Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9291 del 20/05/2020

Cassazione civile sez. lav., 20/05/2020, (ud. 13/11/2019, dep. 20/05/2020), n.9291

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9241-2015 proposto da:

REDMARK S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DELLA LIBERIA’ 10, presso

lo studio dell’avvocato FRANCESCO CAPECCI, rappresentata e difesa

dagli avvocati WALTER PAGANI e ENRICO GRAGNOLI;

– ricorrente –

contro

O.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO

82, presso lo studio dell’avvocato CATERINA PRINCIPATO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO SQUILLACE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 601/2014 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 15/10/2014, R. G. N. 38/2014; udita la relazione della

causa svolta nella pubblica udienza del 13/11/2019 dal Consigliere

Dott. DE GREGORIO FEDERICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione; udito l’Avvocato ENRICO GRAGNOLI;

udito l’Avvocato CATERINA PRINCIPATO per delega orale avvocato

ANTONIO SQUILLACE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 17 luglio 2013 il giudice del lavoro di Ancona rigettava la domanda dell’ex agente O.M., volta ad ottenere spettanze ulteriori a titolo di differenze provvigionali, nonchè di integrazione sia dell’indennità di fine agenzia di cui all’art. 1751 c.c., sia dell’indennità sostitutiva del mancato preavviso. Secondo il tribunale, a fronte della pacifica cessazione del rapporto di agenzia al 31 dicembre 2008, l’estratto conto del 24 luglio 2009 era pertinente al secondo trimestre di tale anno e non già al primo trimestre del 2009, come per mero errore materiale indicato in detto estratto. Quest’ultimo risultava, quindi, già saldato dalla preponente, come del resto quello del primo trimestre. Il primo giudicante aveva, inoltre, ritenuto non dovute le pretese provvigioni concernenti i cosiddetti affari pendenti (affari conclusi dopo la cessazione del rapporto di agenzia e dovuti esclusivamente o prevalentemente all’intervento dell’agente), poichè non risultava trasmessa alla preponente convenuta S.r.l. REDMARK l’apposita relazione sull’attività compiuta prima della cessazione del rapporto, relazione considerata essenziale per la maturazione del diritto alla provvigione in forza della specifica previsione di cui all’art. 6 della accordo economico collettivo del settore industria. Inoltre, nessuna differenza provvigionale spettava all’ex agente, poichè quanto alla lamentata unilateralità nella riduzione delle aliquote provvigionali era emerso che in realtà la modifica era stata consensualmente accettata dall’agente senza condizioni. Per di più non poteva essere computato ai fini dell’indennità sostitutiva del mancato preavviso il periodo risalente di prestazioni occasionali per affari procacciati prima della stipulazione del regolare contratto di agenzia. In conclusione, non erano stati ravvisati dal tribunale i presupposti per la liquidazione dell’indennità di fine agenzia nella misura massima indicata dal ricorrente in ragione di complessivi Euro 46.343,70 a fronte di quella percepita in Euro 10.400.

La Corte d’Appello di Ancona con sentenza n. 601 in data 9 – 15 ottobre 2014, rigettava l’impugnazione incidentale (concernente unicamente il regolamento delle spese relative al giudizio di primo grado), spiegata dalla appellata S.r.l. REDMARK, ed in parziale accoglimento di quella principale condannava detta società al pagamento, in favore dell’ O., appellante principale, della somma di Euro 6710,05 a titolo di provvigioni postume, nonchè di Euro 18.358 a titolo di integrazione dell’indennità di fine agenzia, oltre accessori di legge.

Condannava, inoltre, la REDMARK al rimborso delle spese relative al primo ed al secondo grado del giudizio, all’uopo liquidate, rispettivamente, in 6000,00 ed in 5000,00 Euro, oltre accessori come per legge).

Secondo la Corte territoriale, meritavano pregio i primi due motivi di gravame, essendo emerso dai documenti acquisiti che nel primo quadrimestre dell’anno 2009 erano maturati affari con le clienti FASHION CONTAINER e MANIFATTURA PAOLONI, già contattate in trattative di acquisto dall’agente O. negli ultimi mesi dell’anno 2008 con l’esibizione di campionari e con proposte di ordinativi, sicchè spettavano a detto agente le provvigioni per tali affari, essendo evidente la prevalenza dell’attività promozionale fornita dell’ O., mentre l’agente subentrato M. aveva iniziato il proprio rapporto di agenzia nella stessa zona soltanto dai primi giorni di maggio 2009, ragion per cui il buon fine di tali affari non poteva che ascriversi ad altri se non all’ O.. In proposito non rilevava che tali clienti fossero stati trattati direttamente dal presidente della società, poichè non essendo stati i predetti inseriti nel novero dei clienti direzionali (indicati nominativamente all’art. 3 del contratto di agenzia in data 1 febbraio 2006) gli affari conclusi in conseguenza delle proposte avanzate dall’agente di zona ricadevano nel regime di esclusiva, generando quindi in ogni caso provvigioni indirette.

