Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9287 del 10/04/2017

Cassazione civile, sez. II, 10/04/2017, (ud. 10/02/2017, dep.10/04/2017),  n. 9187

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2539/2013 proposto da:

S.S.C. (OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato PIETRO GIORGIANNI;

– ricorrente –

contro

M.R.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA A. GRAMSCI 36, presso lo studio dell’avvocato ANTONINO

CATAUDELLA, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 528/2011 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 15/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/02/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con contratto del 24 settembre 1986 il signor M.C. cedette al costruttore S.C. un’area destinata alla realizzazione di un edificio, in conformità al progetto dell’ingegner Campo, riservandosi la proprietà del secondo piano dell’edificando fabbricato e rinunciando all’area di parcheggio. Al contempo le parti conclusero un contratto di appalto con cui il S. si impegnò a realizzare due unità immobiliari in favore del Maniscalco e sottoscrissero una scrittura con cui si convenne che le porzioni immobiliari spettanti al M. sarebbe stata costituite da 121 metri quadri coperti conferitigli in corrispettivo della permuta e in 41 metri quadri coperti che egli avrebbe acquistato al prezzo di mercato.

Il S. realizzò, sulla scorta di un progetto del geometra Me., un edificio diverso e più grande da quello previsto nel progetto dell’ingegner C. e di ciò M.R.M., figlia ed erede di M.C., si dolse davanti al tribunale di Messina, convenendo in giudizio il S. e rassegnando nei confronti di costui una pluralità di domande, alle quali il S. replicò proponendo a propria volta una pluralità di domande riconvenzionali.

Con sentenza depositata il 13/6/2003 il tribunale di Messina adottò le seguenti statuizioni:

– dichiarò che all’attrice, signora M., spettavano 121 + 41 metri quadri di area coperta, al secondo piano del fabbricato, e non le competeva alcun aumento di superficie, proporzionale alla maggior superficie realizzata dal S. edificando l’immobile sulla base del progetto del geom. Me. invece che sulla base dell’originario progetto dell’ing. C.;

– dichiarò che gli appartamenti spettanti all’attrice in forza della scrittura privata del 24 settembre 1986 avevano subito un deprezzamento di Euro 12.555,07 a causa delle differenze esistenti tra il progetto Me. e il progetto C., conseguentemente condannando il S. a pagare detta somma alla M.;

– dichiarò che all’attrice competeva un’area di parcheggio di 10 metri quadri in comproprietà indivisa con gli altri aventi diritto, dietro pagamento di Euro 1.600;

– riconobbe all’attrice la somma di Euro 45.000 a titolo di risarcimento danni per il ritardo nella consegna delle unità immobiliari a lei spettanti; condannò l’attrice a corrispondere al convenuto la somma di Euro 20.116 quale prezzo dovuto per i 41 metri quadri di fabbricato da acquistare al valore di mercato.

La corte d’appello di Messina, adita con l’appello principale del sig. S. e con l’appello incidentale della sig.ra M., ha rigettato l’appello principale ed ha parzialmente accolto quello incidentale, per l’effetto stabilendo – ferme le altre statuizione della sentenza di primo grado – che alla signora M. spetta:

la quota proporzionale del 23 % (pari alla quota riservata al suo dante causa sul fabbricato progettato dall’ingegner C.) del fabbricato realizzato in base al progetto Me. e, quindi, alla stessa spettano ulteriori 84 metri quadri, che, sommati ai 121 + 41 metri quadri previsti nella scrittura del 24 settembre 1986, corrispondono alla superficie dell’intero secondo piano;

– un’area di parcheggio pari a metri quadri 19,87.

La sentenza della corte messinese è stata impugnata per cassazione dal S. sulla scorta di sei motivi.

La signora M. ha depositato controricorso.

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 10.2.17, per la quale solo il ricorrente ha depositato una memoria illustrativa e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, riferito al vizio di motivazione e al vizio di nullità della sentenza per assenza di motivazione, il ricorrente lamenta il mancato accoglimento della sua richiesta di prova testimoniale tendente a dimostrare che le modifiche apportate alle unità immobiliari della signora M. – in ragione della realizzazione del fabbricato secondo il progetto Me. invece

che secondo il progetto C. – erano state da costei volute, richieste ed accettate; nonchè la mancata ammissione di un consulenza che avrebbe potuto escludere, secondo il ricorrente, che dette modifiche riducessero il valore delle unità immobiliari spettanti alla sig.ra M..

