Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9294 del 20/05/2020

Cassazione civile sez. lav., 20/05/2020, (ud. 13/11/2019, dep. 20/05/2020), n.9294

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22607-2014 proposto da:

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TARANTO 18,

presso lo studio dell’avvocato ANTONIO BRANCACCIO, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANTONIO SCUDERI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI SALERNO, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO CANTORE 5, presso lo

studio dell’avvocato FRANCESCO MARIA GAZZONI, rappresentato e difeso

dagli avvocati PAOLO MOLINARA, MAURIZIO MARANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 379/2014 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 25/03/2014 R.G.N. 1205/2011.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. P.A., ingegnere, dipendente del Comune di Salerno dal 30/3/1980, titolare dal 30/5/1994 dell’incarico di responsabile del Settore Trasporti e Viabilità, a far data dal 27/11/1996 incardinato nella 1a qualifica dirigenziale con sottoscrizione del relativo contratto, agiva innanzi al Tribunale di Salerno lamentando l’illegittimo comportamento tenuto dal Comune che aveva rimodulato, smembrandolo, il Settore Trasporti e Viabilità al quale era stato assegnato, ed aveva collocato il P. in posizione inferiore (Capo dei Servizi tecnici comunali), per poi riassemblare il contesto dirigenziale mediante la progressiva, continua e consistente riassegnazione di compiti in suo favore, senza però l’attribuzione dell’incarico di gruppo I (nel quale era stato ricompreso il Settore Trasporti e Viabilità) cui aveva diritto per tutta l’attività svolta che era rimasta inalterata (come attività attinente ad un vero e proprio Settore) nonostante la formale preposizione ad un Servizio;

deduceva, in particolare, la violazione del giusto procedimento previsto dalla legislazione nazionale nonchè dalla contrattazione nazionale e decentrata per il conferimento degli incarichi dirigenziali e dei principi di buona fede e correttezza, la violazione dei principi in materia di rotazione degli incarichi (che avrebbe dovuto in ogni caso salvaguardare la professionalità), l’illegittimità dello smembramento del Settore Trasporti cui l’Amministrazione aveva fatto fronte con il progressivo assemblaggio delle stesse funzioni al P. cui però era stato attribuito il solo incarico di capo servizi tecnici (IV gruppo);

chiedeva che fosse riconosciuto il suo diritto ad una retribuzione proporzionata alle attività svolte riconducibili all’ambito del Settore nonchè il diritto alle maggiorazioni di retribuzione (sia di posizione che di risultato) prevista dall’art. 8 del c.c.n.l. per l’intervenuta attribuzione di più incarichi, la violazione dell’art. 2087 c.c., per non aver l’Amministrazione predisposto tutto quanto necessario per la tutela della salute del dipendente, con conseguente risarcimento del danno;

2. il Tribunale, in parziale accoglimento della domanda, riconosceva in favore del P. a titolo di risarcimento la complessiva somma, equitativamente determinata, di Euro 15.000,00 ritenendo che, l’amministrazione, in violazione dei principi di buona fede e correttezza, non avesse consentito al P. un sereno espletamento dei vari incarichi conferiti anche con l’assegnazione di personale adeguato a supportare la corretta esecuzione delle molteplici attività assegnategli e che tale condotta fosse stata causativa del danno biologico lamentato dal ricorrente ed accertato dal c.t.u.;

3. la Corte d’appello di Salerno confermava integralmente tale decisione;

riteneva la Corte territoriale che, non sussistendo un diritto al conferimento dell’incarico dirigenziale, non potesse estendersi il danno da demansionamento alla retribuzione di posizione e di risultato;

escludeva, poi, un demansionamento dirigenziale attese le importanti, plurime, qualificanti mansioni che il P. era stato chiamato a svolgere;

evidenziava che il predetto non avesse dimostrato di aver percepito una retribuzione non proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto nè avesse dedotto una non conformità della retribuzione percepita al dettato dell’art. 36 Cost.;

escludeva la sussistenza di un comportamento di mobbing in danno del ricorrente e richiamava, sul punto, le argomentazione di cui alla sentenza di primo grado;

riteneva, infine, che la liquidazione del danno biologico fatta dal Tribunale non fosse stata parametrata alla metà della retribuzione, come sostenuto, dal P., ma fosse stata determinata equitativamente e che su tale valutazione equitativa l’appellante non avesse articolato alcuna doglianza;

4. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso P.A. con sei motivi;

5. il Comune di Salerno ha resistito con controricorso;

6. il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. con il primo motivo il ricorrente denuncia error in judicando, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, dell’art. 13 del c.c.n.l. enti locali, del c.c.d.i. Comune di Salerno, dell’art. 2103 c.c.;

rileva che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che il comportamento del Comune non fosse violativo dei criteri di assegnazione degli incarichi dirigenziali;

insiste nel ritenere che il suo passaggio da Dirigente del Settore a Dirigente del Sevizio avesse integrato un demansionamento;

sostiene che l’amministrazione fosse tenuta a garantire il livello di professionalità conseguito in virtù dell’incarico in precedenza ricoperto;

2. il motivo è infondato;

2.1. questa Corte ha più volte affermato che fanno capo al dirigente due distinte situazioni giuridiche soggettive, perchè rispetto alla cessazione anticipata dell’incarico lo stesso è titolare di un diritto soggettivo che, ove ritenuto sussistente, dà titolo alla reintegrazione (se possibile) nella funzione dirigenziale ed al risarcimento del danno, mentre a fronte del mancato conferimento di un nuovo incarico può essere fatto valere un interesse legittimo di diritto privato, che, se ingiustamente mortificato, non legittima il dirigente a richiedere l’attribuzione dell’incarico non conferito ma può essere posto a fondamento della domanda di ristoro dei pregiudizi ingiustamente subiti (v. Cass. 13 novembre 2018, n. 29169; Cass. 1 dicembre 2017, n. 28879; Cass. 3 febbraio 2017, n. 2972; Cass. 18 giugno 2014, n. 13867);

2.2. non vanno, dunque, confusi il diritto soggettivo al conferimento dell’incarico e l’interesse legittimo di diritto privato correlato all’obbligo imposto alla pubblica amministrazione di agire nel rispetto dei canoni generali di correttezza e buona fede nonchè dei principi di imparzialità, efficienza e buon andamento consacrati nell’art. 97 Cost., sicchè il dirigente non può pretendere dal giudice un intervento sostitutivo e chiedere l’attribuzione dell’incarico, ma può agire per il risarcimento del danno, ove il pregiudizio si correli all’inadempimento degli obblighi gravanti sull’amministrazione (Cass. 23 settembre 2013, n. 21700; Cass. 24 settembre 2015, n. 18972; Cass. 14 aprile 2015, n. 7495);

2.3. quanto a quest’ultima azione è stato richiamato il principio generale secondo cui, nel lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni (per i dirigenti statali in virtù di espressa previsione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19), alla qualifica dirigenziale corrisponde soltanto l’attitudine professionale all’assunzione di incarichi dirigenziali di qualunque tipo e pertanto non è applicabile l’art. 2103 c.c., risultando la regola del rispetto di determinate specifiche professionalità acquisite non compatibile con lo statuto del dirigente pubblico (v. Cass. 22 dicembre 2004; Cass. 15 febbraio 2010, n. 3451; Cass. 22 febbraio 2017, n. 4621; Cass. 20 luglio 2018, n. 19442);

2.4. anche il sistema normativo del lavoro pubblico dirigenziale negli enti locali (trasfuso nel D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 109) esclude la configurabilità di un diritto soggettivo del dirigente a conservare in ogni caso determinate tipologie di incarico dirigenziale, ancorchè corrispondenti all’incarico assunto a seguito di concorso specificatamente indetto per determinati posti di lavoro, pure anteriormente alla cosiddetta “privatizzazione” (v. Cass. 22 febbraio 2017, n. 4621; Cass. 20 luglio 2018, n. 19442);

lo stesso sistema, peraltro, conferma il principio generale che, nel lavoro pubblico, alla qualifica dirigenziale corrisponde soltanto l’attitudine professionale all’assunzione di incarichi dirigenziali di qualunque tipo e non consente perciò – anche in difetto della espressa previsione di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, stabilita per le Amministrazioni statali – di ritenere applicabile l’art. 2103 c.c., risultando la regola del rispetto di determinate specifiche professionalità acquisite non compatibile con lo statuto del dirigente pubblico locale, con la sola eccezione della dirigenza tecnica, nel senso che il dirigente tecnico, il cui incarico è soggetto ai principi della temporaneità e della rotazione, deve comunque svolgere mansioni tecniche (v. Cass. 22 dicembre 2004, n. 23760; Cass. 15 febbraio 2010, n. 3451 nonchè Cass. n. 4621/2017 cit.; Cass. n. 19442/2018 cit.);

