Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9298 del 11/04/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 11/04/2017, (ud. 24/01/2017, dep.11/04/2017),  n. 9298

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4984/2015 proposto da:

D.F. C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA LETIZIA PIPITONE, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI TRAPANI C.F. (OMISSIS), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE ANGELICO, 249, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

RANDO, rappresentata e difesa dall’avvocato SALVATORE CIARAVINO,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1320/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 04/08/2014 r.g.n. 1851/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/01/2017 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Trapani ha respinto l’appello proposto da D.F. avverso la sentenza del locale Tribunale che aveva rigettato il ricorso volto ad ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimato il 2 febbraio 2011 dalla Azienda Sanitaria Provinciale di Trapani.

2. La Corte territoriale ha premesso che l’appellante era stato licenziato perchè in diverse occasioni, nel periodo maggio-agosto 2010, si era assentato dal lavoro per ragioni di salute, giustificando l’assenza con certificazioni redatte da medici privati, che erano state di volta in volta smentite dalle visite fiscali, all’esito delle quali era stata ridotta la durata della prognosi ed il lavoratore era stato invitato a sottoporsi ad una ulteriore visita di controllo, non effettuata a causa della mancata presentazione.

3. Il giudice di appello ha evidenziato che il consulente tecnico d’ufficio nominato dal Tribunale aveva ritenuto le riduzioni dei periodi di riposo compatibili con le diagnosi riportate nelle certificazioni, precisando, peraltro, che, in mancanza di una valutazione clinica riportata sul verbale di visita fiscale, non era possibile esprimere un giudizio sulla opportunità della riduzione.

4. Ciò premesso la Corte territoriale ha ritenuto ingiustificate le assenze perchè, a fronte di certificati medici sistematicamente ridimensionati in sede di visita fiscale, il lavoratore non poteva di sua iniziativa continuare ad assentarsi dal servizio sulla base della certificazione originaria nè era legittimato a sottrarsi alle visite di controllo disposte dal medico fiscale.

5. L’inadempimento è stato ritenuto di gravità tale da legittimare il licenziamento per giusta causa, in quanto la condotta, reiterata più volte in un breve periodo temporale, costituiva violazione degli obblighi gravanti sul lavoratore, arbitrariamente assentatosi dal lavoro in ripetute occasioni.

6. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso D.F. sulla base di due motivi. La Azienda Sanitaria Provinciale di Trapani ha resistito con tempestivo controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ” violazione o falsa applicazione dell’art. 2106 cod. civ. in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3″. Richiamati i fatti di causa e il giudizio espresso dal consulente tecnico d’ufficio nominato dal Tribunale, D.F. evidenzia che il giudice del merito avrebbe dovuto considerare che successivamente alle visite mediche di controllo, in occasione delle quali venivano ridimensionati i periodi di malattia, il medico curante redigeva ulteriori certificazioni che giustificavano pienamente l’assenza. Aggiunge che in una occasione il ricorrente risultava ricoverato in ospedale e che tutti i certificati impropriamente erano stati qualificati privati, posto che gli stessi in gran parte provenivano da strutture pubbliche. Richiama giurisprudenza di questa Corte per sostenere che in caso di contrasto tra certificato del medico curante e valutazione espressa dal medico di controllo il giudice deve procedere ad una valutazione comparativa al fine di stabilire quale sia il giudizio più attendibile perchè il legislatore, nell’affidare ad organi pubblici il controllo della malattia, non ha inteso attribuire all’accertamento una efficacia probatoria assoluta. Infine il ricorrente evidenzia che la patologia era stata sempre riscontrata, sicchè doveva escludersi la asserita ingiustificatezza dell’assenza.

2. Il secondo motivo censura la sentenza impugnata per ” violazione e falsa applicazione di legge, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, sulla gravità della sanzione comminata “. Si sostiene che la Corte territoriale avrebbe omesso di motivare sulla gravità del comportamento e sulla necessaria proporzione fra fatto addebitato e sanzione comminata. Evidenzia, inoltre, il ricorrente che ai fini di detto giudizio doveva essere valorizzata la effettiva sussistenza dello stato di malattia, che rende la fattispecie non assimilabile alla ipotesi normale di assenteismo dal lavoro.

3. Entrambi i motivi di ricorso presentano profili di inammissibilità, sia perchè formulati senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione imposti dall’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6, e art. 369 c.p.c., n. 4, sia perchè sollecitano una diversa valutazione delle risultanze processuali, non consentita alla Corte di legittimità.

Quanto al primo aspetto va ribadito che i requisiti imposti dall’art. 366 c.p.c., rispondono ad un’esigenza che non è di mero formalismo, perchè solo la esposizione chiara e completa dei fatti di causa e la descrizione del contenuto essenziale dei documenti probatori e degli atti processuali rilevanti consentono al giudice di legittimità di acquisire il quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione impugnata, indispensabile per comprendere il significato e la portata delle censure.

