Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9289 del 20/05/2020

Cassazione civile sez. lav., 20/05/2020, (ud. 06/11/2019, dep. 20/05/2020), n.9289

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20508-2014 proposto da:

D.A., in proprio e quale Presidente e Legale rappresentante

della COOPERATIVA SOCIALE COOSS MARCHE ONLUS S.c.p.A., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI n. 44/46, presso lo

studio degli Avvocati MATTIA PERSIANI, GIOVANNI BERETTA, che li

rappresentano e difendono in virtù di delega in atti;

– ricorrente principale – controricorrente in relazione al ricorso

incidentale –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, e

AGENZIA DELLE ENTRATE – DIREZIONE PROVINCIALE DI ANCONA, in persona

del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domiciliano

in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– controricorrenti – ricorrenti incidentali –

e contro

L.M., e B.N.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 166/2014 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 20/02/2014 R.G.N. 398/2013;

il P.M. ha depositato conclusioni scritte;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dal

Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con la sentenza n. 166 del 2014 la Corte di appello di Ancona, in parziale riforma della pronuncia resa dal locale Tribunale, ha ridotto la sanzione irrogata con l’ordinanza ingiunzione n. 6519 del 19.1.2011 ad Euro 92.038,00 per ciascuno dei coobbligati in solido D.A. e la Cooperativa sociale COOSS Marche spa Onlus; ha respinto, poi, le restanti opposizioni avverso le ordinanze ingiunzioni presentate da D.A. nonchè dalla Cooperativa Sociale COOSS Marche spa Onlus e, ferme restando le sanzioni irrogate con le ordinanza ingiunzioni n. 71257 del 26.11.2009 e n. 68254 del 27.11.2009, ha ridotto la sanzioni dell’ordinanza ingiunzione n. 71260/2009 ad Euro 49.153,36; quella dell’ordinanza ingiunzione n. 23019/2010 ad Euro 117.748,60, quella della ordinanza ingiunzione n. 132945/2010 ad Euro 142.788,14; quella della ordinanza ingiunzione n. 133030 /2010 ad Euro 51.395,84 e quella, infine, della ordinanza ingiunzione n. 133116 del 3.12.2010 ad Euro 91383,76.

2. Le suddette ordinanze erano state emesse in conseguenza delle accertate violazioni del regime di incompatibilità di dipendenti pubblici per le prestazioni rese a favore di privati senza l’autorizzazione della Amministrazione datrice di lavoro.

3. I giudici di seconde cure hanno rilevato che D.A., in proprio e quale legale rappresentante e Presidente pt della Cooperativa COOSS Marche doveva ritenersi responsabile, in relazione alle contestazioni mosse, per omesso accertamento di natura colposa sulla qualità del soggetto (infermiere dipendente della Marina Militare) delle cui prestazioni professionali si era avvalso. Hanno, poi, ribadito l’estraneità di L.M. e B.N. alle infrazioni per carenza della posizione di garanzia, essendosi le stesse limitate a dare esecuzione a disposizioni generali provenienti dai vertici aziendali. Hanno, inoltre, rideterminato le sanzioni reputando illegittima la distinta applicazione, pari al doppio degli emolumenti, oltre che per il conferimento dell’incarico senza autorizzazione, anche per l’omessa comunicazione dei proventi all’Amministrazione di appartenenza eliminando il quantum corrispondente ad essa. Infine, hanno sottolineato che non poteva essere accolta l’eccezione di prescrizione perchè la scadenza del termine fissato per la comunicazione all’Anagrafe delle prestazioni, disciplinata dalla L. n. 412 del 1991, art. 24 non faceva venire meno la permanenza dell’illecito i cui effetti cessavano solo con la effettiva comunicazione.

4. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per la cassazione D.A., in proprio e quale Presidente e legale rappresentante della Cooperativa Sociale COOSS Marche Onlus, affidato a nove motivi.

5. Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate- Direzione Provinciale di Ancona formulando ricorso incidentale sulla base di un articolato motivo, cui hanno resistito a loro volta, con controricorso, D.A. e la Cooperativa Sociale COOSS Marche Onlus scpa, che hanno depositato anche memoria.

