; (4) all’atto della registrazione l’Ufficio aveva applicato l’imposta proporzionale dell’1% richiedendo il versamento di complessive L. 5.234.000.000 (L. 835.000.000 sulla parte di aumento del capitale sociale servita a riportare quest’ultimo da L. 136.450.000.000 all’importo preesistente alla riduzione per perdite L. 220.000.000.000; L. 4.398.500.000 riferibili all’effettivo aumento del capitale sociale da L. 220.000.000.000 a L. 659.850.000.000); (5) con distinte istanze (12 aprile 1996 e 15 ottobre 1997) aveva richiesto il rimborso (a) della quota – parte dell’imposta corrispondente “all’incremento di capitale sociale da L. 220.000,000.000 a L. 659.850.000.000”, in quanto “riscossa sulla base di norme contrastanti… con il combinato disposto degli artt. 4 e 7 della Direttiva n. 69/335/CEE” la quale “prescriveva per l’operazione in questione la totale esenzione da imposta di registro” e (b) della quota-parte dell’imposta corrispondente all’incremento del capitale “reintegrato del valore precedente l’abbattimento per coperture perdite”, ritenendo che l’imposta fosse stata riscossa “in violazione della nota II all’art. 4 della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986” e, comunque, “degli artt. 4 e 7 della predetta direttiva” -, in forza di DUE motivi, chiedeva di cassare a sentenza n. 38/66/01 depositata il 29 marzo 2001 con la quale la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia aveva recepito il gravame dell’Ufficio avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Milano (51/27/99) la quale aveva accolto i ricorsi da essa proposti avverso il silenzio rifiuto formatosi su dette istanze di rimborso.

Nel proprio controricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrata instavano per il rigetto del ricorso.

La società ricorrente depositava memorie ex art. 378 c.p.c., nella quale, “alla luce” della sentenza n. 16130 del 2007 di questa Corte, chiedeva, “in via subordinata”, di domandare alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee (“adempiendo all’obbligo fissato dall’art. 234, comma 3, del Trattato CE”) se:

(1) “ai sensi della Direttiva CEE n. 69/335, come modificata…, sia legittima una norma nazionale che assoggetta ad imposta proporzionale di registro un conferimento di azienda remunerato unicamente mediante attribuzione di quote sociali”;

(2) “nel diritto comunitario, nei casi in cui una Direttiva preveda la possibilità degli Stati membri di una deroga, limitata e circoscritta, al complessivo assetto normativo che essa detta, sia possibile ravvisare, nella inerzia dello stato membro e nel fatto che essa colpevolmente non dia ad essa attuazione nei termini, un avvalimento della facoltà di deroga, o non sia da ravvisare piuttosto una causale coincidenza del regime previdente con il contenuto della deroga possibile, come sembra dimostrare il fatto che, quando – sia pure tardivamente – lo stato membro da… attuazione alla direttiva, lo fa dichiarando espressamente di non volersi avvalere della facoltà di deroga e di sopprimere il prelievo fiscale, fino a quel momento mantenuto in vigore solo per inerzia, con la conseguenza che la riconduzione di tale inerzia ad una volontà di avvalersi della deroga appare una costruzione ex post dell’interprete (contraddetta dallo stesso legislatore negli atti parlamentari) e contraria… alla stessa applicazione che ne aveva fatto la giurisprudenza anteriore e la stessa amministrazione fiscale dello stato membro”.