Nè alla maturazione del diritto risultava ostativa la presentazione della prescritta relazione soltanto dopo la cessazione del rapporto di agenzia (segnatamente nella specie la missiva di cui alla raccomandata 31 agosto 2009, con la quale erano state richieste in modo specifico le provvigioni concernenti le clienti FASHION CONTAINER e MANIFATTURA PAOLONI), dovendosi escludere che la clausola di cui all’art. 6, comma 100, dell’accordo economico collettivo per la disciplina del rapporto di agenzia del settore industriale (accordo richiamato dal paragrafo 17 del contratto individuale di agenzia) configurasse un termine finale comminato a pena di decadenza, trattandosi viceversa di un onere a carico dell’agente, in quanto tale idoneo a condizionare soltanto l’esigibilità del credito da provvigioni, come risultava palese dallo stesso tenore letterale e dalla connessione delle espressioni adoperate (“l’agente o rappresentante ha diritto alla provvigione sugli affari proposti conclusi anche dopo lo scioglimento del contratto, se la conclusione è l’effetto soprattutto dell’attività da lui svolta in essa avvenga entro un termine ragionevole dalla cessazione del rapporto. A tal fine, all’atto della cessazione del rapporto, l’agente o il rappresentante relazionerà dettagliatamente la preponente sulle trattative commerciali intraprese, ma non concluse, nel caso dell’intervenuto scioglimento del contratto di agenzia. Qualora nell’arco di quattro mesi dalla data di cessazione del rapporto alcune di tali attività vadano a buon fine l’agente avrà diritto alle relative provvigioni, come sopra regolato”). Secondo la Corte anconetana, risultava evidente quindi che la maturazione del diritto era condizionata sia dal nesso causale tra le trattative intavolate dall’agente ed il buon fine dell’affare, sia dalla conclusione entro un termine ragionevole dalla cessazione del rapporto, che la disciplina collettiva fissava di regola in un quadrimestre, fatti salvi diversi accordi tra le parti, fermo restando l’obbligo per l’agente, a richiesta della preponente, di prestare l’opera di sua competenza per la completa o regolare esecuzione degli affari in corso; ciò che evidenziava la finalità strumentale della relazione dettagliata, utile alla preponente per il monitoraggio delle trattative in corso.

Nel caso di specie il buon fine di tali trattative assorbiva ogni considerazione sulla connotazione asseritamente tardiva della relazione richiesta all’agente, sicchè erano dovute le provvigioni al 10% sugli affari documentati dalle tre fatture della FASHION CONTAINER (una del (OMISSIS) e 2 delle successivo (OMISSIS)), nonchè della fattura n. (OMISSIS) in data (OMISSIS), emessa dalla MANIFATTURA PAOLONI, tutte per un importo complessivo di Euro 6710,05. In carenza di espressa deroga e in ogni caso in difetto di prova dell’attività prevalente dell’ex agente per la maturazione degli affari in epoca successiva (2 maggio 2009, la domanda AA/3 dell’ O. per il pagamento delle provvigioni asseritamente maturate anche in epoca successiva al primo quadrimestre dell’anno 2009 non poteva essere accolta, anche perchè la prospettazione dell’appellante principale non considerava che la misura del diritto era circoscritta tassativamente nei limiti cronologici fissati dalla citata clausola di cui all’art. 6 dell’accordo economico collettivo, non derogata. In ogni caso, l’appellante principale non aveva dimostrato che la sua attività promozionale svolta negli ultimi mesi dell’anno 2008 avesse avuto ricadute positive anche in epoca successiva 2 maggio 2009.

Parzialmente fondato, inoltre, secondo la Corte distrettuale, era l’ultimo motivo di gravame principale, posto che la liquidazione dell’indennità di fine agenzia nella misura minima di Euro 10.400, una volta riscontrata la ricorrenza dei requisiti meritocratici previsti dall’art. 1751 c.c. (infatti la società convenuta aveva ammesso l’incremento iniziale della clientela ad opera dell’ O. nonchè la permanenza di vantaggi, sebbene non consistenti), risultava lesiva del diritto all’equo pagamento di tale indennità in considerazione delle provvigioni perse dall’agente per effetto del recesso intimatogli. Tanto comportava che in ogni caso, trattandosi di attività promozionale prestata con merito (riconosciuto anche dalla preponente in base al premio aggiuntivo riconosciuto per il raggiungimento del target 2006), non sussistevano ragioni ostative all’attribuzione – nel ventaglio tra il minimo esigibile e il massimo corrispondente alla media aritmetica delle provvigioni maturate nella nullità del rapporto di agenzia- della misura media dell’indennità, computata pertanto non sull’intero ma sulla metà della media delle provvigioni annuali. Di conseguenza, considerata la spettanza a titolo di indennità di fine agenzia della somma complessiva di Euro 28.758, ossia la metà dell’importo medio annuale delle provvigioni maturate calcolato in Euro 57.516, parte convenuta andava condannata a pagare l’integrazione, considerato che a tale titolo era stata già corrisposta la somma di Euro 10.400.