6. Il PG ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo la trattazione del procedimento in pubblica udienza.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo del ricorso principale i ricorrenti denunciano l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non avere considerato la Corte territoriale che ciascuno dei lavoratori assunti aveva, sotto la propria responsabilità, dichiarato al personale competente di COOSS non solo di non avere impedimenti di carattere legale-amministrativo, ma anche di essere titolare di partita IVA e, quindi, di svolgere attività professionale di infermiere con regolarità, abitualità e sistematicità, nonchè di essere iscritti al relativo albo professionale; si sostiene che una idonea considerazione di tali circostanze avrebbe dovuto portare i giudicanti ad escludere ogni responsabilità del datore di lavoro in ordine alle violazioni contestate.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione dell’art. 115 e 116 c.p.c. nonchè dell’art. 2697 c.c., comma 2, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere valutato la Corte di merito che la documentazione prodotta dai prestatori di lavoro avrebbe escluso ogni obbligo per il datore di assumere informazioni circa la eventuale insussistenza di impedimenti legali ed amministrativi soprattutto in considerazione della sottoscrizione di incompatibilità riprodotta in ciascun contratto di lavoro.

4. Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 3, comma 1 in reazione all’art. 2727 c.c. e art. 2697 c.c., comma 2, nonchè agli artt. 116 e 416 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere – in sostanza – la Corte di appello valutato la presunzione relativa di colpevolezza a carico del privato committente, L. n. 689 del 1981, ex art. 3 come presunzione iuris et de iure, non considerando i documenti allegati al contratto di lavoro idonei a superare ogni profilo di colpevolezza del datore di lavoro.

5. Con il quarto motivo i ricorrenti si dolgono della violazione della L. n. 689 del 1981, art. 8, comma 1 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la Corte di appello applicato alla fattispecie il “cumulo giuridico” delle sanzioni irrogate dall’Agenzia delle Entrate previsto dall’art. 8 citato e per non avere dato alcun rilievo al requisito della “programmazione unitaria” da intendersi come unico disegno della pretesa violazione.

6. Con il quinto motivo si eccepisce la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 28 e della L. n. 412 del 1991, art. 24 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non essere stato ritenuto che si fosse verificata l’intervenuta prescrizione quinquennale del diritto a riscuotere gli importi relativi alle sanzioni comunicate perchè gli obblighi dell’aggiornamento dell’anagrafe nominativa a cui dovevano essere indicati tutti gli incarichi pubblici e privati, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, con i relativi compensi, ricevuti da tutto il personale delle amministrazioni pubbliche, incombevano in capo alle sole Amministrazioni Pubbliche, e non sui privati committenti, per cui in relazione ad essi i suddetti privati non potevano incidere sul termine prescrizionale.

7. Con il sesto motivo, in via subordinata, i ricorrenti sollevano la questione di illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 9 e della L. n. 689 del 1981, art. 3, comma 1 in ordine al superamento della presunzione di colpevolezza in capo al privato committente, qualora le suddette disposizioni fossero interpretate nel senso adottato dalla Corte territoriale, perchè in tal caso si rischierebbe, nei fatti, di privare il committente del diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi (art. 24 Cost., comma 1), attribuendogli un onere probatorio ultra vires (in violazione dell’art. 3 Cost. e art. 101 Cost.) mediante l’acquisizione di documentazione non prevista dalla legge.

8. Con il settimo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, commi 9, 11 e 15 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte territoriale, da un lato, escluso la responsabilità delle signore L. e B., per carenza della posizione di garanzia da ravvisarsi in capo al legale rappresentante in ordine alla omessa previa autorizzazione e, dall’altro, in relazione alle stesse violazioni (riguardanti altri prestatori di lavoro), riconosciuto la responsabilità del D. in ordine alla obbligazione accessoria di comunicazione dei compensi.

9. Con l’ottavo motivo i ricorrenti eccepiscono la nullità della sentenza, in relazione alla diversa ritenuta responsabilità di cui sopra, per insanabile contraddittorietà tra i capi della motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4.

10. Con il nono motivo viene sostenuta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè se la Corte di appello, in relazione alla dichiarazione di estraneità delle sig.re L. e B. rispetto ai fatti loro ascritti, abbia voluto dichiarare la responsabilità del D. in ordine ai medesimi fatti, ciò avrebbe implicato una evidente violazione dell’art. 112 c.p.c. per vizio di ultra petizione.