2.5. nella specie, per quello che si evince dalla sentenza impugnata, non è in discussione la legittimità della disposta cessazione ante tempus dell’incarico di direzione del Settore Trasporti e Viabilità già conferito al P. (per effetto dello smembramento e trasformazione del Settore in Servizi, Impianti, Viabilità e Manutenzione, costituito da due distinti Servizi) ma il mancato conferimento allo stesso dell’incarico di dirigente di Settore e l’assegnazione della sola dirigenza di uno di detti Servizi;

non vigendo la regola dell’equivalenza delle mansioni e non essendo in discussione che fosse stata, nello specifico, compromessa la professionalità “tecnica” (discutendosi solo dell’assegnazione ad un incarico di direzione per il quale, in dipendenza dell’operato smembramento dei servizi del precedente settore e della successiva graduazione delle funzioni in sette distinti gruppi, era stata prevista una diversa, e ridotta, retribuzione di risultato e conseguentemente di posizione) non può sostenersi che la mancata assegnazione di un incarico equivalente a quello in precedenza ricoperto costituisca automaticamente fonte di danno risarcibile (si consideri che, in tema di dirigenza pubblica, è stato ritenuto che non determina un demansionamento la cessazione di un incarico di funzione e la successiva attribuzione di un incarico di studio: v. da ultimo Cass. 9 aprile 2018, n. 8674);

2.6. discutendosi di danno da violazione di interesse legittimo di diritto privato alla linearità e congruità delle determinazioni assunte dall’Ente, lo stesso non poteva certo coincidere con quanto sarebbe stato dovuto in forza del contratto non concluso, occorrendo la deduzione e prova di una lesione dannosa di legittimo affidamento rispetto all’incarico al quale il P. aspirava (si pensi, ad esempio, al pregiudizio derivato dall’eventuale inadempimento di obblighi gravanti sul Comune in relazione agli atti preliminari, all’assenza di adeguate forme di partecipazione dell’interessato medesimo al processo decisionale, alla omessa esternazione delle ragioni giustificatrici della scelta, alla perdita patrimoniale per le spese inutilmente sostenute in relazione alle trattative, alla mancata possibilità di cogliere altre occasioni professionali presentatesi nel corso della fase preliminare, circostanze, tutte, non prospettate nel caso in esame – v. anche infra);

2.7. anche un autonomo danno all’immagine professionale non poteva dirsi conseguenza automatica della supposta illegittimità del conferimento ad altri dell’incarico preteso, ma doveva essere dedotto e provato;

ed infatti, se è possibile che l’assegnazione ad un nuovo incarico dirigenziale sia realizzata con modalità tali da configurare un inadempimento contrattuale per la compromissione della professionalità del lavoratore, anche nella forma della perdita di chance, ovvero per la lesione della sua dignità professionale (v. Cass. 8 novembre 2017, n. 26469, in motivazione; più in generale v. Cass. 20 giugno 2016, n. 12678 del 2016), il danno risarcibile deve essere allegato e provato dal danneggiato secondo i noti principi che presiedono all’accertamento ed alla liquidazione dei danni patrimoniali e non patrimoniali, senza alcun automatismo che faccia ritenere lo stesso sussistente in re ipsa (v. Cass. 7 gennaio 2019, n. 137) e soprattutto senza che lo stesso possa coincidere (come pretenderebbe il ricorrente) con quanto sarebbe stato dovuto in forza del contratto non concluso;

peraltro, nello specifico, quanto alla professionalità, proprio il ricorrente assume che in punto di fatto nulla o poco fosse cambiato visto che il Comune aveva comunque assegnato al predetto i medesimi plurimi incarichi di prima;

2.8. il P. sostiene, più precisamente, che fosse degradante essere assegnato ad un Servizio di IV gruppo rispetto ad un Settore di I gruppo;

tale affermazione non risulta, però, supportata da una corrispondente chiara differenziazione di livelli dirigenziali e correlativi complessivi trattamenti retributivi nè da circostanze quali ad esempio il venir meno di funzioni apicali e la sottoposizione ad altrui direttive;

invero a pag. 32 del ricorso il P. assume che per effetto dell’assegnazione al IV gruppo gli fosse stata riconosciuta una retribuzione di posizione inferiore a quella prevista per I gruppo (“con conseguenti riflessi sulla retribuzione di risultato”);

tuttavia non integra un demansionamento nè non può riconoscersi come danno la perdita (di quota) della retribuzione di posizione e di risultato, non configurandosi, per quanto sopra detto, un diritto del dirigente alla preposizione ad un ufficio di direzione, alle quali le predette voci siano connesse;