Con ordinanza n. 8467 depositata il 3 aprile 2009 la sezione tributaria della Corte rimetteva la causa al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione della controversia a queste sezioni unite assumendo aver rilevato un contrasto nella giurisprudenza della stessa sezione sui nei seguenti punti: (1) “se l’art. 12 della… Direttiva 69/335/CEE preveda una deroga esplicita o implicita alla normazione comunitaria; nel secondo caso se nel comportamento dello Stato Italiano possa configurarsi una deroga implicita o, comunque, la volontà di derogare nei sensi di cui sopra dalla normazione della Direttiva” e (2) “in relazione all’interpretazione della direttiva fornita dalla… sentenza 11 dicembre 1997 (adde: in causa C-42/96) della Corte di Giustizia CE, espressamente riferita all’ipotesi di aumento del capitale sociale di una società di capitali attuato mediante conferimento di immobili – il punto è se si debba uniformare la regolamentazione in materia di conferimento degli immobili a quello di conferimento di azienda; il tutto ratione temporis, sino all’entrata in vigore del D.L. n. 323 del 1996, conv. con modif. nella L. n. 425 del 1996, nonchè della L. n, 488 del 1999”.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con la sentenza gravata, la Commissione Tributaria Regionale – premesso che “le questioni da affrontare” riguardavano (1) “l’assoggettabilità all’imposta di registro dell’1% dell’aumento di capitale deliberato… per ripianare perdite che lo avevano portato al di sotto del valore originario” nonchè (2) “l’assoggettabilità del conferimento di ramo d’azienda all’imposta di registro nella misura dell’1%” (D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 50, e art. 4, n. 3, della Tariffa allegata); “sottolineato che la questione da affrontare è sostanzialmente una sola, essendo fuori discussione che l’aumento di capitale deliberato… per ripianare la perdita… è stato realizzato con una parte… del valor dell’azienda conferita là dove il chiaro disposto della nota II all’art. 4 della Tariffa I allegata al… D.P.R. n. 131 del 1986, sottrae al versamento dell’imposta i soli conferimenti in danaro” – ha accolto l’appello dell’Ufficio osservando, “quanto al preteso contrasto tra normativa interna e normativa comunitaria”:

– “dal raffronto” tra le disposizioni contenute nei paragrafi 1 (“gli Stati membri esentano dall’imposta sui conferimenti le operazioni diverse da quelle di cui all’art. 9 e che, alla data del 1 luglio 1984, erano esentate o assoggettate ad un’aliquota pari o inferiore a 0,50%”) e 2 (“gli Stati membri possono esentare dall’imposta sui conferimenti o assoggettare ad un’unica aliquota non superiore all’1% le operazioni diverse da quelle di cui al paragrafo 1″) dell'”art. 7 della Direttiva n. 303” (recte: dell’art. 7 della Direttiva 69/335/CEE del 17 luglio 1979, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali, come modificato con l’art. 1 della Direttiva 85/303/CEE del 10 giugno 1985) “emerge… che gli stati membri esentano dall’imposta” (senz'”altra scelta”) “le operazioni che alla data del 1 luglio 1984 erano già esentate o assoggettate ad un’aliquota pari o inferiore allo 0,50%” mentre “per le altre operazioni hanno la facoltà, in alternativa all’esenzione, di assoggettarle ad un’aliquota non superiore all’1%”.

2. La società chiede di cassare tale decisione in forza di due motivi.

A. Con il primo la ricorrente – assunto che “la questione… è già stata esaminata… con la sentenza… 6 ottobre 1999 n. 11100” – denunzia “violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 4 e 1, comma 1, della Direttiva del Consiglio CEE n. 335 del 11 luglio 1969, come sostituiti ed integrati… dall’art. 1, comma 1, della Direttiva n. 303 del 10 giugno 1985, in riferimento agli artt. 10 (ex art. 5) e 249 (ex art. 189) del Trattato che istituisce la Comunità economica Europea”, “violazione e falsa applicazione dell’art. 4 della Tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986” nonchè “carenza di motivazione” esponendo:

– detta Direttiva “era sicuramente self-executing, nel senso che, mentre non vietava agli Stati membri di provvedere entro il termine da essa fissato di dettare tutte le disposizioni di specificazione e di dettagli… ritenute opportune, non era affatto subordinata nella sua applicazione al fatto che gli Stati membri ne dettassero ed emanassero disposizioni applicative e nel senso che, una volta scaduto il termine in essa indicato, essa sarebbe stata applicabile negli Stati membri comunque, anche in mancanza di disposizioni interne di adeguamento e anche con prevalenza ed in deroga alle disposizioni interne con essa contrastanti”;

– “la norma contenuta” nell’art. 7 della Direttiva (“gli Stati membri esentano dall’imposta sui conferimenti le operazioni… che, alla data del 1 luglio 1984, erano esentate o assoggettate ad un’aliquota pari o inferiore a 0,50%”) “contraddice” quanto sostenuto dalla Commissione Tributaria Regionale perchè la stessa “non lasciava agli Stati membri alcun margine di discrezionalità” perchè “la direttiva comunitaria imponeva agli Stati membri di esentare le operazioni espressamente menzionate”;

– “sulla diretta applicazione delle disposizioni in commento all’interno degli ordinamenti nazionali… si era già pronunciata la Corte di Giustizia… con la sentenza resa il 13 febbraio 1996 nei procedimenti riuniti C-197/94 e C-252/94” dichiarando “incompatibile con le disposizioni comunitarie il prelievo previsto dall’ordinamento francese in relazione ad operazioni di fusione”.