11. Con l’unico articolato motivo di ricorso incidentale, l’Agenzia delle entrate denuncia la violazione del D.Lgs. 28 marzo 1997, n. 79, art. 53, commi 9, 11 e comma 15, secondo periodo convertito con modificazioni dalla L. 28 maggio 1997, n. 140, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere erroneamente la Corte di appello ritenuto di escludere la sanzione prevista anche per l’omessa comunicazione all’Amministrazione di appartenenza dei compensi ricevuti dal dipendente, trattandosi di fattispecie autonoma rispetto a quella della mancata richiesta di autorizzazione alla medesima Amministrazione.

12. I primi tre motivi, unitamente al sesto avanzato in via subordinata, devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi non sono fondati.

13. il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 9, primo periodo sancisce: “Gli enti pubblici economici e i soggetti privati non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi”. Il terzo periodo del medesimo comma stabilisce: “In caso di inosservanza si applica la disposizione del D.L. 28 marzo 1997, n. 79, art. 6, comma 1 convertito, con modificazioni, dalla L. 28 maggio 1997, n. 140 e successive modificazioni”.

14. la L. n. 689 del 1981, art. 3, comma 1 prevede: “Nelle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”.

15. Osserva il Collegio che nel pubblico impiego contrattualizzato l’art. 53, nel suo insieme, non vieta l’esperimento di incarichi extra-istituzionali retribuiti, ma li consente solo ove gli stessi siano “conferiti” dall’Amministrazione di provenienza ovvero da questa preventivamente autorizzati, rimettendo al datore di lavoro pubblico la valutazione della legittimità dell’incarico e della sua compatibilità, soggettiva ed oggettiva, con i compiti propri dell’ufficio.

16. All’applicazione di tale disciplina concorre l’art. 53, comma 9 che fa carico agli enti pubblici economici e ai datori di lavoro privato di chiedere la preventiva autorizzazione dell’Amministrazione di appartenenza del lavoratore.

17. Tale previsione, la cui violazione dà luogo a sanzione amministrativa, sarebbe priva di effettività se, come deduce la ricorrente, nessun onere sussistesse a carico del datore di lavoro in ordine alla verifica dell’assenza delle condizioni per cui è prevista l’autorizzazione. Nè quanto richiesto al datore di lavoro dal citato comma 9, può essere trasferito a carico del lavoratore (assumendo parte ricorrente che sarebbe quest’ultimo a dovere informare il datore di lavoro della propria qualità di dipendente pubblico, per cui, in mancanza di ciò, nessun addebito potrebbe essere mosso al datore di lavoro).

18. Ed infatti, anche il lavoratore concorre all’attuazione della disciplina sulla incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi, ma la norma di riferimento per quest’ultimo, va individuata nell’art. 53, comma 7, che prende in esame le conseguenze per il lavoratore della mancanza di autorizzazione a svolgere l’incarico extra-istituzionale.

19. Correttamente, quindi, la Corte di appello ha affermato che sussiste a carico del datore di lavoro, con relativo onere della prova, senza che ne siano tipizzate le modalità, un obbligo di verifica delle condizioni che escludono la richiesta di autorizzazione, non potendosi lo stesso rimettere unicamente a quanto eventualmente dichiarato sponte sua dal lavoratore.

20. Nè ciò contrasta con quanto previsto dal D.Lgs. n. 689 del 1981, art. 3 e con gli artt. 3, 24 e 101 Cost.

21. Come questa Corte ha avuto modo di affermare (Cass. n. 19759 del 2015), in tema di violazioni amministrative, l’errore sulla liceità del fatto giustifica l’esclusione della responsabilità solo quando risulti inevitabile, occorrendo a tal fine un elemento positivo, estraneo all’autore dell’infrazione, idoneo ad ingenerare in lui la convinzione della stessa liceità, oltre alla condizione che, da parte sua, sia stato fatto tutto il possibile per osservare la legge e che nessun rimprovero possa essergli mosso, così che l’errore sia stato incolpevole, non suscettibile, cioè, di essere impedito dall’interessato con l’ordinaria diligenza. E ciò, riguardando l’accertamento anche la connessa tematica della ripartizione dell’onere della prova ispirata al principio della “vicinanza della prova”, esclude gli asseriti problemi di illegittimità costituzionale delle disposizioni in commento.