Pertanto, il parziale accoglimento dell’appello principale con assorbimento di quello incidentale condizionato, determinava in base al criterio della soccombenza sostanziale a carico della società REDMARK il carico delle spese processuali, tenuto altresì conto del comportamento della preponente, contrario a correttezza e buona fede, desumibile dalla mancata informativa concernente la maturazione di affari del primo quadrimestre dell’anno 2009 con i suddetti clienti.

Avverso la sentenza di appello in data 30-03-2015 ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, la S.r.l. REDMARK, cui ha resistito il sig. O.M. con controricorso. Memoria ex art. ex 378 c.p.c., risulta depositata per la società ricorrente soltanto il giorno 11 novembre u.s. alle ore 12.30, perciò oltre il termine di giorni cinque.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, è stata denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 1748 c.c., comma 3, nonchè dell’art. 2729 dello stesso codice in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in ogni caso, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per le seguenti ragioni:

Con la cessazione del rapporto di agenzia si estingue qualunque diritto dell’agente compreso quello di esclusiva. Per gli affari conclusi dopo l’estinzione del rapporto, il diritto sorge dall’art. 1748 c.c., comma 3 e nei limiti previsti da tale disposizione. Di conseguenza, l’attore O. avrebbe dovuto dimostrare che la conclusione degli affari in questione era da ricondurre prevalentemente all’attività da lui svolta. Quindi, era fuorviante il rinvio all’istituto delle provvigioni indirette, che non hanno nulla a che vedere con l’art. 1748, comma 3 e con il regime delle provvigioni per gli affari successivi alla conclusione del rapporto, poichè il diritto di esclusiva non opera oltre tale limite (e non potrebbe essere diversamente visto che il rapporto si estingue). Ne derivava il dovere per il giudice di verificare che gli affari fossero andati a buon fine per l’attività prevalente dell’agente cessato, cosicchè la ricostruzione operata dalla sentenza di secondo grado violava una lineare applicazione dell’art. 1748 c.c., comma 3, interpretazione imperniata sull’elemento letterale.

Per altro verso, erroneamente si era fatto riferimento al ragionamento presuntivo, laddove la Corte d’Appello aveva giustificato il diritto dei compensi de quibus, desumendo la prevalente attività promozionale dell’agente O. per il solo fatto che quello subentrato aveva iniziato il proprio rapporto soltanto ci dai primi giorni di maggio 2009, donde la violazione dell’art. 2729 c.c., comma 1, essendo stata ricavata con un procedimento logico contrario a tale norma la prova dell’attività del signor O. dal solo fatto che il nuovo agente aveva operato con qualche mese di ritardo. Si trattava di un vizio logico dedurre da ciò il fatto che gli affari conclusi con la FASHION CONTAINER e con la MANIFATTURA PAOLONI fossero stati provocati dall’attività dell’ O., in quanto una simile presunzione non era basata su fatti gravi, precisi e concordanti, ma unicamente su di una circostanza irrilevante. Infatti, secondo la ricorrente, l’arrivo in ritardo nella zona e l’inizio dell’attività qualche mese dopo da parte del nuovo agente non escludevano in alcun modo che gli affari fossero stati procurati dall’attività diretta della stessa REDMARK, come dalla stessa sostenuto in giudizio. Non a caso la sentenza impugnata aveva cercato di eludere il problema, assumendo che l’agente avrebbe avuto diritto alle provvigioni dirette anche per il periodo successivo all’estinzione del rapporto, ciò tuttavia in contrasto con l’art. 1748 c.c., comma 3. Pertanto, escluso il diritto alle provvigioni dirette, restava stabilire se gli affari con le suddette due clienti fossero andati a buon fine per l’attività prevalente dell’ O., sicchè a tale riguardo la presenza in zona di un nuovo agente con qualche mese di ritardo era del tutto irrilevante, poichè da essa non poteva evincersi degli affari con la FASHION CONTAINER e con la MANIFATTURA PAOLONI fossero stati provocati dall’ O. e non già dalla preponente, come da questa sostenuto.

D’altro canto, era ravvisabile anche l’omesso esame critico di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, considerato che dopo l’estinzione del rapporto l’agente non ha diritto alle provvigioni indirette, sicchè la sentenza impugnata avrebbe dovuto affrontare e non eludere il problema posto dall’art. 1748, comma 3, e cioè stabilire se gli affari con le anzidette società fossero stati procurati, per il periodo successivo all’estinzione del rapporto, dall’attività dell’ O., ovvero da quella espletata dall’amministratore della società preponente. Al contrario, il problema era stato eluso, al limite essendo stato escluso che gli affari fossero stati procurati dal nuovo agente, ma trascurando di esaminare se gli stessi fossero stati invece procurati in via diretta dall’amministratore della società, ipotizzandosi l’irrilevanza della questione con riferimento alle provvigioni indirette, però da escludersi. Il problema, pertanto, non era stato affrontato e riguardo a tale circostanza, il cui esame era stato omesso del tutto, fermo restando l’onere probatorio a carico di parte attrice, parte ricorrente ha rinviato a tutto quanto dedotto dalla stessa nel giudizio di secondo grado con le affermazioni per intero trascritte (memoria difensiva di costituzione nel giudizio di appello in data 20 febbraio 2014, pagina 11 e seguenti – da punto 2 in avanti riportata alle pagine da 19 a 24 del ricorso per cassazione).