3. con il secondo motivo il ricorrente denuncia error in judicando, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, dell’art. 13 del c.c.n.l. enti locali, del c.c.d.i. Comune di Salerno, dell’art. 2103 c.c.;

censura la sentenza impugnata per aver incentrato le proprie valutazioni sul ritenuto mancato demansionamento laddove con il gravame si era censurato altro, vale a dire il mancato rispetto dei principi previsti per il conferimento degli incarichi dirigenziali e la mancata attribuzione dell’incarico di Direttore della Struttura (e dunque delle relative retribuzioni) nonostante la pluralità di funzioni a mano a mano attribuite dall’Amministrazione;

rileva che la Corte territoriale avrebbe dato importanza solo a quanto si era verificato dopo l’assegnazione del P. al IV gruppo ma non avrebbe considerato che il demansionamento si era già verificato con tale assegnazione relativa ad incarico non omogeneo a quello in precedenza rivestito;

inoltre sarebbe stato erroneamente accomunato il momento iniziale della vicenda (vale a dire l’affidamento dell’incarico di dirigente di Servizio) con gli accadimenti successivi a tale affidamento (e cioè con il mantenimento del P. nel medesimo incarico nonostante attribuzioni sempre crescenti, tali addirittura da superare i compiti assegnati allorchè il predetto era dirigente del Settore Trasporti e Viabilità);

sostiene che la domanda avanzata dal P. fosse stata diversa da quella ritenuta dalla Corte territoriale e cioè “se in presenza di specifiche funzioni assegnate dall’Amministrazione che concretavano gli estremi della dirigenza del Settore, poteva essere richiesta in sede giurisdizionale – non la sola relativa retribuzione – ma anche la formale assegnazione dell’incarico di Settore”;

4. il motivo è infondato;

4.1. il rilievo presuppone innanzitutto una non omogeneità tra l’incarico in precedenza rivestito dal P. e quello successivamente conferito (quantomeno, come sembra, in sede di iniziale assegnazione) ma non è chiaro in cosa tale non omogeneità fosse consistita nè quali regole fossero state violate nella procedura di assegnazione;

l’asserito “mancato rispetto dei principi previsti per il conferimento degli incarichi dirigenziale” resta affermazione del tutto generica che non è supportata da alcuna base normativa ovvero comunque da precisi riferimenti fattuali;

4.2. quanto alla richiesta di formale assegnazione dell’incarico di dirigente di Settore per il solo fatto di aver svolto come dirigente di Servizio funzioni riconducibili al primo, valga tutto quanto evidenziato con riferimento al primo motivo di ricorso in ordine alla insussistenza di un diritto al conferimento di un determinato incarico dirigenziale;

4.3. nè corrisponde al vero che sul punto la Corte territoriale non si sia pronunciata emergendo dalla sentenza impugnata che il preteso diritto al ruolo di Direttore di Settore e non di semplice Direttore di Servizio in ragione dell’importanza della funzione all’interno dell’Amministrazione e della posizione apicale (che vedeva quali referenti lo stesso Sindaco e l’Assessore competente) “non esiste nel nostro ordinamento e sul punto si è già detto” – v. pag. 11 della sentenza;

4.4. peraltro il ricorrente, nel dedurre di aver svolto mansioni riconducibili alla dirigenza di Settore fa piuttosto riferimento alla situazione come esistente prima della rimodulazione del Settore Trasporti e Viabilità (come se la pregressa esperienza dirigenziale costituisse un bagaglio di professionalità immutabile in tutte le caratteristiche) e nulla riferisce in merito ai riflessi che detta rimodulazione possa aver avuto tanto sull’assetto del ruolo di dirigente di Settore quanto su quello del ruolo di dirigente di Servizio;

5. con il terzo motivo il ricorrente denuncia error in judicando in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 2013 c.c., dell’art. 36 Cost., del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52;

sostiene che il demansionamento risultasse per tabulas dall’assegnazione al IV gruppo quanto a valore economico;