In ipotesi di condivisione della decisione impugnata (per ritenuta sussistenza di “margini di opinabilità e di incertezza” in ordine alla disapplicazione della “norma nazionale”) e, quindi, di difformità rispetto a “quanto sostenuto nella… citata sentenza n. 11100/ – 2000 (recte: 11100/99)”, la ricorrente sostiene che si “dovrebbe sottoporre nuovamente la questione alla Corte di Giustizia” ex “art. 234 del Trattato CE”.

B. In secondo (ed ultimo) luogo la società denunzia, “in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, “omessa motivazione”, “in violazione dell’art. 112 c.p.c.”, adducendo che i “giudici milanesi… hanno completamente omesso di pronunciarsi” sul “punto decisivo” costituito dalla “domanda subordinata” tesa ad “ottenere, quanto meno, il rimborso della quota parte di imposta di registro (pari a L. 835.500.000) riferibile a quella parte di aumento di capitale sociale… servita a riportare quest’ultimo da L. 136.450.000 all’importo preesistente alla riduzione per perdite (L. 220.000.000.000”.

3. Il ricorso deve essere respinto perchè infondato.

A. Il contrasto di giurisprudenza.

In ordine alla contrarietà o meno con le norme comunitarie – in particolare con l’art. 7 della Direttiva del Consiglio 17 luglio 1969 n. 69/335/CEE, come sostituito dalla successiva Direttiva 10 giugno 1985 n. 85/ – 303/CEE – di quelle nazionali – segnatamente l’art. 4, lett. a), n. 3, della tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 -, applicabili al caso ratione temporis, che anteriormente all’entrata in vigore, in particolare, della modifica introdotta dalla L. 23 dicembre 1999, n. 488, art. 10, comma 1, lett. c), n. 1), prevede(va)no l’assoggettamento ad imposta proporzionale di registro degli atti di conferimento di una azienda o di un suo ramo, invero, la sezione quinta (tributaria) di questa Corte, con la sentenza 29 agosto 2007 n. 18241 (adottata in camera di consiglio per asserita manifesta fondatezza del ricorso della contribuente) – resa in controversia avente ad oggetto una “richiesta di rimborso dell’imposta di registro assolta all’atto del conferimento effettuato nel 1993 del ramo aziendale” – ha affermato essere “ormai saldamente stabilito il principio secondo cui “in tema di imposta di registro e nell’ipotesi di aumento di capitale sociale eseguito mediante conferimento di un complesso aziendale, sono direttamente ed immediatamente applicabili nell’ordinamento nazionale – in quanto sufficientemente precise ed incondizionate – le disposizioni contenute nella direttiva Cee del 17 luglio 1969 n. 69/335 e, in particolare, quelle di cui all’art. 7, anche così come da modificato dapprima dalla direttiva Cee 9 aprile 1973 n. 80 e dopo dalla direttiva Cee del 10 giugno 1985 n. 303, a far data dalla scadenza del termine fissato per l’adeguamento dell’ordinamento italiano sia alla direttiva di base che a quelle che l’hanno modificata. Pertanto, con effetto dall’1 gennaio 1984, le operazioni di aumento di capitale eseguite mediante conferimento di un complesso aziendale devono essere esentate da imposizione proporzionale oppure assoggettate ad un’aliquota pari o inferiore allo 0,50%; con effetto dall’1 gennaio 1986, data prevista per l’adeguamento degli ordinamenti nazionali alla direttiva 85/303 Cee, le medesime operazioni devono essere esentate da qualsiasi forma di imposizione. Ne consegue che è incompatibile con la predetta direttiva comunitaria, e non può essere applicato, l’art. 4, lett. a, n. 3, parte prima, della tariffa allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, laddove, nella sua formulazione (applicabile “ratione temporis”) in vigore prima della modifica introdotta dalla L. n. 488 del 1999, art. 10, comma 1, lett. c), n. 1, fissa l’aliquota dell’1% per le operazioni di conferimento di aziende o di rami aziendali esenti ai sensi della direttiva medesima in quanto assoggettate, alla data dell’1 luglio 1984, ad aliquota pari o inferiore allo 0,50%” (Cass., trib., 23 luglio 2004 n. 13849; conformi:… 9 luglio 2004 n. 12716,… 15 maggio 2003 n. 7558,… 15 maggio 2003 n. 7554)”.