22. Il quarto motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.

23. Preliminarmente deve darsi atto che, per quanto in seguito verrà specificato in ordine al ricorso incidentale, la verifica della censura deve intendersi limitata unicamente alla violazione degli obblighi di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 9 con riguardo ai più lavoratori impiegati.

24. Orbene, due dati processuali devono essere presi in considerazione.

25. Il primo, in punto di fatto, riguarda la circostanza che la Corte territoriale non ha modificato le sanzioni di cui alle ordinanze -ingiunzioni n. 68254 e quella n. 71257, entrambe del 26 novembre 2009, irrogate – si legge – “con il meccanismo del cumulo giuridico inferiore alla misura più afflittiva derivante dalla addizione dei valori delle singole annualità, riferite ai compensi oggetto di incarico annuale”.

26. In relazione ad esse, quindi, può quindi ipotizzarsi una carenza di interesse ad impugnare da parte del ricorrente.

27. Il secondo concerne il presupposto normativo-giuridico, considerato dai giudici di seconde cure, secondo cui gli obblighi di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 9 si riferiscono alla singola posizione del dipendente pubblico e devono essere rinnovati: ciò lo si ricava dal combinato disposto dei commi 9 e 13 che prevedono, per le amministrazioni pubbliche e per il Dipartimento della funzione pubblica, obblighi di comunicazioni annuali e, pertanto, a monte devono esservi richieste di autonome autorizzazioni.

28. Quindi, come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale, interessando la fattispecie concreta diversi dipendenti pubblici, non si è in presenza di una unica azione od omissione che giustifichi l’applicabilità della L. n. 689 del 1981, art. 8 che prevede il cumulo giuridico nelle sole ipotesi di concorso formale (omogeneo od eterogeneo) tra le violazioni contestate (per le sole ipotesi cioè di violazioni plurime, commesse con una unica azione od omissione).

29. Nè il cumulo giuridico è invocabile con riferimento al concorso materiale tra violazioni commesse con più azioni od omissioni, non vertendosi in materia di previdenza o assistenza obbligatoria.

30. Quanto alla continuazione, in modo esatto la Corte territoriale la ha esclusa adeguandosi al consolidato orientamento della Corte Cost. (ord. n. 421 del 1987) e della SCC (Cass. n. 24655 del 2008; Cass. n. 10775 del 2017) in virtù del quale si è affermato che la differenza morfologica tra illecito penale ed illecito amministrativo non consente di applicare analogicamente l’art. 81 c.p.c., quale norma di favore prevista in materia penale.

31. Nè, infine, è applicabile il disposto di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 8 bis che, salvo le ipotesi eccezionali previste dal comma 2, non può derogare la disciplina stabilita dall’art. 8 medesima legge (Cass. n. 26434 del 2014 e Cass. n. 10890 del 2018).

32. L’istituto della reiterazione delle violazioni di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 8 bis, comma 4 introdotto con il D.Lgs. n. 507 del 1999, art. 94 con il quale il legislatore ha inteso conferire un rilievo attenuato alla continuazione con riguardo a tutti gli illeciti amministrativi, disponendo che, nel caso di violazioni successive (alla prima) le stesse non sono valutate ai fini della reiterazione quando sono commesse in tempi ravvicinati e si prospettano riconducibili ad essa programmazione unitaria, non è stato previsto in funzione della applicazione di una sanzione unica e ridotta nella sua determinazione quantitativa complessiva, bensì quale situazione ostativa alla produzione degli effetti che altrimenti conseguirebbero in virtù del riconoscimento della “reiterazione”, disciplinata dal medesimo art. 8 bis (Cass. n. 5252 del 2011). Ne deriva che la ricordata unicità della volontà violatrice non opera quale elemento unificante ai fini della sanzione del precedente art. 8 (Cass. n. 2657 del 2012).