6. anche tale motivo è infondato per le ragioni già evidenziate con riferimento al primo motivo di ricorso essendo i rilievi basati sull’erronea premessa che un danno fosse identificabile con la perdita delle quote di retribuzione per il mancato conferimento dell’incarico di dirigente di Settore;

7. con il quarto motivo il ricorrente denuncia error in judicando, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per la violazione dell’art. 116 c.p.c.;

lamenta che la Corte territoriale nella parte in cui ha evidenziato che il P. non avesse fornito alcuna prova di aver percepito una retribuzione insufficiente e non proporzionata alla qualità e quantità del lavoro svolto non avrebbe tenuto conto delle acquisizioni istruttorie e della stessa valutazione offerta dalla Corte dell’importanza delle funzioni svolte dal P.;

8. il motivo è inammissibile;

8.1. la violazione dell’art. 116 c.p.c. è configurabile solo allorchè il giudice apprezzi liberamente una prova legale, oppure si ritenga vincolato da una prova liberamente apprezzabile (Cass. 10 giugno 2016, n. 11892; Cass. 19 giugno 2014, n. 13960; Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965), situazioni queste non sussistenti nel caso in esame;

invero le censure fanno leva su una rappresentazione dei fatti diversa da quella accertata dalla Corte territoriale e, quindi, finiscono tutte per addebitare al giudice d’appello l’esercizio del potere di libera valutazione delle prove che, al di fuori dei limiti suddetti, non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4,- dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (v. Cass. n. 11892/2016 cit.), non ravvisabile nella fattispecie, perchè la sentenza impugnata dà ampio conto delle ragioni per le quali la Corte territoriale ha ritenuto di dovere respingere la domanda intesa ad ottenere la retribuzione di posizione e di risultato propria del Direttore di Settore;

9. con il quinto motivo violazione il ricorrente denuncia error in procedendo e judicando, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione dell’art. 112 c.p.c. e in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame della domanda volta ad ottenere l’accertamento in fatto delle mansioni svolte come dirigente di Settore con la corresponsione della corrispondente retribuzione di posizione e di risultato;

richiama le censure di cui al primo motivo e sostiene che la Corte territoriale avrebbe erroneamente non considerato che il P. aveva chiesto il riconoscimento della retribuzione di posizione pari alle attività effettivamente svolte configuranti attività di dirigenza di Settore;

10. il motivo è infondato;

10.1. vanno innanzitutto richiamate le stesse ragioni già sopra evidenziate con riguardo agli altri motivi di ricorso;

10.2. si aggiunga che non risulta che il ricorrente avesse impugnato la graduazione delle funzioni della dirigenza come effettuata dalla G.M. con delibera n. 232 del 7/2/2000 con suddivisione delle stesse in sette gruppi, a ciascuno dei quali era stata assegnata una diversa retribuzione di posizione (e, di conseguenza, anche di risultato);

11. con il sesto motivo il ricorrente denuncia error in procedendo e judicando, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione dell’art. 112 c.p.c., e degli artt. 8 e 9 c.c.d.i., approvato dalla G.M. di Salerno con delibera n. 232 del 7/2/2001 e, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti;

lamenta che la Corte territoriale non si sia pronunciata sulle domande incartate ai numeri 6 e 7 delle conclusioni e cioè sulle domande afferenti la maggiorazione della retribuzione di posizione per l’ipotesi di conferimento di funzioni che aumentino la responsabilità gestionale;

12. il motivo è infondato;

va ricordato che la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonchè dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost., comma 2, ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione anche a fronte di un error in procedendo, quale la motivazione omessa, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, anche quando si tratti dell’implicito rigetto della domanda (v. Cass., Sez. Un. 2 febbraio 2017, n. 2731);

nella specie la questione giuridica sottesa al rilievo è da disattendere sol che si consideri che la disciplina invocata dal ricorrente fa riferimento ad un potere discrezionale dell’Ente di incrementare la retribuzione di posizione in determinati casi (assenza di coordinamento del dirigente di Settore e/o collocazione in posizione di staff, rilevante aumento della responsabilità gestionale, tenuto conto dei programmi dell’amministrazione e/o in seguito all’entrata in vigore di nuove disposizioni legislative);

13. conclusivamente il ricorso deve essere rigettato;

14. la regolamentazione delle spese segue la soccombenza;

15. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, ricorrono le condizioni previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Comune controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo prescritto a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2020

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