In realtà nella coeva decisione 20 luglio 2007 n. 16130 – emessa in causa avente ad oggetto analoga richiesta di rimborso dell’imposta proporzionale di registro corrisposta per un atto, registrato il 16 gennaio 1996, con il quale una società “veniva scissa e le attività costituenti” una “divisione” della medesima conferite alla società nata dalla scissione – la stessa sezione ha dichiaratamente condiviso (“il Collegio vi aderisce pienamente, non essendo state prospettate nuove e decisive ragioni per seguire una diversa interpretazione, anche in considerazione del vincolo derivante dalla… sentenza della Corte comunitaria”) quanto statuito “con la sentenza n. 10059 del 2000” (i cui “principi”, come ivi ricordato, “sono stati confermati dalla successiva e costante giurisprudenza della Corte: sentenze 11155/00; 11377/00; 1001/01; 17050/06”) in applicazione del “principio affermato dalla Corte di Giustizia nella sentenza in causa C – 42/96, secondo la quale, in forza della deroga contenuta nell’art. 12, n. 1, lett. b), della direttiva 69/335/CEE, gli Stati membri possono riscuotere un’imposta sul trasferimento in caso di conferimento ad una società di beni immobili o di complessi aziendali, in quanto l’imposizione colpisce il primo fenomeno, e non una concentrazione di capitali, col solo limite del divieto di discriminazione rispetto al regime fiscale di operazioni similari”, ovverosia della regola secondo la quale “l’agevolazione di cui all’art. 7 della già citata direttiva non si applichi all’imposta di registro dovuta a seguito del conferimento di beni immobili in società”, e che quindi “ove gli atti sottoposti a registrazione fossero consistiti in un conferimento di beni immobili o di complessi aziendali, gli stessi non potevano beneficiare dell’agevolazione prevista dalle direttive, ed erano, quindi, da assoggettare a imposta di registro secondo l’ordinario regime nazionale”.

Specificamente in relazione al “principio affermato dalla Corte di Giustizia nella sentenza in causa C-42/96”, peraltro, va evidenziato che nella sentenza 15 maggio 2003 n. 7558 (ad oggetto l’impugnazione di un “avviso di liquidazione dell’imposta di registro, a seguito della registrazione di un atto di conferimento di ramo d’azienda in società di capitali”) la sezione tributaria ha affermato che quella decisione “non offre alcun sostegno alla tesi” della tassabilità (ivi) sostenuta dall’Amministrazione Finanziaria “in quanto concernente, non la tassazione del conferimento di azienda o di un ramo di azienda, ma il conferimento di immobili e la tassazione sull’incremento di valore di tali beni (in.v.im.) e sul trasferimento degli stessi (imposta ipotecaria e catastale)”.

E’ opportuno, altresì, segnalare l’osservazione contenuta nella sentenza 11 novembre 2003 n. 16876 secondo la quale l'”art. 12 dir. CEE 69-335 e succ. modd. che attribuisce agli Stati membri, in deroga agli artt. 10 e 11, la possibilità di applicare imposte di trasferimento sui beni di qualsiasi natura che sono oggetto di un conferimento ad una società… è applicabile solo nella misura in cui il trasferimento di tali beni è rimunerato altrimenti che con quote sociali”.

Le riprodotte pronunce, tenuto conto dei richiami ai conformi precedenti di questa Corte contenuti in ciascuna, evidenziano l’effettiva sussistenza in seno a questo giudice di legittimità del contrasto di giurisprudenza denunziato con l’ordinanza di rimessione sulla specifica questione della tassazione delle operazioni di conferimento di anche solo un ramo di azienda prima dell’intervento del legislatore nazionale indicato innanzi.