Il motivo è inammissibile sotto un duplice profilo. In primo luogo, perchè esso si risolve nella prospettazione di doglianze di merito, tendenti ad una rivisitazione degli apprezzamenti operati dal giudice territoriale in ordine alla rilevanza delle istanze istruttorie avanzate dall’odierno ricorrente; rivalutazione inammissibile in questa sede, perchè, come questa Corte ha più volte affermato (cfr. sent. n. 7972/07), nel giudizio di cassazione la deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, non consente alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del ricorso non possono pertanto risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito. In secondo luogo il mezzo di gravame in esame si palesa inammissibile perchè nel medesimo non si dà conto, se non in termini affatto generici, delle circostanze costituenti oggetto dei capitoli di prova testimoniale dei quali si lamenta la mancata ammissione, nè delle questioni su cui l’odierno ricorrente aveva sollecitato una indagine peritale.

Con il secondo motivo, riferito al vizio di violazione dell’art. 1460 c.c., al vizio di omessa e insufficiente motivazione e al vizio di nullità della sentenza per mancanza di motivazione, si censura la statuizione con cui la corte d’appello, confermando la pronuncia di primo grado che aveva condannato il S. al risarcimento dei danni da ritardata consegna degli immobili, ha escluso che l’appaltatore avesse la facoltà di sospendere la sua prestazione in ragione del mancato versamento degli acconti in corso d’opera da parte della sig.ra M. e del rifiuto di costei di corrispondere il prezzo dei 41 metri quadri di fabbricato che la stessa si era impegnata ad acquistare.

Al riguardo il ricorrente lamenta come la corte distrettuale abbia negato la rilevanza degli inadempimenti della sig.ra M., trascurando di considerare talune risultanze di fatto, a suo avviso decisive, vale a dire:

a) il fatto che al dì della domanda giudiziale della stessa sig.ra M. il termine di consegna delle unità immobiliari non era ancor scaduto;

b) il fatto che il S. si era sempre dichiarato pronto a consegnare alla sig.ra M. le porzioni immobiliari a lei spettanti alla stregua degli accordi conclusi sulla base del progetto C.;

c) il fatto che il danno reclamato dall’attrice non era stato provato;

d) il fatto che tale danno non poteva essere commisurato nell’importo dei canoni ritraibili da una ipotetica locazione.

Il motivo va disatteso. I rilievi di cui ai punti c) e d) non riguardano fatti storici, ma valutazioni di merito, sui limiti della cui censurabilità in sede di legittimità è sufficiente richiamare le considerazioni già svolte con riferimento al primo mezzo di gravame; i rilievi di cui ai punti a) e b) fanno riferimento a circostanze non trattate nella sentenza gravata, non adeguatamente circostanziate e, comunque, prive di decisività. In proposito va ricordato che, secondo il costante orientamento di questa Corte, per integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (anche nel testo anteriore alla modifica recata dal decreto L. n. 83 del 2012) è necessario l’omessa o insufficiente motivazione su circostanze specifiche “di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito” (così Cass. nn. 25756/14, 24092/13, 14973/06).

Con il terzo motivo, riferito al vizio di violazione della L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies, al vizio di omessa e insufficiente motivazione e al vizio di nullità della sentenza per mancanza di motivazione, si svolgono quattro doglianze:

a) con la prima, si censura la sentenza gravata per avere attribuito alla M. un diritto di proprietà, invece che un diritto reale di uso, sull’area di parcheggio;

b) con la seconda, si censura la sentenza gravata per aver travisato le risultanze peritali, affermando che il consulente tecnico d’ufficio avrebbe stimato il valore del parcheggio in Lire 700.000, mentre la stima del perito sarebbe stata di Lire 700.000 a metro quadro;

c) con la terza, si censura la sentenza gravata per avere assegnato alla ricorrente un parcheggio di dimensioni doppie a quelle indicate dal primo giudice senza integrare il corrispettivo da versare;

d) con la quarta, si censura la sentenza gravata per non aver proceduto alla rivalutazione monetaria all’applicazione degli interessi.