33. Il quinto motivo è inammissibile.

34. La censura, infatti, non è pertinente alla effettiva ratio decidendi adottata sul punto dalla gravata sentenza, che ha invece ritenuto che ciò che avrebbe determinato la cessazione dell’illecito permanente, da cui fare decorrere il termine di prescrizione, era solo la comunicazione che, nel caso in esame, non vi era stata: la pronuncia impugnata, quindi, con riferimento alla scadenza del termine di cui alla L. n. 412 del 1991, art. 24 non ha voluto estendere tale disciplina al soggetto privato, che comunque risponde del proprio illecito amministrativo D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 53, comma 9 ma ha voluto specificare che la scadenza di quel termine non rivestiva alcun effetto ai fini della permanenza dell’illecito che sarebbe venuta meno solo con la effettiva comunicazione che, pacificamente, nel caso in esame non vi era stata.

35. Il settimo, ottavo e nono motivo, da trattarsi congiuntamente per connessione logico-giuridica, relativi alla ravvisata responsabilità del legale rappresentante della Cooperativa e non anche delle dipendenti L. e B., sono infondati perchè la Corte territoriale, con motivazione adeguata e congruamente articolata, ha escluso la responsabilità delle predette dipendenti non per aspetti oggettivi riguardanti l’illecito amministrativo, ma per profili soggettivi, avendo le stesse eseguito ordini loro impartiti e non rivestendo alcuna posizione di garanzia in virtù della quale, in sostanza, avrebbero potuto evitare la commissione dell’evento.

36. L’assunto non è censurabile nè in punto di diritto, essendo conforme la statuizione al principio di legittimità (Cass. n. 19242/2006) che ha ravvisato una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato unicamente a carico di chi riveste la carica di amministratore, di per sè sola sufficiente a configurare detta presunzione L. n. 689 del 1981, ex art. 3 nè sotto il profilo logico perchè l’argomentazione di non responsabilità delle due dipendenti non può spiegare alcun effetto sulla contestazione del medesimo illecito al legale rappresentante della COSS D.A. e sulla sua colpevolezza per la posizione rivestita.

37. Quanto al ricorso incidentale, va dato atto che, nelle more del presente giudizio di legittimità, è intervenuta la sentenza 10.6.2015 n. 98 con la quale la Corte Costituzionale – in accoglimento di una questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Ancona in un giudizio relativo ad una fattispecie sovrapponibile a quella di cui si tratta nel presente giudizio – ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 53, comma 15 nella parte in cui prevede che i soggetti di cui al comma 9 che omettono le comunicazioni di cui al comma 11 incorrono nella sanzione di cui allo stesso comma 9”.

38. Il Giudice delle leggi è pervenuto a tale conclusione evidenziando che in una direttiva intesa a conferire al legislatore delegato il compito di prevedere come obbligatoria una determinata condotta, non è ricompresa, sempre e comunque, anche la facoltà di stabilire eventuali correlative sanzioni per l’inosservanza dell’obbligo stesso. E’ stato aggiunto che la previsione contenuta nell’art. 53, comma 15 cit. si risolve in una duplicazione della sanzione già prevista per il conferimento degli incarichi senza autorizzazione, con un effetto moltiplicativo raccordato ad un inadempimento di carattere solo formale.

39. Le pronunce di accoglimento della Corte Costituzionale hanno efficacia retroattiva, con l’unico limite costituito dalle situazioni consolidate ed in particolare del giudicato.

40. Nel caso di specie, però, essendo la conclusione della Corte territoriale conforme a legge – come delineata dalla Corte Costituzionale – perchè in sede di decisione sono state ridotte le sanzioni amministrative alla sola fattispecie normativa della omessa comunicazione di cui al comma 9 ritenendo appunto illegittimo il cumulo della sanzione anche con quella disciplinata dal comma 11, il ricorso incidentale dell’Agenzia delle Entrate, che chiedeva l’applicazione della doppia sanzione, deve, comunque, essere rigettato.

41. Alla stregua di quanto esposto, tanto il ricorso principale quanto quello incidentale devono essere rigettati.

42. La soccombenza reciproca induce a compensare tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

43. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo unicamente con riferimento al ricorrente principale. Per le ricorrenti incidentali, invece, ammesse a prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazioni pubbliche difese dalla Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il citato D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Compensa le spese processuali del presente giudizio. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2020

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