Con il secondo motivo di ricorso è stata denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 100, dell’accordo economico collettivo sui rapporti degli agenti di imprese industriali, stipulato il 20 marzo 2002, e per quanto di ragione degli artt. 1362, 1366 e 1367 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Nel caso di specie l’interpretazione letterale dell’anzidetto art. 6, comma 10, portava a risultati univoci, con riferimento alle testuali parole “all’atto della cessazione del rapporto, l’agente rappresentante relaziona dettagliatamente la preponente sulle trattative commerciali intraprese, ma non concluse, a causa dell’intervenuto scioglimento del contratto di agenzia…”. Per contro, l’impugnata sentenza aveva considerato rilevante in proposito un atto del 31 agosto 2009, nonostante il rapporto fosse cessato il 31 dicembre 2008, ritenendo quindi che non occorresse la consegna della relazione al momento della cessazione del rapporto, in palese contrasto perciò con la portata letterale della norma. L’interpretazione adottata dal giudice di secondo grado aveva, quindi, di fatto natura abrogativa di una parte del testo, peraltro di interpretazione univoca e non a caso compresa in modo ineccepibile dal primo giudicante. Del resto, la consegna della relazione dopo otto mesi dalla cessazione del contratto e quindi prima del pagamento delle provvigioni, ma non alla fine della collaborazione, comporterebbe, secondo la ricorrente, un’interpretazione in violazione degli artt. 1366 e 1367, poichè l’anzidetta clausola contrattuale intendeva consentire per un verso alla preponente di avere notizia delle trattative in corso e per altro verso la determinazione al momento della cessazione del rapporto dei contributi che l’agente allega di aver dato alle trattative, cosicchè possano essere subito identificate quelle in corso per le quali l’interessato pretende il pagamento delle provvigioni nel caso di buon esito degli affari. Tale finalità risulterebbero frustrate, in caso di ritardo nella consegna della relazione a distanza di tempo, dopo otto mesi. Oltretutto la previsione negoziale sarebbe di fatto abrogata, perciò in contrasto radicale con l’art. 1367 c.c., che impone un’interpretazione volta a salvare il contenuto dispositivo degli accordi e ad attribuire un significato positivo alle scelte negoziali. Per contro, nel caso di specie era stata validamente considerata una diffida giunta il 1 agosto 2009, che non poteva quindi in alcun modo corrispondere agli obiettivi di cui al cit. art. 6, comma 100.

Con il terzo motivo la ricorrente ha denunciato la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1751 c.c., nonchè in ogni caso l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, con riferimento alla somma liquidata in ragione di Euro 28.758 dalla Corte d’appello. In proposito, la società ricorrente ha evidenziato di aver ritenuto equitativamente corretto il riconoscimento all’ex agente della somma di Euro 15.180,90 di cui 10.400 corrisposti in data 23-4-2010 direttamente dalla mandante al signor O., ed Euro 2600 versati all’erario, quale sostituto d’imposta, ed Euro 2180,90 quale FIRR accantonato presso l’Enasarco e riscosso dall’agente.

Invece, nel suo ricorso d’appello l’ O. aveva riconosciuto la dovuta detrazione dell’acconto versato dalla società in ragione di Euro 10.400 e del FIRR erogato dall’Enasarco pari a Euro 1267,82.

Pertanto, l’impugnata sentenza era incorsa nella violazione dell’art. 1751 c.c., con riferimento alla quantificazione dell’indennità prevista da tale norma, poichè non aveva dedotto dall’importo liquidato quanto già versato a titolo di ritenuta d’acconto, ma soltanto l’importo netto di Euro 10.400 e non già il lordo di Euro 13.000, come da allegata documentazione. Ad ogni modo, la circostanza non risultava esaminata dal giudice di secondo grado, che neppure aveva spiegato le ragioni per le quali non avesse considerato anche l’importo di Euro 2600.

Con il quarto motivo è stata denunciata la nullità della sentenza del procedimento per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118, delle relative norme di attuazione, in relazione all’art. 360, n. 4, dello stesso codice, con riferimento alle medesime circostanze di cui alla precedente censura sub 3, concernenti la liquidazione della somma di Euro 28.758 con detrazione del solo acconto netto di Euro 10.400, donde la violazione dell’obbligo di motivazione della sentenza, di cui risultava evidentissimo nel caso di specie il difetto.

Con il quinto motivo è stata ancora denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 1751 c.c., nonchè in ogni caso l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per la mancata considerazione delle somme versate a titolo di indennità per la risoluzione del rapporto al fondo per l’indennità di risoluzione del rapporto, c.d. FIRR, presso la fondazione Enasarco.

