Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9300 del 20/05/2020

Cassazione civile sez. lav., 20/05/2020, (ud. 27/11/2019, dep. 20/05/2020), n.9300

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17933-2016 proposto da:

AMAT PALERMO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TIMAVO 3, presso lo

studio dell’avvocato MAURO LIVI, rappresentata e difesa

dall’avvocato MIMI’ ALBERTO MUSUMECI;

– ricorrente –

contro

D.M.G., M.P., MU.MI., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA N. RICCIOTTI 11, presso lo studio

dell’avvocato MICHELE SINIBALDI, rappresentati e difesi

dall’avvocato GUIDO CACOPARDO;

– controricorrenti – ricorrenti incidentali –

nonchè contro

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29 presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

avvocati ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE, GIUSEPPE

MATANO, LELIO MARITATO e ESTER ADA SCIPLINO;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 537/2016 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 17/06/2016, R.G.N. 232/2014.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

– Il Tribunale di Palermo, in parziale accoglimento delle domande proposte da D.M.G., M.P. e Mu.Mi. nei confronti della s.p.a. A.M.A.T. Palermo, condannava quest’ultima al pagamento delle differenze retributive rivendicate in relazione alle superiori mansioni espletate, riconducibili al profilo di operatore certificatore par. (OMISSIS), nel periodo (OMISSIS).

Detta pronuncia veniva parzialmente riformata dalla Corte distrettuale che, con sentenza resa pubblica il 17/6/2016, accogliendo in parte l’appello principale proposto dalla società e quello incidentale spiegato dai lavoratori, condannava la s.p.a. AMAT Palermo a corrispondere in favore dei dipendenti, per le espletate mansioni di operatore tecnico par. (OMISSIS), le differenze retributive maturate dal gennaio 2006 alla data della pronuncia di primo grado, nonchè al pagamento delle ulteriori differenze retributive maturate sino alla data della pronuncia d’appello con accessori legali, ed alla regolarizzazione della posizione previdenziale dei lavoratori presso l’Inps.

Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione la società sulla base di quattro motivi. Resistono con controricorso i lavoratori, che a loro volta dispiegano ricorso incidentale sostenuto da plurimi motivi.

L’Inps non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con il primo motivo del ricorso principale si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 147 e 436 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si critica la statuizione con la quale i giudici del gravame hanno ritenuto rituale la notifica del ricorso incidentale proposto dai lavoratori, benchè perfezionata il 9 maggio 2014 alle ore 23,51 a fronte della fissazione dell’udienza di discussione nel giorno 20 maggio 2014, quindi ben oltre l’orario previsto dall’art. 147 c.p.c., secondo cui per la validità del procedimento notificatorio, è necessario che la notifica sia eseguita non prima delle ore 7 e non oltre le ore 21.

Essendo stato il ricorso in appello notificato oltre il termine di dieci giorni dall’inizio dell’udienza sancito dall’art. 436 c.p.c., l’atto doveva ritenersi inesistente per mancato raggiungimento dello scopo.

2. Il motivo va disatteso per le ragioni di seguito esposte.

Al di là di ogni considerazione in ordine al difetto di specificità del motivo che, in violazione dei dettami sanciti dall’art. 366 c.p.c., nn. 3, 4 e 6, non reca la riproduzione del tenore della notifica in via telematica dell’appello incidentale proposto dal lavoratore; ed al di là di ogni pur assorbente ulteriore rilievo concernente la non appropriata tecnica redazionale adottata – con la quale si denunzia un error in procedendo senza disporre alcun riferimento alle conseguenze che l’errore sulla legge processuale comporta, vale a dire alla nullità della sentenza e/o del procedimento, essendosi il ricorrente limitato ad argomentare solo sulla violazione di legge (vedi Cass. S.U. 24/7/2013 n. 17931, Cass. 28/9/2015 n. 19124), deve ritenersi non dirimente il richiamo della società ricorrente alla violazione della citata disposizione del codice di rito.