Gli oneri sopra richiamati sono altresì funzionali a permettere il pronto reperimento degli atti e dei documenti il cui esame risulti indispensabile ai fini della decisione sicchè, se da un lato può essere sufficiente per escludere la sanzione della improcedibilità il deposito del fascicolo del giudizio di merito, ove si tratti di documenti prodotti dal ricorrente, oppure il richiamo al contenuto delle produzioni avversarie, dall’altro non si può mai prescindere dalla specificazione della sede in cui il documento o l’atto sia rinvenibile (Cass. S.U. 7.11.2013 n. 25038).

Nel caso di specie, sebbene le censure siano fondate sulle certificazioni che avrebbero attestato la esistenza di patologie di gravità tale da impedire la prestazione dell’attività lavorativa, il ricorso non trascrive il contenuto dei documenti rilevanti nè indica in quale sede e da chi gli stessi siano stati prodotti.

3.1. Si deve aggiungere che l’esame dei documenti esibiti e la valutazione delle risultanze probatorie involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (in tal senso fra le più recenti Cass. 2.8.2016 n. 16056).

Il ricorso è, quindi, inammissibile nella parte in cui tende a censurare la valutazione espressa dal giudice del merito quanto al contenuto delle certificazioni mediche ed alle conclusioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio.

4. Il primo motivo è infondato lì dove sostiene che, qualora il certificato del medico curante sia in contrasto con gli accertamenti compiuti in sede di visita di controllo, non può essere ritenuta ingiustificata l’assenza del lavoratore che ometta di riprendere servizio, facendo affidamento sulla originaria certificazione, perchè la posizione di imparzialità degli organi pubblici ai quali il controllo è demandato non implica che per ciò solo la valutazione espressa da questi ultimi sia maggiormente attendibile.

Il Collegio intende dare continuità all’orientamento già espresso da questa Corte che, giudicando in fattispecie analoga, ha evidenziato che ” ai fini dell’adempimento dell’obbligo del lavoratore di comunicare al datore di lavoro lo stato di malattia o il suo prolungamento, l’esito della visita di controllo sostituisce la prognosi del certificato medico iniziale, fino a quando non sia a sua volta sostituita da un altro giudizio tecnico (ferma restando la possibilità dell’interessato di contestare l’esattezza delle valutazioni tecniche dei sanitari), sicchè, a partire dal momento in cui, secondo l’esito della visita di controllo, è possibile la ripresa del servizio, il lavoratore che continui la propria assenza, senza alcuna comunicazione, incorre nella violazione del predetto obbligo, non potendo la protrazione dell’assenza ritenersi giustificata dalla certificazione originariamente inviata al datore di lavoro” (Cass. 14.5.2003 n. 7478).

Il principio, affermato con riferimento al rapporto di lavoro privato, a maggior ragione deve valere nell’impiego pubblico contrattualizzato ove l’assenza del lavoratore, non più giustificata dalla originaria certificazione, in quanto incide sulla funzionalità e sul buon andamento dell’ufficio pubblico, assume una particolare connotazione negativa, che ha indotto il legislatore ad introdurre con il D.Lgs. n. 150 del 2009, il D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 55 quater e 55 septies. Dette disposizioni prevedono la sanzione del licenziamento rispettivamente per l’assenza ingiustificata superiore a tre giorni, anche non continuativi nell’ultimo biennio, e per la mancata osservanza degli obblighi di trasmissione per via telematica della certificazione attestante lo stato di malattia, ove accompagnata da dolo o colpa grave (sulla interpretazione dell’art. 55 septies, si rimanda a Cass. 25.8.2016 n. 17335).

Il rigore giustamente imposto dal legislatore ai responsabili delle strutture nel controllo delle assenze per malattia e gli obblighi posti a carico dei dipendenti dal richiamato art. 55 septies (rispetto rigoroso delle procedure e delle cosiddette fasce di reperibilità, con obbligo di preventiva comunicazione dell’allontanamento dal domicilio anche se imposto da esigenze di cura) sono incompatibili con la pretesa irrilevanza delle valutazioni espresse all’esito della visita di controllo, sicchè correttamente la Corte territoriale ha ritenuto non giustificata la mancata ripresa del servizio, rilevando che il ricorrente non poteva, senza dimostrare la erroneità della seconda valutazione e senza comunicare alcunchè al datore di lavoro, protrarre l’assenza “a quel punto divenuta senza titolo”.

5. Il giudice di appello ha anche espresso un giudizio di particolare gravità della condotta, considerando gli elementi del caso concreto (reiterazione del comportamento in breve arco temporale, omessa presentazione alla visita di controllo) sicchè deve ritenersi infondato il secondo motivo di ricorso, tanto più che l’asserito difetto di proporzionalità fra addebito contestato e sanzione inflitta è smentito dalla disciplina sopra richiamata.

6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno poste a carico del ricorrente nella misura indicata in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve darsi atto della ricorrenza delle condizioni previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato dovuto dal ricorrente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e Euro 4.000,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese generali del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 24 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2017

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