Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9298 del 20/05/2020

Cassazione civile sez. lav., 20/05/2020, (ud. 27/11/2019, dep. 20/05/2020), n.9298

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4501-2016 proposto da:

C.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 268/A, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO ANTONINI,

rappresentato e difeso dall’avvocato PIERGIOVANNI ALLEVA;

– ricorrente –

contro

I CASTELLANI S.R.L. IN LIQUIDAZIONE (già CERINDUSTRIES S.P.A.), in

persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZA EUCLIDE 31, presso lo studio dell’avvocato AMALIA

FALCONE, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

FRANCO CARINCI e GIUSEPPE BELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1429/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 26/01/2015, R.G.N. 470/2009.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

La Corte d’appello di Bologna confermava la pronuncia del giudice di prima istanza che aveva respinto la domanda proposta da C.R. nei confronti di Cerindustries s.p.a. (già Porcellana di Rocca s.p.a.) volta a conseguire l’accertamento della intercorrenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con qualifica dirigenziale dal febbraio 2004, del diritto al risarcimento del danno pari alle retribuzioni perdute dopo il 31.12.2006 e del diritto di proseguire l’attività lavorativa dopo tale data con condanna della datrice di lavoro al “risarcimento del danno extracontrattuale da deprivazione delle mansioni”, oltre ad ulteriori differenze retributive ed alla regolarizzazione del rapporto sotto il profilo previdenziale.

Nel pervenire a tali conclusioni la Corte distrettuale osservava che il ricorrente aveva svolto nel periodo 2004-2006 attività alle dipendenze della Cerdomus s.p.a. con qualifica dirigenziale, nel contempo provvedendo alla commercializzazione dei prodotti della s.p.a. Porcellana di Rocca (società nella quale ricopriva il ruolo di Presidente B.L., Presidente altresì della società Cerdomus), alla stregua di un contratto d’opera occasionale stipulato il 18/11/2004 ed un contratto di collaborazione a progetto dal 1/4/2005 sino al 31/12/2006, oggetto di autonomo compenso.

Dalle acquisizioni probatorie in atti, era emerso che la Porcellana s.p.a. era priva di una autonoma struttura organizzativa; che il ricorrente, per l’espletamento della attività di commercializzazione dei prodotti di detta società, si avvaleva esclusivamente della collaborazione di personale della Cerdomus; che l’unico referente anche per la commercializzazione dei prodotti Porcellana di Rocca s.p.a. era sempre il Direttore Generale della società Cerdomus.

Escludeva la Corte che potesse configurarsi fra le parti un rapporto riconducibile alla locatio operarum, essendo più propriamente ascrivibile alla categoria della collaborazione autonoma, argomentando al riguardo che non poteva ritenersi preclusa “la contemporanea vigenza accanto al rapporto di lavoro subordinato dirigenziale, di un rapporto autonomo accessorio, volto nel caso concreto a sperimentare la possibilità di collocazione sul mercato statunitense dei prodotti della Porcellana”.

Deduceva, da ultimo, che “se si ragionasse nel solco degli argomenti spesi da parte appellante e volti a tratteggiare una attività lavorativa identica nei contenuti, nei tempi e nelle caratteristiche, ma svolta in favore di due distinti rapporti di lavoro, con rispettivi vincoli di subordinazione, dovrebbe giungersi non alla conclusione della coesistenza di due rapporti subordinati, giuridicamente e logicamente insostenibile, quanto piuttosto alla – individuazione di un unico rapporto di lavoro nei confronti di due distinti datori”.

In tal senso richiamava l’orientamento definito nella giurisprudenza di legittimità secondo cui è possibile concepire un’impresa unitaria che alimenta varie attività formalmente affidate a soggetti diversi, ben potendo sussistere “un rapporto di lavoro che veda nella posizione del lavoratore un’unica persona e nella posizione del datore di lavoro più persone, rendendo così solidale l’obbligazione del datore di lavoro”, secondo un regime di codatorialità.

Avverso tale decisione C.R. interpone ricorso per cassazione sostenuto da tre motivi. Resiste con controricorso la società intimata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con il primo motivo si denuncia violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato. Ci si duole che la Corte di merito, nel pervenire alle riportate conclusioni, abbia vulnerato il dedotto principio, non avendo il ricorrente giammai ipotizzato l’accertamento di un unico rapporto di lavoro subordinato nei confronti di due datori di lavoro, giacchè il petitum dell’azione concerneva esclusivamente l’emanazione di una pronuncia dichiarativa dell’esistenza di distinti rapporti di lavoro subordinato con la s.p.a. Porcellane di Rocca e con la società Cerdomus.

2. Il secondo motivo prospetta “contraddizione tra la parte motiva e la parte dispositiva della sentenza”.

Stigmatizza gli approdi ai quali è pervenuta la Corte di merito sul rilievo che l’accertamento della situazione di codatorialità comportava l’accoglimento delle domande volte a conseguire il riconoscimento di differenze retributive relative agli anni 2004-2006 in relazione al compenso corrisposto dalla Porcellana di Rocca s.p.a..

3. Con il terzo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1321 e 2094 c.c. “in ordine alla sussistenza di un autonomo parallelo rapporto di lavoro subordinato con Porcellana di Rocca accanto a quello tradizionale con Cerdomus”. Si deduce che la Corte distrettuale, al cospetto degli elementi acquisiti, avrebbe dovuto riconoscere l’intercorrenza fra le parti di un rapporto di lavoro subordinato.