B. La risoluzione del contrasto.

B.1. L’esposto contrasto – dal cui esame emerge una significativa omessa citazione in ciascuna dell’esistenza stessa della diversa e, quindi, la mancanza di qualsiasi tentativo di reciproca confutazione della contrarie ragioni logiche e giuridiche – va risolto in favore della tesi della non contrarietà della norma nazionale alle conferenti disposizioni comunitarie, e tanto (diversamente da quanto chiesto dalla ricorrente, ancora nelle memorie depositate) senza necessità di sottoporre la questione in via pregiudiziale all’esame della Corte di Giustizia delle Comunità Europee atteso che tale giudice – diversamente da quanto limitativamente sostenuto nella citata sentenza n. 7558 del 2003, la cui tesi è stata fatta propria dalla contribuente nelle memorie depositate -, come affermato nella sentenza n. 10059 depositata il primo agosto 2000, si è già univocamente pronunciato anche sulla questione proprio nella sentenza resa il giorno 11 dicembre 1997 nella causa C-42/96 – non citata e, quindi, non considerata dalle decisioni affermative della contrarietà, fondate, peraltro, sulla disamina del solo art. 7 della Direttiva -, nella quale ha affermato, appunto, la conformità detta “a condizione che imposte siffatte non siano superiori a quelle applicabili alle operazioni similari nello Stato membro che le riscuote”.

In tale decisione, invero, il giudice comunitario – dopo aver interpretato la Direttiva del Consiglio 17 luglio 1969 n. 69/335/CEE (relativa alle imposte indirette sulla raccolta di capitali), nella versione risultante per effetto delle modifiche apportate con la Direttiva 10 giugno 1985 n. 85/303/CEE, nel senso (punto 26) che la stessa “non si applica ad un’imposta nazionale” (INVIM, all’epoca in vigore) “che colpisca l’eventuale incremento di valore di un immobile constatato all’atto del conferimento del medesimo ad una società di capitali” ma “si applica viceversa all’imposta di registro, all’imposta ipotecaria ed all’imposta catastale” – ha, in via preliminare, ritenuto (punto 27) esser “d’uopo esaminare l’art. 12 della direttiva” (“anche se l’interpretazione di tale disposizione non è stata richiesta”) – ovverosia proprio la norma la cui portata è stata riduttivamente intesa nella ricordata sentenza n. 16876 del 2003 ed è allo stesso modo interpretata nelle memorie della contribuente – “allo scopo di fornire una soluzione utile al giudice nazionale” essendo “compito” proprio di essa Corte “interpretare tutte le norme di diritto comunitario che possano essere utili al giudice nazionale al fine di dirimere la controversia per cui è stato adito, anche qualora dette norme non siano espressamente indicate nella questione pregiudiziale sottopostale (sentenza 18 marzo 1993, Viessmann, causa C-280/91,… punto 11)”: ciò esposto, lo stesso giudice, ha esaminato (punto 29) la specifica “questione” del se “l’art. 12 della direttiva autorizzi uno Stato membro a percepire, all’atto dell’aumento del capitale di una società di capitali attuato mediante conferimento di immobili, imposte quali l’imposta di registro, l’imposta ipotecaria e l’imposta catastale” ed affermato, in ordine alla stessa, che (punto 32) “l’art. 12 della direttiva autorizza… gli Stati membri, in deroga agli artt. 10 e 11, a percepire segnatamente “imposte di trasferimento, ivi comprese le tasse di pubblicità fondiaria, sul conferimento ad una società, associazione o persona giuridica che persegue scopi di lucro, di beni immobili o di aziende commerciali situati sul loro territorio” n. 1, lett. b), a condizione però che tali imposte e diritti e tributi non siano superiori a quelli applicabili alle operazioni similari nello Stato membro che li riscuote (n. 2)”.