L’art. 1751 c.c., imponeva di tener conto, nel calcolo dell’indennità ivi prevista, anche di tutto quanto versato alla fondazione Enasarco, ed in particolare all’anzidetto Fondo in ragione di Euro 2180,90, e non soltanto di quanto corrisposto a mani dell’agente (Euro 10.400, oltre alla ritenuta di acconto di Euro 2600). Inoltre, l’impugnata sentenza non aveva quindi tenuto conto dell’anzidetto pagamento di Euro 2180,90 (peraltro con il ricorso d’appello l’ O. aveva riconosciuto come dovuta anche la detrazione della somma di Euro 1267,82 quale FIRR erogatogli dall’Enasarco).

Con il sesto motivo di ricorso è stata ulteriormente dedotta la nullità dell’impugnata sentenza del relativo procedimento per violazione dei succitati art. 132, n. 4 e art. 118, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, tanto sempre in riferimento alla liquidazione dell’indennità di cui all’art. 1751 c.c., operata dalla Corte d’Appello, in violazione dell’obbligo di motivazione, del tutto omessa, stante la mancata considerazione delle somme versate dalla preponente, segnatamente dell’importo di 2180,00 Euro.

Infine, con il settimo motivo è stata denunciata la nullità della sentenza impugnata e del procedimento, ancora per violazione dei succitati art. 132, n. 3 e art. 118, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 4, per non aver la sentenza impugnata in alcun modo motivato le ragioni della condanna alle spese, essendo evidentissimo nella specie il carattere solo apparente della motivazione, riferita al problema delle cosiddette provvigioni indirette per il periodo successivo all’estinzione del rapporto di agenzia. Per contro, le domande dell’attore erano state accolte soltanto in parte, essendo state invece respinte quelle relative all’invocato pagamento di provvigioni per 2549,51 Euro, di Euro 5000 a titolo di differenze provvisionali e di Euro 4946,20 a titolo di indennità sostitutiva di preavviso, nonchè quella di valore indeterminato riguardo ai contributi previdenziali ed assicurativi.

Secondo la ricorrente, la propria soccombenza si era ridotta omplessivi Euro 25.068,05 (18358 + 6710,05), a fronte di domande per complessivi Euro 60.717,83 ed oltre. La mancanza di una motivazione sulle ragioni di una completa condanna di essa società ricorrente alle spese di lite era tanto più grave, tenuto conto che REDMARK era risultata vincitrice per più della metà delle domande. Il difetto di motivazione risultava altresì più grave, considerato che, nonostante l’ O. fosse risultato “più soccombente che non” all’esito del giudizio di appello, egli si era visto riconoscere non già il rimborso parziale delle spese, ma addirittura un rimborso totale, liquidato nell’ingente e già di per sè iniqua somma complessiva di Euro 21 mila, cioè in una somma di poco inferiore all’importo della condanna di merito (Euro 25.068,05).

Tanto premesso, le anzidette doglianze appaiono infondate in base alle seguenti considerazioni.

Ed invero, rilevato che il contratto di agenzia in esame risulta pacificamente cessato il 31 dicembre 2008, la Corte di merito ha motivatamente accertato, alla luce pure delle acquisite risultanze documentali, con apprezzamento quindi insindacabile in questa sede di legittimità, che la conclusione degli affari intervenuta (entro il primo quadrimestre dell’anno 2009) con le clienti FASHION CONTAINER e MANIFATTURA PAOLONI risaliva in misura prevalente all’attività promozionale posta in essere dall’agente O. negli ultimi mesi del suo mandato, terminato appunto, alla fine del 2008, sicchè gli competevano le corrispondenti provvigioni, tenuto conto che l’agente subentrato aveva iniziato a operare soltanto agli inizi di maggio 2009 e che operava inoltre, pure nei confronti della preponente, il regime di esclusiva. Del resto, l’esclusiva connaturata al contratto di agenzia (che nel caso di specie non risulta, ad ogni modo, derogata in senso sfavorevole per l’agente, tanto più inoltre che i succitati clienti nemmeno figuravano tra quelli direzionali, riservati alla sola REDMARK) dispiega in suoi effetti non solo durante la permanenza del rapporto, ma anche per il periodo successivo in relazione al quale possono maturare i diritti relativi a provvigioni, c.d. postume, atteso che i due momenti (quello dell’attività promozionale e quello della conclusione dell’affare) di regola non coincidono.

Quindi, deve ritenersi errata la tesi di parte ricorrente, secondo cui cessato il contratto al 31 dicembre 2008 sarebbe cessata anche la connessa esclusiva a favore dell’agente, la quale per contro, in quanto scaturente dal precedente rapporto, si riflette inevitabilmente pure nel tempo successivo con riferimento all’anteriore attività preponderante contemplata dall’art. 1748 c.c., comma 3, (circa la stretta connessione tra esclusiva e provvigioni indirette cfr. anche Cass. lav. n. 2013 in data 1/04/1982, secondo cui in tanto l’art. 1748 c.c., dichiara dovuta la provvigione anche sulle vendite indirette, in quanto presuppone che il contratto di agenzia sia retto dal regime di esclusiva di cui all’art. 1743 c.c.. Di conseguenza, atteso l’evidente collegamento fra le due norme, ove le parti abbiano convenuto che al preponente sia riservato il diritto, in deroga all’art. 1743, di nominare più agenti nella stessa zona, è ben lecito presumere, in linea di fatto, che si sia voluto anche escludere la provvigione per le vendite concluse dallo stesso preponente, e ciò in deroga all’altra norma di cui all’art. 1748 c.c.. In senso analogo v. anche Cass. I civ. n. 1589 del 18/05/1954.