4. Il ricorso non è fondato.

Quanto al primo motivo, e al di là di ogni pur assorbente considerazione in ordine alla non ammissibile tecnica redazionale adottata – con la quale si prospetta un error in procedendo in assenza di alcun riferimento alle conseguenze che l’errore sulla legge processuale comporta, vale a dire alla nullità della sentenza e/o del procedimento, essendosi il ricorrente limitato ad argomentare solo sulla violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (vedi Cass. S.U. 24/7/2013 n. 17931, Cass. 28/9/2015 n. 19124, Cass. 29/11/2016 n. 24247), si osserva che la doglianza non coglie nel segno e va pertanto, disattesa.

La Corte di merito ha infatti proceduto ad un ampio scrutinio del compendio probatorio acquisito, pervenendo al motivato convincimento relativo alla insussistenza di alcun vincolo di subordinazione che fosse idoneo a qualificare il rapporto di lavoro inter partes, con statuizione che non risponde ai requisiti della assoluta omissione o della irredimibile contraddittorietà che avrebbero potuto giustificare il sindacato in questa sede di legittimità (vedi Cass. S.U. 7/4/2014 n. 8053).

Il giudice del gravame, nel proprio incedere argomentativo, si è, invero, diffuso nel rimarcare che il rapporto di lavoro intercorso fra il ricorrente e la Porcellana di Rocca s.p.a. aveva assunto i connotati propri del rapporto di lavoro autonomo, sottolineato dalla assenza della struttura organizzativa ed amministrativa che avrebbe consentito di configurare nei termini della subordinazione, il rapporto di lavoro inter partes, essendo emersa l’evidenza della “necessità per il C. di appoggiarsi ad una struttura estranea al committente” (propria della società Cardomus) il cui assetto organizzativo veniva pienamente utilizzato.

In tale prospettiva, il rapporto del dirigente con la Porcellana di Rocca s.p.a. “non poteva che assumere contenuti privi di quello specifico inserimento nell’organizzazione produttiva con aspetti di eterodirezione, seppure attenuati in ragione del ruolo dirigenziale, propri del rapporto dipendente”.

La Corte distrettuale, conferendo peculiare rilievo ai fini del giuridico inquadramento dei rapporti scrutinati, “alla volontà delle parti come manifestata nella scelta di specifiche forme contrattuali”, ha poi rimarcato che nessun profilo di illegittimità era riscontrabile in relazione al contratto di prestazione d’opera occasionale; ha quindi verificato la natura genuina del contratto di collaborazione a progetto stipulato il 174/2005, osservando che pur esistendo già “una rete di vendita nel mercato statunitense, essa riguardava i prodotti Cardomus, mentre il nuovo compito assegnato al C. era proprio quello di costruire una rete anche per i prodcitti della Porcellana, magari allargando ad essi la rete già esistente, circostanza peraltro confermata dalle prove raccolte”.

Rispetto all’iter motivazionale percorso dai giudici del gravame secondo le descritte modalità, che vale a configurare in termini di autonomia il rapporto di lavoro intercorso fra il ricorrente e la società Porcellana di Rocca, con reiezione di ogni pretesa di accertamento della riconducibilità all’archetipo della locatio operarum, deve ritenersi che la statuizione oggetto di impugnazione in base a detto primo motivo, si atteggi quale argomentazione ultronea, svolta ad abundantiam.

Gli argomenti spesi dalla Corte sul tema della codatorialità, sono il frutto di un ragionamento che si pone al di là del nucleo fondante della decisione concernente l’accertamento della natura autonoma del rapporto di lavoro oggetto di vaglio – configurando gli effetti giuridici che sarebbero potuti scaturire dalla prospettazione dell’attore (pur se dallo stesso non ipotizzati), ma che non consentivano in ogni caso, di pervenire alle conclusioni dallo stesso patrocinate, di riconoscimento fra le parti di un rapporto di lavoro riconducibile all’archetipo della locatio operarum.

Corollario di quanto sinora detto è che la censura, sotto il denunciato profilo, presenti aspetti di inammissibilità, come sancito dalla costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che censuri un’argomentazione della sentenza impugnata svolta “ad abundantiam”, e pertanto non costituente “ratio decidendi” della medesima (ex plurimis, vedi Cass. 23/11/2005 n. 24591, Cass. 22/11/2010 n. 23635, Cass. 10/4/2018 n. 8755).

Nell’ottica descritta, anche le doglianze formulate avverso la surrichiamata statuizione con la seconda censura, partecipano dei profili di inammissibilità che connotano la prima.

5. Il terzo motivo, del pari, deve essere disatteso.

Esso non reca una motivata censura alla articolata struttura motivazionale che sorregge la statuizione di accertamento negativo in ordine alla ricorrenza di un rapporto di lavoro subordinato con la s.p.a. Porcellana di Rocca, limitandosi a patrocinare la tesi della sussistenza di un doppio rapporto di lavoro svolto in favore di due distinti datori di lavoro.

In tal senso è opportuno il richiamo alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, cui va data continuità, secondo cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’ inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma ànche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (vedi ex aliis, Cass. 29/11/2016 n. 24298).

Alla stregua delle superiori argomentazioni, il ricorso va pertanto, respinto. La regolazione delle spese inerenti al presente giudizio, segue il regime della soccombenza, nella misura in dispositivo liquidata.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 27 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2020

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