La Corte comunitaria, quindi, avendo rilevato (punto 30) che “il fatto generatore specifico dell’imposta di registro, dell’imposta ipotecaria e dell’imposta catastale non è il conferimento di immobili ad una società di capitali” in quanto dette imposte “colpiscono… qualsiasi trasferimento di proprietà di un immobile, chiunque sia la persona che l’effettua ed a qualsiasi titolo ciò avvenga (vendita, conferimento in società, donazione, successione o decisione giudiziaria)”, ha, in definitiva, affermato che “l’art. 12, n. 2, lett. b), della direttiva consente agli Stati membri di riscuotere, a titolo di diritti di trasferimento di immobili” (oggetto di quella specifica controversia) “imposte di registro la cui aliquota può essere superiore al tasso massimo dell’1% fissato all’art. 7, n. 2, della direttiva, nell’osservanza del limite posto all’art. 12, n. 2, seconda frase, della detta direttiva” (punto 36) e, quindi (punto 38), che “l’art. 12 della direttiva va interpretato nel senso che autorizza uno Stato membro, in deroga al divieto previsto all’art. 10 della detta direttiva, a riscuotere, all’atto dell’aumento del capitale sociale di una società di capitali attuato mediante conferimento di immobili, imposte quali l’imposta di registro, l’imposta ipotecaria e l’imposta catastale, a condizione che imposte siffatte non siano superiori a quelle applicabili alle operazioni similari nello Stato membro che le riscuote”: di conseguenza “spetta al giudice nazionale accertare che le imposte, rispettivamente, di registro, ipotecaria e catastale, di cui si esige il pagamento all’atto del conferimento di immobili in una società di capitali, non siano superiori a quelle gravanti su qualunque altro atto di trasferimento di proprietà effettuato da soggetti privati o da società non commerciali” (punto 37).

B.2. La lettura della sentenza della Corte comunitaria evidenzia il costante riferimento, dalla stessa operato, all’intero, complessivo disposto dell’art. 12, n. 1, lett. b) delle Direttiva – secondo il quale (testo del 1985) “gli Stati memori possono applicare, in deroga alle disposizioni degli articoli 10 e 11… b) imposte di trasferimento, ivi comprese le tasse di pubblicità fondiaria, sul conferimento ad una società, associazione o persona giuridica che persegue scopi di lucro, di beni immobili o di aziende commerciali situati sul loro territorio” -, quindi la valenza dell’esposta interpretazione di tale norma non solo al “conferimento” di “beni immobili” ma anche (non rinvenendosi ragioni, giuridiche o logiche, per una ermeneutica differenziata) a quello di “aziende” (o di un ramo delle stesse), accomunate dal legislatore comunitario nella medesima previsione e, pertanto, nella identica regolamentazione.

Nella sentenza in disamina la Corte comunitaria – come già posto in luce nella richiamata decisione 10059 del 2000 della sezione tributaria – ha assegnato all’imposta di registro prevista dalla legislazione italiana “una duplice natura, e cioè come avente ad oggetto sia l’apporto di beni al patrimonio di una società di capitali, sia il trasferimento della proprietà sugli stessi” per cui, come ovvio, è irrilevante la natura (immobiliare o di universitas) del bene di cui viene trasferita la proprietà con il suo conferimento.