Cfr. anche Cass. lav. n. 2314 del 16/04/1981: l’art. 1748 c.c., nel prevedere il diritto dell’agente alla provvigione anche per gli affari conclusi direttamente dal proponente – c.d. provvigione indiretta- si pone come una garanzia del diritto di esclusiva sancito dall’art. 1743 c.c., perchè mira a tutelare l’agente medesimo – nell’ambito della zona assegnatagli – da ogni invasione del proponente che si traduca in una sottrazione di affari ed indebita appropriazione dei risultati della sua opera organizzatrice e promozionale. V. parimenti anche Cass. lav. n. 156 del 19/01/1985, secondo cui l’art. 1748 c.c., comma 2, nel prevedere il diritto alla provvigione anche per gli affari conclusi direttamente dal preponente -c.d. provvigione indiretta- mira a tutelare l’agente, nell’ambito della zona esclusiva, da ogni invasione del preponente, che si traduca in sottrazione di affari ed indebita appropriazione dei risultati dell’opera organizzatrice e promozionale dell’agente medesimo. Conforme Cass. n. 3989 del 1981. Ed analogamente, secondo Cass. H n. 2288 del 30/01/2017, ai sensi dell’art. 1748 c.p., comma 2, il diritto alla provvigione c.d. indiretta compete in ogni caso di ingerenza nella zona di esclusiva o di captazione di clienti riservati all’agente attraverso l’intervento diretto o indiretto del preponente, quali che siano le modalità della sottrazione così realizzata ed indipendentemente dalla tecnica negoziale prescelta o dal luogo in cui questa è posta in essere).

Pertanto, una volta accertata in sede di merito la prevalente attività svolta dall’ O. prima della cessazione del rapporto (31.12.08) unitamente alla conclusione con esito positivo degli affari de quibus entro il successivo quadrimestre ((OMISSIS)) ed all’impossibilità di ricondurre tale conclusione al nuovo agente (operativo soltanto dopo il (OMISSIS)), correttamente -sotto il profilo logico e giuridico- risultano riconosciute le correlative provvigioni maturate al primo, esplicando ancora, in favore di quest’ultimo, il regime di esclusiva derivante dal pregresso rapporto contrattuale pure nei confronti della medesima società preponente (cfr., per altro verso, quanto alle presunzioni, il principio ancora di recente ribadito da Cass. Sez. 6 – 1, con ordinanza n. 1234 del 17/01/2019, secondo cui in tema di prova presuntiva, è incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, rimanendo il sindacato del giudice di legittimità circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. A tale ultimo riguardo, tuttavia, vanno opportunamente anche ricordatati i principi affermati da questa Corte – v. in part. Cass. sez. un. civ. n. 8053 del 7/4/2014 – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, nel senso che detta novella ha introdotto un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo. Di conseguenza, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, parte ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Inoltre, l’anzidetta riformulazione dell’art. 360 n. 5, va interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Ne deriva che è denunciabile in cassazione soltanto l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione).

Considerazioni analoghe alla precedenti ben possono valere in ordine all’applicazione del surriferito art. 6 dell’A.E.C., operata dalla Corte di merito nel caso di specie con riferimento alla missiva di parte attrice in data 31-08-2009, giudicata evidentemente ad ogni modo tempestiva, in relazione alla conclusione degli affari, già favoriti dall’ex agente ed andati a buon fine nell’arco del successivo quadrimestre (gennaio/aprile 2009), per cui ad ogni modo detto accordo pattizio non prevedeva espressamente alcun termine di decadenza entro il quale formalizzare la relazione sulle trattative già intraprese e non ancora concluse al momento di scioglimento del rapporto di agenzia, decadenza peraltro nemmeno contemplata dalla corrispondente disciplina di legge dettata dall’art. 1748 c.c. (cfr. in part. il 3 ed il 4 comma: “3. L’agente ha diritto alla provvigione sugli affari conclusi dopo la data di scioglimento del contratto se la proposta è pervenuta al preponente o all’agente in data antecedente o gli affari sono conclusi entro un termine ragionevole dalla data di scioglimento del contratto e la conclusione è da ricondurre prevalentemente all’attività da lui svolta; in tali casi la provvigione è dovuta solo all’agente precedente, salvo che da specifiche circostanze risulti equo ripartire la provvigione tra gli agenti intervenuti.

4. Salvo che sia diversamente pattuito, la provvigione spetta all’agente nel momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione in base al contratto concluso con il terzo. La provvigione spetta all’agente, al più tardi, inderogabilmente dal momento e nella misura in cui il terzo ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione qualora il preponente avesse eseguito la prestazione a suo carico”). Ne deriva che correttamente è stato riconosciuto in proposito il diritto alle provvigioni, visto che in difetto di un espresso termine di decadenza, il diritto azionato non poteva essere negato, coerentemente del resto con il principio della non applicabilità in via analogica delle norme in materia di decadenza, che sono di stretta interpretazione. Peraltro, neppure sono stati allegati precisi elementi di valutazione da cui poter desumere che l’eccepito ritardo della relazione/comunicazione di agosto 2009 abbia nello specifico in concreto pregiudicato le ragioni della società preponente.