Pur volendo prescindere dalla circostanza che solo con il D.L. 24 giugno 2014, n. 90 conv. in L. 11 agosto 2014, n. 114 – successivamente, quindi, alla notifica dell’appello incidentale risalente al 9/5/2014 – è stato disposto che l’art. 147 c.p.c., si applica anche alle notificazioni eseguite con modalità telematiche, e volendo aderire alla prospettazione della ricorrente secondo cui la notifica si sarebbe perfezionata al di fuori dell’orario previsto da detta disposizione, quindi il successivo giorno 10 del mese di maggio, la notifica del ricorso sarebbe intervenuta entro i termini di cui all’art. 436 c.p.c., comma 2, in coerenza coi dettami dell’art. 155 c.p.c..

La formulata censura, non riposando su alcuna ragione meritevole di condivisione va, pertanto, respinta.

3. Con il secondo motivo si prospetta violazione e falsa applicazione degli artt. 345 e 437 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Ci si duole che la Corte distrettuale abbia proceduto alla disamina ed all’accoglimento delle domande volte a conseguire le differenze retributive spettanti anche in relazione al periodo successivo rispetto alla sentenza di primo grado, per la quale era stata proposta la domanda dei lavoratori. In tal senso si prospetta la novità dell’ulteriore istanza formulata dagli stessi in sede di appello incidentale, “finalizzate ad estendere il periodo controverso oltre quello dedotto nel primo grado di giudizio”.

4. Anche tale motivo non è meritevole di accoglimento.

S’impone infatti l’evidenza del difetto di specificità che connota la tecnica redazionale della censura, la quale non reca riproduzione del tenore degli atti processuali – il ricorso di primo grado ed il ricorso in appello – sui quali essa è fondata.

Secondo il condiviso insegnamento di questa Corte, i requisiti di

– contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza (ex plurimis, vedi Cass. 13/11/2018 n. 29093, Cass. 4/10/2018 n. 24340).

Nello specifico, l’omessa riproduzione, neanche nelle parti salienti, degli atti processuali che si pongono a fondamento della censura, non consente a questa Corte di cassazione (che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino) di verificare se la censura trovi effettivo riscontro, anche sulla base degli atti o documenti prodotti (ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) sui quali il ricorso si fonda; onde sotto tale profilo, la pronuncia resiste alla censura all’esame.

5. Il terzo motivo prospetta errata interpretazione dell’accordo in data 7/11/2005 redatto innanzi alla Commissione Provinciale di Conciliazione del lavoro, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

La ricorrente lamenta che la Corte di merito – con valutazione sovrapponibile a quella già espressa dal giudice di prima istanza – abbia ritenuto proponibile la domanda di differenze retributive proposta dai lavoratori successivamente all’accordo transattivo del 2005, che aveva ad oggetto le medesime mansioni già svolte in precedenza; censura quindi l’interpretazione dell’atto per aver tralasciato di considerare che le mansioni oggetto dell’accordo, erano le medesime svolte dai lavoratori nel periodo successivo e che in relazione a dette mansioni era stata riconosciuta la corrispondenza con il parametro (OMISSIS). Nell’ottica descritta si deduce l’erroneità degli approdi ai quali erano pervenuti i giudici del gravame attribuendo ai lavoratori il livello retributivo (OMISSIS) con le consequenziali differenze retributive, avendo in tal modo violato la volontà delle parti consacrata nel richiamato accordo del 2007.

6. Anche siffatto motivo va disatteso.

Devono invero ribadirsi le considerazioni già espresse in relazione al secondo motivo, con riferimento agli oneri imposti dall’art. 366 c.p.c., di produzione ed esplicazione, anche in forma riassuntiva, del contenuto dei documenti in relazione ai quali si denunci uno dei vizi scrutinabili ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1 nn. 3, 4 o 5; onere nella specie non rispettato dalla società ricorrente,che non ha provveduto a trascrivere il documento nel suo contenuto, nè indicando in quale parte del fascicolo lo stesso sarebbe rinvenibile.

Discende, da quanto sinora detto, che la doglianza non si sottrae ad un giudizio di inammissibilità.

