Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9287 del 22/04/2011

Cassazione civile sez. lav., 22/04/2011, (ud. 15/12/2010, dep. 22/04/2011), n.9287

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.F.M.D., elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA DI SPAGNA 35, presso lo studio dell’avvocato LEFEVRE

SEBASTIANO, rappresentato e difeso dall’avvocato CHIARAMONTE

SALVATORE giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI BOMPIETRO, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. GESMUNDO 4, presso lo

studio dell’avvocato ZUPO GIUSEPPE, rappresentato e difeso

dall’avvocato COSTA MICHELE, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 68/2007 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 19/03/2007 R.G.N. 1077/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/12/2010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI AMOROSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. D.F.M.D., lavoratore socialmente utile in forza al Comune di Bompietro con mansioni di operatore ecologico, aveva chiesto al Comune -ed era stato in tal senso autorizzato – la sospensione del rapporto dal 1998 al 2002 ai sensi del D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 8, comma 4, al fine di potere lavorare alle dipendenze dell’Assessorato Agricoltura e Foreste per complessive 101 giornate lavorative annue. Anche per l’anno 2003 il D.F. aveva avanzato analoga richiesta, ma il Comune, con Delib. della Giunta Municipale n. 12 del 2003, l’aveva rigettato, autorizzando il ricorrente ad assentarsi per soli dieci giorni lavorativi.

Nonostante tale diniego, il D.F. intratteneva il rapporto di lavoro con l’Assessorato, assentandosi dall’attivita’ di lavoro socialmente utile anche dopo la scadenza dei dieci giorni concessigli.

Il Comune promuoveva procedimento disciplinare nel confronti del lavoratore e, dopo avergli contestato l’assenza arbitraria dal servizio, non riteneva questa giustificata e lo “licenziava” a i sensi dell’art. 25, comma 6, lett. d) del contratto collettivo per i dipendenti degli enti locali.

Il D.F. impugnava l’intervenuta risoluzione del rapporto allegandone l’ingiustificatezza e l’illegittimita’.

Nel costituito contraddittorio con il Comune intimato, il Tribunale di Termini Imerese, in funzione di giudice del lavoro, pronunciava la sentenza del 25 ottobre 2005 rigettando il ricorso proposto dal D. F. e compensava tra le parti le spese del giudizio.

2. Per la riforma di tale sentenza ha proposto appello il D. F., affidato a sei motivi.

Si e’ costituito il Comune appellato, chiedendo il rigetto del gravame.

Con sentenza del 18 gennaio 2007 la Corte d’appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza n. 734/05 emessa dal Tribunale di Termini Imerese in data 25 ottobre 2005, dichiarava illegittimo il provvedimento di “licenziamento” adottato in data 9 ottobre 2003 dal Segretario Comunale Capo del Comune di Bompietro nei confronti dell’appellante D.F.M.D., e conseguentemente lo annullava. Confermava nel resto l’impugnata sentenza negando quindi sia la reintegrazione sia il risarcimento del danno. Compensava tra le parti le spese del giudizio.

3. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione il D.F. con quattro motivi illustrati anche da successiva memoria.

Resiste con controricorso la parte intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso e’ articolato in quattro motivi.

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e pone il seguente quesito ex art. 366 bis c.p.c.: “Dica la Corte di cassazione se la sentenza della Corte di Appello sia viziata per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, avendo la detta Corte territoriale omesso di pronunciarsi sul secondo e sul terzo motivo dell’impugnazione, ciascuno dei quali aveva una propria causa petendi e un proprio petitum”.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 8 in combinato disposto con l’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e pone il seguente quesito: “Sotto altro profilo, dica la Corte di cassazione se la Corte di appello aveva l’obbligo di pronunciarsi anche sulla denunciata violazione del D.Lgs. n. 468 del 1998, art. 8 dedotta espressamente dal sig. D.F. e, in particolare, se aveva il dovere di accertare e dichiarare l’illiceita’ e/o illegittimita’ degli atti posti in essere dal Comune di Bompietro in danno del D.F.”.

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dei principi in materia di retroattivita’ dell’annullamento degli atti nonche’ dell’art. 24 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e pone il seguente quesito: “Sotto altro profilo, dica la Corte di cassazione se la Corte di appello di Palermo ha errato a non applicare i principi generali in materia di annullamento, omettendo cosi’ di affermare e dichiarare l’obbligo del Comune di Bompietro di ripristinare la situazione giuridica ed economica esistente prima del licenziamento”.

Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente lamenta una pretesa violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 2043 c.c. e ai principi specifici e generali dell’ordinamento in ordine al riconoscimento e alla determinazione del danno, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 e pone il seguente quesito: “In ogni caso, dica la Corte di cassazione se la sentenza della Corte di appello di Palermo e’ viziata per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 con riferimento ai principi generali in ordine alla determinazione del danno, poiche’ la Corte di appello di Palermo ha errato nel non ritenere che la fattispecie dia luogo a un danno in re ipsa, essendo palese che il licenziamento ha comportato per il D.F. il venir meno di ogni forma di sostentamento”.

2. Il primo motivo di ricorso e’ inammissibile perche’ non assistito da idoneo quesito di diritto, formulato in termini generici e meramente assertivi della violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Cfr. Cass. 23 febbraio 2009, n. 4329, che ha precisato che il motivo di ricorso per cassazione con cui si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. da parte del giudice di merito, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere concluso in ogni caso con la formulazione di un quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., anche quando l’inosservanza del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato sia riferibile ad un’erronea sussunzione o ricostruzione di un fatto processuale implicanti la violazione di tale regola, essendo necessario prospettare, pure in tale ipotesi, le corrette premesse giuridiche in punto di qualificazione del fatto.

3. Gli altri motivi che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi oggettivamente – sono infondati.

4. Corretta e’ l’affermazione della Corte d’appello secondo cui nel caso di lavori socialmente utili non vi e’, in linea di principio, costituzione di un rapporto di lavoro subordinato e quindi non si applica la disciplina limitativa dei licenziamenti individuali nel rapporto di lavoro subordinato ne’, conseguentemente, quella del risarcimento del danno da licenziamento illegittimo.

Questa Corte (Cass., sez. lav., 29 gennaio 2007, n. 1828) ha gia’ affermato – ed ora ribadisce che non puo’ qualificarsi come rapporto di lavoro subordinato, ne’ a termine ne’ a tempo indeterminato, l’occupazione temporanea di lavoratori socialmente utili alle dipendenze di ente comunale per l’attuazione di apposito progetto, realizzandosi con essa, alla stregua dell’apposita normativa peculiare in concreto applicabile (L. n. 390 del 1981, art. 1 bis; L. n. 67 del 1988, art. 23, comma 7; D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 8, comma 1; D.Lgs. n. 81 del 2000, art. 4), un rapporto di lavoro speciale munito di una matrice essenzialmente assistenziale (pur con l’applicabilita’ di alcuni istituti tipici del lavoro subordinato, come quello, ad esempio, in tema di trattamento di malattia), con la conseguente esclusione della tutela reale legittimante la possibile reintegrazione nel posto di lavoro e l’ottenimento del risarcimento del danno a seguito dell’esercizio del recesso da parte dell’ente utilizzatore. Cfr. anche Cass., sez. lav., 19 novembre 2004, n. 21936, secondo cui l’occupazione temporanea in lavori socialmente utili, se concretamente attuata in conformita’ alle norme speciali che la regolano, non puo’ essere qualificata come un ordinario rapporto di lavoro subordinato ne’ a tempo indeterminato ne’ a termine, la cui disciplina, pertanto, non e’ applicabile; in particolare si e’ escluso che il caso di un lavoratore inadempiente, «messo in liberta’ dall’ente pubblico utilizzatore, costituisse un licenziamento.

Si applicano quindi le regole comuni del risarcimento del danno, ma – ha affermato la Corte d’appello per confermare la sentenza di primo grado nella parte in cui ha rigettato la domanda di risarcimento del danno, anche sotto il profilo del danno esistenziale – nulla ha provato l’appellante.

Ne’ il ricorrente deduce la mancata considerazione di risultanze probatorie che avrebbero dovuto indurre la Corte distrettuale ad un diverso convincimento.

5. Il ricorso va quindi, ne suo complesso, rigettato.

Sussistono giustificati motivi (in considerazione dell’esito complessivo del giudizio che ha visto la domanda parzialmente accolta) per compensare tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso; compensa tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

Cosi’ deciso in Roma, il 15 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2011

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