Va inoltre considerato che la pur motivata interpretazione fornita dalla Corte di merito, secondo cui l’anzidetto art. 6 nel suo complesso configura un mero onere a carico dell’agente, come tale idoneo a condizionare soltanto l’esigibilità del credito da provvigioni (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata, in part. paragrafo 5.4), non appare del tutto implausibile ovvero palesemente errata o irragionevole, di guisa che non rilevano le contrapposte opinioni al riguardo di parte ricorrente (cfr. Cass. I civ. n. 10131 del 2/5/2006: in materia di interpretazione del contratto, la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica esige una specifica indicazione dei canoni in concreto inosservati e del modo attraverso il quale si è realizzata la violazione, mentre la denunzia del vizio di motivazione implica la puntualizzazione dell’obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento svolto dal giudice del merito; nessuna delle due censure può, invece, risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione. D’altronde, per sottrarsi al sindacato di legittimità, sotto entrambi i cennati profili, quella data dal giudice al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni -plausibili – non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra. Conformi Cass. nn. 22899 del 25/10/2006, 26690 del 13/12/2006, 3644 del 16/02/2007, 24539 del 20/11/2009, 16254 del 25/09/2012, 6125 del 17/03/2014. Cfr. altresì, in senso analogo, n. 27136 del

15/11/2017).

Nei sensi di cui sopra, pertanto, vanno disattesi i primi due motivi di ricorso.

Parimenti devono rigettarsi le doglianze di parte ricorrente relativamente alla quantificazione del credito riconosciuto all’ O. (3, 4″, 5″ e 6″ censura di parte ricorrente), tenuto conto di quanto con ampia motivazione liquidato dalla Corte di merito (pagg. 8 e 9 della sentenza impugnata, in part. paragrafi da 5.5 a 6.2, per cui con riferimento alle ulteriori 4 fatture emesse per FASHION CONTAINER e MANIFATTURA PAOLONI tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), in relazione al tasso del 10%, venivano calcolate ulteriori provvigioni per un totale di 6710,05 Euro. Inoltre, ai sensi dell’art. 1751 c.c., veniva rideterminata l’indennità di fine agenzia in complessivi Euro 28.758,00 pari alla metà dell’importo medio annuale delle provvigioni maturate, di 57.516,00 Euro, desunto dalle indicate correlative somme per il 2006, 2007 e 2008, da cui inoltre veniva detratto l’importo di 10.400,00 Euro già corrisposto dalla REDMARK). In effetti, parte ricorrente si duole di un errore di calcolo, che evidentemente non integra gli estremi del vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’applicazione fatta nel caso di specie dell’art. 1751 c.c., laddove sotto altro profilo il percorso argomentativo seguito nemmeno appare in violazione dell’anzidetto minimo costituzionale (cfr. anche, tra le altre, in part. Cass. II civ. n. 27415 del 29/10/2018, secondo cui l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo; pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

V. inoltre Cass. II civ. n. 617 del 25/01/1980, secondo cui se è al di fuori dell’ipotesi contemplata nella disposizione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 ove si deduca un errore di calcolo del giudice del merito, che è emendabile con procedimento di correzione, ovvero una errata identificazione delle conseguenze concrete di un fatto dannoso, perchè si tratta di una problematica di merito e non di violazione di norme di diritto.

D’altro canto, come affermato da Cass. I civ. n. 12845 del 15/06/2005 -sebbene in tema di liquidazione dell’indennità di espropriazione e di occupazione- la doglianza con la quale si censura l’operato del giudice di merito nella determinazione dell’indennizzo spettante, omettendo di tener conto di un determinato elemento, utile al complessivo calcolo indennitario, non concreta errore di diritto, nè difetto di percezione del giudicante riconducibile a vizio di motivazione, ma, trattandosi di elemento fattuale, la cui esistenza sia incontrovertibilmente rilevabile dagli atti di causa, configura un errore di fatto, eventualmente idoneo a giustificare la revocazione della sentenza impugnata. Nella specie ivi esaminata, quindi, il ricorso veniva dichiarato inammissibile, poichè ciò che con esso era stato lamentato, ad onta del formale riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, non era tanto un vizio di motivazione dell’impugnata sentenza, quanto piuttosto una vera e propria svista in cui la Corte territoriale sarebbe incorsa, omettendo di tener conto di uno degli addendi che avrebbero dovuto concorrere a determinare il calcolo dell’indennità di espropriazione e di occupazione. Non veniva in tal modo denunciato un error in judicando nell’individuazione dei parametri e dei criteri di conteggio, nè un’inesatta determinazione dei presupposti numerici dell’operazione di calcolo, bensì l’omissione di un elemento fattuale, la cui esistenza risultava incontrovertibilmente dagli atti di causa. Stando così le cose, non rilevava nemmeno stabilire se quell’elemento fosse davvero rilevante nell’esatta determinazione dell’indennità in discussione, essendo preliminare la considerazione che il vizio denunciato configurava, tutt’al più, un errore di fatto -idoneo, eventualmente, a giustificare la revocazione dell’impugnata sentenza- ma non un errore di diritto e neppure un difetto di motivazione. Il ricorso si poneva, quindi, al di fuori dello schema previsto dall’art. 360 c.p.c.).