5. Con la quarta censura si denuncia violazione del C.C.N.L. 27 novembre 2000, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3..

Si deduce l’erroneità del riconoscimento del livello retributivo n. (OMISSIS) piuttosto che di quello inferiore spettante, come desumibile dalla classificazione operata in sede di contrattazione collettiva, suffragata dalle acquisizioni probatorie.

6. Il motivo, in quanto espressamente fondato sulla regolamentazione offerta al rapporto controverso dal contratto collettivo nazionale di cui si denuncia la violazione e falsa applicazione ad opera dei giudici d’appello, presenta profili di inammissibilità.

E’ bene rammentare in proposito, che nell’ambito della contrattazione di lavoro privato, la conoscenza del giudice-interprete è consentita mediante l’iniziativa della parte interessata, da esercitare attraverso le modalità proprie del processo, non essendo previsti i meccanismi di pubblicità che assistono la contrattazione di lavoro pubblico (cfr. Cass. SS.UU. 12/10/2009 n. 21558 e n. 4/11/2009 n. 23329).

Nell’ottica descritta, e secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, l’onere del deposito degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o degli accordi collettivi sui quali si fonda il ricorso, sancito, a pena di sua improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, può dirsi soddisfatto: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di quelle fasi, mediante il deposito di quest’ultimo, specificandosi, altresì, nel ricorso l’avvenuta sua produzione e la sede in cui quel documento sia rinvenibile; b) se il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che lo stesso è depositato nel relativo fascicolo del giudizio di merito, benchè, cautelativamente, ne sia opportuna la produzione per il caso in cui quella controparte non si costituisca in sede di legittimità o la faccia senza depositare il fascicolo o lo produca, senza documento; c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza od all’ammissibilità del ricorso, oppure attinente alla fondatezza di quest’ultimo e formato dopo la fase di – merito e comunque dopo l’esaurimento della possibilità di produrlo, – mediante il suo deposito, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell’ambito del ricorso (Cass. SS.UU. 7/11/2013 n. 25038; Cass., SS. UU. 25/3/2010 n. 7161; conformi, tra le tante: Cass. 20/11/2017 n. 27475).

Inoltre questa Corte, sempre a Sezioni Unite, con sentenza del 23/10/2010 n. 20075 ha sancito che il richiamato art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, deve interpretarsi nel senso che, allorchè il ricorrente denunci la violazione o falsa applicazione di norme dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il deposito suddetto deve avere ad oggetto, a pena d’improcedibilità non già solo l’estratto recante le singole disposizioni collettive su cui il ricorso si fonda, ma anche il testo integrale del contratto o accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto dall’art. 1363 c.c. (vedi Cass. 4/3/2019 n. 6255, Cass. 4/3/2015 n. 4350).

Tali adempimenti valgono a definire compiutamente le modalità di collaborazione, cui il giudice e le parti sono chiamati a seguito dellè riforme di semplificazione processuale attuate dal legislatore, e a delineare, in tale ambito, specifici doveri di comportamento delle parti, non meramente formalistici, finalizzati alla conoscenza e al reperimento immediato degli atti e, più in generale, alla più ampia garanzia dell’azione e del contraddittorio (in termini: Cass. 25/11/2010 n. 23920).

Nella specie parte ricorrente non ha specificato nel ricorso per cassazione, come prescritto dall’insegnamento innanzi ricordato, l’avvenuta produzione integrale del contratto collettivo sui quali fonda il motivo, palesando il motivo sotto tale aspetto, profili di inammissibilità.

7. Peraltro, laddove si critica l’attività di esegesi delle dichiarazioni rese in sede testimoniale offerta dai giudici del gravame, negando che dalle stesse potessero evincersi quei margini di autonomia qualificanti la figura di Operatore Tecnico riconosciuta, e si argomenta in ordine alla circostanza che in ogni caso, lo svolgimento delle mansioni attribuite ai dipendenti, nello scorrimento verticale della carriera, non confluiva direttamente nella qualifica superiore riconosciuta, la censura tende a pervenire ad un rinnovato apprezzamento delle acquisizioni probatorie non consentito nella presente sede di legittimità.

Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da – parte del giudice di merito non dà infatti luogo ad alcun vizio denunciabile – con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10/6/2016 n. 11892).

Ed indubbiamente nella specie questa ipotesi non è riscontrabile, avendo la Corte distrettuale trattato compiutamente la quaestio facti secondo i paradigmi di riferimento, desumendo dalle dichiarazioni testimoniali richiamate lo svolgimento da parte dei lavoratori – in ragione degli strumenti impiegati o della delicatezza delle parti meccaniche sulle quali intervenivano – il grado di perizia e responsabilità coessenziali al riconoscimento della qualifica rivendicata.

In forza delle sinora esposte considerazioni, la censura va pertanto respinta.

8. Con il primo motivo del ricorso incidentale si denuncia violazione e falsa applicazione del R.D. n. 148 del 1931, art. 1, comma 2, dell’art. 12 CCNL autoferrotranvieri del 27/11/2000 e del C.C.N.L. 23 luglio 1976, art. 62, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Ci si duole che la Corte di merito abbia errato nel ritenere inapplicabile l’art. 2103 c.c., alla fattispecie in esame, giacchè la relativa questione era da ritenersi superata ed assorbita dalla circostanza in base alla quale la contrattazione collettiva introduceva un criterio di valutazione identico a quello sancito dall’art. 2103 c.c. e comunque un regime più favorevole al lavoratore, ex lege derogatorio rispetto al dettato di cui al R.D. n. 148 del 1931.

9. Con il secondo motivo è denunciata sempre violazione del C.C.N.L. autoferrotranvieri del 27 novembre 2000, art. 12, e del C.C.N.L. 23 luglio 1976, art. 62, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 prospettandosi una omessa pronuncia da parte dei giudici del gravame, in ordine alla rivendicata spettanza del diritto dei lavoratori al superiore inquadramento, anche ove la si intenda non come mera questione posta a fondamento della domanda di inquadramento superiore, ma come domanda autonoma.

10. Le doglianze, che possono congiuntamente trattarsi perchè fondate sulla dedotta omessa valutazione delle summenzionate norme collettive, soggiacciono alle medesime ragioni di inammissibilità enunciate in relazione alla quarta censura formulata dalla ricorrente in via principale, afferenti alla omessa indicazione della produzione in forma integrale del contratto collettivo di riferimento; dovendo, del pari, essere disattese.

11. La terza censura concerne violazione e falsa applicazione del R.D. n. 148 del 1931, art. 18. Si deduce che la pronuncia impugnata va cassata “dove ribadisce l’infondatezza della pretesa al riconoscimento della qualifica superiore rivendicata…ritenendo assorbita ogni altra questione”.

Si osserva che nell’ottica di una tendenziale omogeinizzazione del rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri con quello del settore privato, in caso di prolungata copertura provvisoria del posto, questa circostanza può essere apprezzata dal giudice quale elemento presuntivo della esistenza di una effettiva vacanza del posto che è stato ricoperto di fatto dal lavoratore con qualifica inferiore.

12. Il motivo palesa un difetto di specificità perchè, in violazione dei canoni sanciti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, non reca la riproduzione del tenore degli atti processuali relativi al giudizio di merito (ricorso primo grado e appello, quest’ultimo richiamato, quanto alle sole conclusioni, a p. 45 ricorso), onde consentire a questa Corte di verificare ex actis, il contenuto della critica che si assume formulata e la sua rituale formulazione in sede di gravame.

13. In definitiva, alla stregua delle sinora esposte considerazioni, entrambi i ricorsi vanno disattesi.

Il governo delle spese del presente giudizio segue il regime della compensazione ex art. 92 c.p.c. stante la situazione di reciproca soccombenza fra le parti.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, (che ha aggiunto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta entrambi i ricorsi. Compensa fra le partì le spese del presente giudizio. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e dei. ricorrenti incidentali: dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 27 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2020

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