Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9299 del 24/04/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 9299 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA
t

sul ricorso 25176-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e
difesa dall’avvocato TOSI PAOLO, giusta delega in
2014

atti;
– ricorrente –

207

contro

.

LERTA UMBERTO C.F. lrtmrt75a171304m, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 58, presso lo

Data pubblicazione: 24/04/2014

studio dell’avvocato COSSU BRUNO, che lo rappresenta
e difende unitamente all’avvocato SORDA GIUSEPPE
SAVERIO giusta delega in atti;
– controricorrente
1120/2007

D’APPELLO di GENOVA, depositata

della CORTE

il 22/10/2007

R.G.N

28/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del

16/01/2014

dal Consigliere Dott. LUCIA

TRIA;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega TOSI
PAOLO;
udito l’Avvocato BOMBOI SAVINA per delega verbale
COSSU BRUNO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n.

Udienza del 16 gennaio 2014 — Aula B
n.29 del ruolo — RG n.25176/08
Presidente: Lamorgese – Relatore: Tria

1.—La sentenza attualmente impugnata (depositata il 22 ottobre 2007), respingendo l’appello
di Poste Italiane s.p.a.: 1) conferma la sentenza del Tribunale di Genova del 25 gennaio 2006, nella
parte in cui il primo giudice ha dichiarato la nullità del termine apposto al quarto dei contratti di
lavoro stipulati tra le parti, relativo in particolare al periodo I marzo 1999-31 maggio 1999; 2)
afferma l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato,
condannando la società datrice di lavoro al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data della
costituzione in mora.
A tale conclusione la Corte territoriale perviene considerando che il suddetto contratto è stato
stipulato, in base all’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994 come integrato dall’accordo del 25
settembre 97, per esigenze eccezionali connesse alla fase di ristrutturazione dell’azienda e rilevando
che le assunzioni per tale causale erano ammesse fino al 30 aprile 1998 — data fissata dalle parti
collettive con accordo integrativo del 16 gennaio 1998 — sicché, nella specie, il termine doveva
ritenersi illegittimamente apposto.
2.—Il ricorso di Poste Italiane domanda la cassazione della sentenza per due motivi; resiste,
con controricorso, il lavoratore Umberto Leda.
La società ricorrente deposita anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ., nella propria
memoria, fra l’altro, invoca infine l’applicazione dello jus superveniens rappresentato dall’art. 32,
commi 5-7, della legge 4 novembre 2010, n. , in vigore dal 24 novembre 2010.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I

Sintesi dei motivi di ricorso

1. Il ricorso è articolato in due motivi.

1.1.— Con il primo motivo si denunciano, in relazione all’art. 360, n. 3 e n.5, cod. proc. civ.: a)
violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23, dell’art. 1362 c.c., dell’art. 8 del CCNL 26 novembre
1994, come integrato dall’accordo del 25 settembre 1997 e dai successivi accordi ad esso correlati;
b) vizio di motivazione, contestandosi l’interpretazione data alla contrattazione collettiva dal
Giudice del merito, con particolare riguardo al potere normativamente attribuito alla contrattazione
collettiva di individuare nuove ipotesi di assunzione a termine, in aggiunta a quelle stabilite
dall’ordinamento, che, secondo l’assunto della ricorrente, poteva essere esercitato senza limiti di
tempo, non prevedendosi alcun limite temporale al riguardo, con la conseguenza che agli accordi
c.d. attuativi del contratto del 25 settembre 1997 non poteva che riconoscersi una funzione
1

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

meramente ricognitiva della permanenza delle esigenze sottese alla necessità di stipulare ulteriori
contratti a termine.
1.2.- Con il secondo motivo si denunciano, in relazione all’art. 360, n. 3 e n.5, cod. proc. civ.:
a) violazione degli arti. 1372, 1362, 2697 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ.; b) vizio di
motivazione, per avere il Giudice d’appello rigettato l’eccezione di inammissibilità della domanda
per intervenuta risoluzione consensuale del rapporto, resa palese dal contegno di prolungata e
ininterrotta inerzia assunto dal lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine.

II Esame delle censure
2.- Il primo motivo contrasta con la giurisprudenza di questa Corte e non offre elementi per
mutare gli orientamenti interpretativi che in materia si sono ormai consolidati.
Va rilevato, al riguardo, che la Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo alla
considerazione che il contratto in esame è stato stipulato, per esigenze eccezionali … – ai sensi
dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 in data successiva al 30 aprile 1998. Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in
materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al CCNL del 2001
ed al d.lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione, in relazione alla
nullità del termine apposto al contratto de quo (anche se la motivazione della sentenza merita di
essere parzialmente corretta ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 2).

Correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto che la contrattazione collettiva abbia fissato
termini di scadenza dell’autorizzazione alla stipula di contratti a termine per l’ipotesi in questione.
Questa Corte ha, infatti, affermato, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, che
“l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire
nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende
dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del
mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con
l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto
a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare
ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni
oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali
all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (vedi:
Cass. 19 ottobre 2012, n. 18030; Cass. 4 agosto 2008 n. 21063; Cass. 20 aprile 2006 n. 9245, Cass.
7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di delega in
bianco a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi
vincolati all’individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma
dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema
da questa delineato” (fra le altre: Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378); in
tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti
collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la
nullità della clausola di apposizione del termine (vedi, tra le molte: Cass. 23 agosto 2006 n. 18383,
Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866).
2

3.- Tale interpretazione degli accordi attuativi (e in particolare dell’ultimo citato) è fondata sul
significato letterale delle espressioni usate, che è così evidente e univoco (“in conseguenza di ciò e
per far fronte alle predette esigenze si potrà procedere ad assunzioni di personale straordinario con
contratto a tempo determinato fino al 30.4.98”) che non necessita di un più diffuso ragionamento al
fine della ricostruzione della volontà delle parti (vedi, ex plurimis: Cass. 20 agosto 2003, n. 12245;
Cass. 25 agosto 2003, n. 12453), mentre, diversamente opinando – ritenendo cioè che la parti non
abbiano inteso introdurre limiti temporali alla deroga – si dovrebbe concludere che gli accordi
attuativi, così definiti dalle parti sindacali, fossero in sostanza “senza senso” (così testualmente
Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866 cit.).
4.- Peraltro, al riguardo deve ritenersi irrilevante l’accordo del 18 gennaio 2001, invocato
dalla società, in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga. Infatti,
ammesso che le parti stipulanti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi
precedenti, con effetti di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura
dell’accordo del 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), considerata
l’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovrebbe comunque escludersi che le
parti stesse avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto
solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina del d.lgs. n. 165 del 2001), di
autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della
durata in precedenza stabilita (vedi, tra le altre: Cass. 12 marzo 2004, n. 5141).
5.- In applicazione di tali principi, deve essere pertanto respinto il primo motivo,
confermandosi la nullità del termine apposto al contratto in esame (stipulato successivamente al 30
aprile 1998).
6.- Appare, invece, inesatta la statuizione della Corte territoriale secondo cui gli accordi
attuativi ebbero a stabilire non i termini entro i quali era consentita l’adozione del tipo contrattuale,
ma proprio i termini che legittimamente potevano essere apposti ai contratti individuali.
Questa Corte (vedi, per tutte: Cass. n. 18030/2012, n. 956/2010, Cass. n. 8121/2008, Cass. n.
166/2006), decidendo su ricorsi avverso altre sentenze della Corte d’appello di Genova basate sulla
medesima interpretazione dell’accordo in data 27 aprile 1998 e del c.d. addendum all’art. 7 del
3

In particolare, quindi, come questa Corte ha univocamente affermato, “in materia di
assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997,
integrativo dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo,
sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della
• situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente
ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino
alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a
termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con
l’ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti in contratti a tempo indeterminato,
in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (vedi, fra le altre: Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608;
Cass. 28 gennaio 2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass.
23 agosto 2006 n. 18378 cit.).

CCNL del 1998, ha ritenuto tale interpretazione viziata per violazione delle regole
dell’interpretazione dei contratti; in particolare, ha osservato che l’interpretazione accolta dalla
Corte di merito ha finito per attribuire all’accordo del 27 aprile 1998 l’effetto di chiarire l’intento
delle parti al di là del significato letterale di altre previsioni pattizie, precedenti e persino
successive, in violazione dell’art. 1362 c.c. e con motivazione insufficiente e contraddittoria.