Ed anche il settimo ed ultimo motivo di diritto deve essere disatteso, poichè nel caso di specie non risulta comunque essere stato violato il principio della soccombenza, nè altrimenti malamente applicati gli artt. 91 e 92 c.p.c., visto che ad ogni modo risultava, sebbene in parte, accolta la domanda dell’attore O., laddove per di più in proposito la Corte di merito ravvisava anche la violazione, da parte della società, dei principi di correttezza e buona fede, avendo omesso la preponente di fornire informativa all’agente della maturazione degli affari nel primo quadrimestre 2009 per i suddetti clienti (cfr. tra le altre Cass. n. 19613 del 04/08/2017, secondo cui in relazione al regolamento delle spese processuali, il sindacato di legittimità è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti – minimi, ove previsti e- massimi fissati dalle tabelle vigenti. In senso conforme anche Cass. III civ. n. 406 – 11/01/2008. V. altresì Cass. III civ. n. 1572 del 23/01/2018, secondo cui nel regime normativo posteriore alle modifiche introdotte all’art. 91 c.p.c., dalla L. n. 69 del 2009, in caso di accoglimento parziale della domanda il giudice può, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., compensare in tutto o in parte le spese sostenute dalla parte vittoriosa, ma questa non può essere condannata neppure parzialmente a rifondere le spese della controparte, nonostante l’esistenza di una soccombenza reciproca per la parte di domanda rigettata o per le altre domande respinte, poichè tale condanna è consentita dall’ordinamento solo per l’ipotesi eccezionale di accoglimento della domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa). Va inoltre chiarito che nel caso in esame non risulta dalle allegazioni di parte e nemmeno dat testo della sentenza impugnata alcun rifiuto di parte attrice in ordine ad eventuale proposta conciliativa proveniente dalla società convenuta, di modo che manca ogni presupposto per applicare la speciale disciplina introdotta in materia con la modifica dell’art. 91 c.p.c., ad opera dal L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 10, modifica che L. cit. ex art. 58, comma 1, si applica ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore, avvenuta il 4 luglio 2009. Inoltre, dalla lettura congiunta degli artt. 91 e 92 del codice di rito, ben si comprende che l’obbligo della motivazione ricorre nella sola ipotesi in cui venga derogato il principio della soccombenza, quale regola ordinaria in materia, mediante compensazione, totale o parziale, delle spese, e non già non per il caso, inverso, allorchè il giudicante ritenga (art. 92, primi due commi, del resto, è impiegata più volte la parola “può”) di non compensare le spese di lite con la condanna della parte rimasta soccombente (condanna, ma per altro verso, da commisurarsi al valore della controversia, desunto dalla decisione e non già dalla pretesa avanzata – v. sul punto in part. Cass. sez. un. civ. n. 19014 in data 11/09/2007: ai fini del rimborso delle spese di lite a carico della parte soccombente, il valore della controversia va fissato – in armonia con il principio generale di proporzionalità ed adeguatezza degli onorari di avvocato nell’opera professionale effettivamente prestatasulla base del criterio del “disputatum”, ossia di quanto richiesto nell’atto introduttivo del giudizio ovvero nell’atto di impugnazione parziale della sentenza, tenendo però conto che, in caso di accoglimento solo in parte della domanda, ovvero di parziale accoglimento dell’impugnazione, il giudice deve considerare il contenuto effettivo della sua decisione -criterio del “decisum” – salvo che la riduzione della somma o del bene attribuito non consegua ad un adempimento intervenuto, nel corso del processo, ad opera della parte debitrice, convenuta in giudizio, nel quale caso il giudice, richiestone dalla parte interessata, terrà conto non di meno del “disputatum”, ove riconosca la fondatezza dell’intera pretesa. In senso conforme, v. tra le altre Cass. III civ. n. 536 del 12/01/2011. Questione, ad ogni modo, concernente il quantum della liquidazione, tuttavia nella specie irrilevante, in quanto non specificamente dedotta con il settimo motivo di ricorso, per contro incentrato su asserita motivazione apparente, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, in base a pretesa violazione dell’art. 132 n. 4 medesimo codice e art. 118 delle relative norme di attuazione, eppure senza alcun riferimento alle tariffe professionali).

Pertanto, il ricorso va disatteso, con conseguente condanna della società rimasta soccombente al pagamento delle relative spese.

Visto, infine, l’esito negativo dell’impugnazione de qua, sussistono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte RIGETTA il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese, che liquida, a favore del controricorrente, in complessivi Euro =4.500,00= per compensi professionali ed in Euro =200,00= per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 13 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2020

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