La Corte comunitaria, pur avendo (come detto) ritenuto “d’uopo esaminare” ex officio “l’art. 12 della direttiva” -, peraltro, significativamente (data la diversità della fattispecie regolata nella medesima) non richiama nè considera lo stesso art. 12, lett. c), (secondo cui “gli Stati membri possono applicare, in deroga alle disposizioni degli artt. 10 e 11: c) imposte di trasferimento sui beni di qualsiasi natura che sono oggetto di un conferimento ad una società, associazione o persona giuridica che persegue scopi di lucro, nella misura in cui il trasferimento di tali beni è remunerato altrimenti che con quote sociali”) nè pone alcuna distinzione tra le due fattispecie di conferimento di immobili o di conferimento di aziende (o parte di) aziende commerciali accomunate nella lett. b) della stessa anche quanto alla loro rilevanza e, quindi, valutate in modo uniforme, con ciò univocamente (a) escludendo (diversamente, si ripete, da quanto sostenuto dalla contribuente nelle proprie memorie sulla scorta della citata sentenza n. 16876 del 2003) la conferenza di tale norma (in particolare dell’inciso finale “nella misura in cui il trasferimento di tali beni è remunerato altrimenti che con quote sociali”) e (b) confermando la identità del trattamento normativo sulla derogabilità, da parte del legislatore nazionale, “alle disposizioni degli artt. 10 e 11” della Direttiva quanto alle “imposte di trasferimento” (“ivi comprese le tasse di pubblicità fondiaria”) sul “conferimento ad una società, associazione o persona giuridica che persegue scopi di lucro” sia avente ad oggetto “beni immobili” che (come nel caso) “aziende commerciali” (oggetti ” situati sul loro territorio”), sempre che (punto 2 dello stesso art. 12 della Direttiva) – ma tanto non interessa la fattispecie perchè involge questioni mai neppure adombrate dalla contribuente – “tali imposte e diritti e tributi” non superino (“non possono inoltre essere superiori a”) ” quelli che sono applicabili alle operazioni similari nello Stato membro che li riscuote”. In definitiva va affermato il principio secondo cui “l’art. 4, lett. a), n. 3, della tariffa, parte prima, allegata al DPR 26 aprile 1986 n. 131 nel testo anteriore all’entrata in vigore della modifica introdotta dalla L. 23 dicembre 1999, n. 488, art. 10, comma 1, lett. c), n. 1), – che assoggetta (va) ad imposta proporzionale di registro il trasferimento di un immobile o di una azienda (come di un ramo di questa) connesso all’atto di un conferimento di immobili ad una società di capitali, siccome non ha ad oggetto il conferimento in sè ma – al pari di qualsiasi altra ipotesi di trasferimento di proprietà, quale che sia la persona che l’effettua ed a qualsiasi titolo ciò avvenga (vendita, donazione, successione, conferimento in società, o decisione giudiziaria) – il trasferimento di proprietà di detti beni (immobili od universitas) non è in contrasto con la direttiva comunitaria 11 luglio 1969 n. 69/335/CEE e con i limiti ed i divieti in essa posti, in quanto rientrano nell’ambito di previsione di cui all’art. 12 della medesima direttiva (come modificata con la successiva n. 85/303/CEE) – il quale autorizza gli Stati membri a percepire, in deroga agli artt. 10 e 11, imposte di trasferimento, ivi comprese le tasse di pubblicità fondiaria, sul conferimento ad una società, associazione o persona giuridica che persegua scopi di lucro, di beni immobili o di aziende commerciali situati sul loro territorio, a condizione che tali imposte e diritti e tributi non siano superiori a quelli applicabili alle operazioni similari compiute nello Stato membro che li riscuote -, in quanto la stessa non ha ad oggetto il conferimento in sè ma – al pari di qualsiasi altra ipotesi di trasferimento di proprietà, quale che sia la persona che l’effettua ed a qualsiasi titolo ciò avvenga (vendita, donazione, successione, conferimento in società, o decisione giudiziaria) – il trasferimento della proprietà di detti beni (immobili od universitas)”.

C. Il rigetto del secondo (ultimo) motivo di ricorso.

L’infondatezza dell’altro motivo – omessa pronuncia (in violazione dell’art. 112 c.p.c.) sulla “domanda subordinata”, “riproposta” nel giudizio di appello, tesa ad “ottenere, quanto meno, il rimborso della quota parte di imposta di registro (pari a L. 835.500.000) riferibile a quella parte di aumento di capitale sociale… servita a riportare quest’ultimo da L. 136.450.000 all’importo preesistente alla riduzione per perdite (L. 220.000.000.000” – discende dal rilevo che, contrariamente all’assunto della ricorrente, il giudice di appello ha espressamente esaminato detta domanda, rigettandola, laddove (incipit della motivazione) ha affermato che “la questione da affrontare è sostanzialmente una sola” (ovverosia quella involgente il contrasto della norma nazionale con quella comunitaria, rilevante per l’altra richiesta della contribuente) “essendo fuori discussione che l’aumento di capitale deliberato dall’assemblea dei soci per ripianare la perdita di L. 83.550.000.000 è stato realizzato con una parte del valore… dell’azienda conferita là dove il chiaro disposto della nota II all’art. 4 della tariffa I allegata al… D.P.R. n. 131 del 1986 sottrae al versamento dell’imposta i soli conferimenti in danaro”: con tale asserzione, infatti, la Commissione Tributaria Regionale ha inequivocamente ritenuto che la “nota II all’art. 4 della tariffa I allegata al… D.P.R. n. 131 del 1986, sottrae al versamento dell’imposta i soli conferimenti in danaro” e non anche i conferimenti di azienda.

La correttezza di tale giudizio e del conseguente rigetto della afferente domanda non è verificabile per carenza di specifica impugnazione: la statuizione del punto, pertanto, deve ritenersi intangibile perchè coperta dal giudicato interno, non essendo stata censurata altrimenti dalla contribuente.

4. Le spese processuali del giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra le parti ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, in considerazione de contrasto fin qui esistente nella giurisprudenza di questa Corte in ordine alla questione principale posta dalla controversia.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2010

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