Tuttavia (come già evidenziato nelle sentenze da ultimo citate), il conseguente accoglimento
della censura sotto questo profilo non determina la cassazione della sentenza impugnata, atteso che
il dispositivo in essa contenuto deve ritenersi conforme a diritto; infatti, essendo stato il contratto in
esame stipulato in data successiva al 30 aprile 1998, lo stesso, come si è in precedenza rilevato,
doveva ritenersi comunque illegittimo in quanto successivo alla scadenza del termine concordato tra
le parti con i c.d. accordi attuativi.
7.- Quanto al secondo motivo (che attiene alla statuizione con cui è stata respinta l’eccezione
di risoluzione del rapporto per mutuo consenso), la giurisprudenza della Corte di cassazione (cfr. ex
plurimis: Cass. n. 16932/2011, Cass. n. 23872/2009, Cass. n. 26935/2008, Cass. n. 20390/2007,
Cass. n. 23554/2004) ha ritenuto che “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della
sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima
apposizione al contratto di un termine finale scaduto) per la configurabilità di una risoluzione del
rapporto per mutuo consenso è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso
dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché, alla stregua delle modalità di tale
conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una
chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto
lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto
compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non
sussistono vizi logici o errori di diritto”.
8.- La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, “è di per
sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso” (vedi, tra le
altre: Cass. n. 5887/2011, Cass. n. 23057/2010), mentre “grava sul datore di lavoro”, che eccepisca
tale risoluzione, “l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e
certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (vedi ex plurimis:
Cass. n. 2279/2010).
9.- Nel caso in esame, la Corte d’appello ha rilevato che, sulla base degli elementi acquisiti
agli atti, non poteva ritenersi provato che l’inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a
termine fosse ascrivibile al suo disinteresse per la prosecuzione del rapporto, ovvero ad
acquiescenza alla risoluzione dello stesso, non essendo sufficiente, a tal fine, la circostanza che
l’appellato avesse atteso un rilevante periodo di tempo prima di intraprendere l’azione giudiziaria,
tanto più che, come documentalmente provato e ammesso dalla società, la materia delle assunzioni
a termine era stata disciplinata attraverso apposite circolari, con la previsione di elenchi di aspiranti,
graduatorie e precisi termini di scadenza per la presentazione delle domande di assunzione, sicché il
comportamento inerte tenuto dal lavoratore dopo la cessazione del contratto a termine ben poteva
4

Anche tale orientamento deve essere in questa sede pienamente ribadito.

trovare giustificazione nell’attesa di una nuova assunzione, ove i meccanismi unilateralmente creati
dalla società per il funzionamento della graduatoria l’avessero resa possibile. Si tratta di
considerazioni di merito congruamente motivate, come tali non censurabili sul piano logico, che
resistono, dunque, alle censure che ad esse vengono mosse in questa sede di legittimità, anche
perché la ricorrente, nell’affermare che il lavoratore aveva “intrattenuto altri rapporti di lavoro”
dopo la scadenza del contratto a termine con Poste Italiane, non ha indicato in quale atto sia stata
specificamente (e non solo genericamente) allegata tale circostanza e in quale sede e modo essa sia
stata provata o ritenuta pacifica.

10- Nella memoria depositata ex art. 378 cod. proc. civ. la società ricorrente ha invocato, in
via subordinata, l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n.
183, art. 32, commi 5, 6 e 7, in vigore dal 24 novembre 2010.
In ordine alla problematica relativa alla possibilità di applicare nel giudizio di legittimità i
nuovi criteri di determinazione del danno introdotti dalle disposizioni sopra citate, va premesso, in
via di principio, che, come già ripetutamente affermato da questa corte (cfr. ex plurimis Cass. n.
6638/2011), costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo jus
superveniens, che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto
controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto
di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato
dagli specifici motivi di ricorso (vedi, per tutte: Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio
2004 n. 4070); tale condizione non sussiste nella fattispecie, non essendo stata avanzata alcuna altra
censura, che riguardi in qualche modo le conseguenze economiche della dichiarazione di nullità
della clausola appositiva del termine, con la conseguenza che la richiesta in esame deve ritenersi
inammissibile.

III — Conclusioni
11.- In sintesi, il ricorso deve essere respinto. Le spese del presente giudizio di cassazione —
liquidate nella misura indicata in dispositivo — seguono la soccombenza e vanno distratte in favore
dell’avvocato Bruno Cossu, antistatario.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio di cassazione, liquidate in euro 100,00 (cento/00) per esborsi, euro 3500,00
(tremilacinquecento/00) per compensi professionali, oltre accessori come per legge, da distrarre in
favore dell’avv. Bruno Cossu, antistatario.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 16 gennaio 2014.

Anche il secondo motivo deve essere pertanto respinto.

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