La prima censura va giudicata fondata. In effetti, secondo quanto si legge a pagina 3, secondo capoverso, della sentenza gravata, il primo giudice aveva assegnato all’attrice “un’area di parcheggio di metri quadri 10 (dieci) in comproprietà indivisa con gli altri aventi diritto”; tale statuizione era stata appellata dal ricorrente anche sotto il profilo che “alla luce della recente giurisprudenza della Suprema Corte l’attrice non poteva avanzare pretese di proprietà sull’area di parcheggio” (cfr. pag. 10, primo capoverso, del ricorso per cassazione); la corte d’appello ha rigettato l’appello del S. e, accogliendo l’appello incidentale della sig.ra M., ha riformato la suddetta statuizione solo in punto di estensione dell’area di parcheggio a quest’ultima assegnata (indicata nella maggior superficie di 19,87 metri quadri), senza modificare la qualificazione del diritto riconosciuto su tale area all’appellante incidentale.

La corte d’appello, quindi, premessa la nullità della rinuncia al parcheggio formulata dal dante causa della M. nell’atto 24/9/86, ha confermato la statuizione di primo grado che a quest’ultima aveva riconosciuto un diritto di (com)proprietà sull’area di parcheggio e, così, ha violato il principio (cfr., fra tante, Cass. 15509/11) che il vincolo di destinazione posto dalla L. n. 765 del 1967, art. 18, e dalla L. n. 47 del 1985, art. 26, comporta l’obbligo non già di trasferire la proprietà dell’area destinata a parcheggio insieme alla costruzione, ma quello di non eliminare il vincolo esistente, sicchè esso crea in capo all’acquirente dell’appartamento un diritto reale d’uso sull’area e non già un diritto al trasferimento della proprietà. La corte distrettuale avrebbe quindi dovuto, in accoglimento dell’appello principale del S., riconoscere all’attrice un diritto reale d’uso, e non un diritto di comproprietà, sull’area di posteggio alla stessa spettante; nè, così facendo, sarebbe incorsa nel vizio di ultra petizione, perchè il capo della domanda introduttiva della M. concernente l’area di parcheggio ben poteva, e doveva, essere interpretato come richiesta di attribuzione del diritto a lei spettante in base alla disciplina di legge, vale a dire, appunto, di un diritto reale di uso.

L’accoglimento della prima censura assorbe le altre doglianze proposte con il terzo mezzo di impugnazione, relative alla quantificazione del corrispettivo spettante al S. per l’area di parcheggio; tanto la doglianza secondo cui la stima effettuata dal c.t.u. sarebbe stata travisata dalla corte distrettuale, quanto la doglianza secondo tale corte avrebbe errato nel mantenere inalterata la misura del corrispettivo indicato dal primo giudice, nonostante il sostanziale raddoppio della superficie assegnata alla signora M., risultano infatti superate – al pari della doglianza concernente il mancato riconoscimento della rivalutazione monetaria e degli interessi (questi ultimi, peraltro, riconosciuti dal primo giudice con decorrenza 2/6/99) – dalla considerazione che la riqualificazione, da comproprietà a diritto reale d’uso, del diritto della signora M. sulla superficie di parcheggio a lei spettante (quantificata dalla corte d’appello, come si è detto, in mq 19,87) implica una completa revisione del corrispettivo dovuto al costruttore, essendo diversi i criteri di determinazione del valore di un diritto reale di uso (esclusivo) rispetto ai criteri di determinazione del valore di un diritto di proprietà (in comune).

Il terzo motivo va quindi in definitiva accolto, nei termini sopra enunciati.

Con il quarto motivo, riferito al vizio di violazione dell’articolo 1460 c.c., al vizio di omessa e insufficiente motivazione e al vizio di nullità della sentenza per mancanza di motivazione, si propongono tre distinte doglianze.

Con la prima, si censura la sentenza gravata nella parte in cui ha confermato la statuizione di primo grado che ha liquidato in Euro 20.116 il prezzo dovuto dalla M. per l’area coperta di metri quadri 41 in relazione alla quale, nella scrittura privata del 24/9/86, era stato previsto l’acquisto al valore di mercato; la censura va disattesa, perchè non attinge specificamente le motivazioni svolte nel penultimo capoverso di pagina 7 della sentenza gravata, laddove si afferma che l’analoga doglianza svolta dal S. in sede di appello risultava generica e non suffragata da alcun dato di riscontro idoneo ad infirmare le risultanze peritali.

Con la seconda censura si lamenta il mancato riconoscimento di rivalutazione monetaria e interessi sulla somma suddetta. La censura va giudicata inammissibile, perchè non si misura con l’affermazione della sentenza gravata secondo cui l’inadempimento del S. legittimava la sospensione dell’adempimento della M. ai sensi dell’art. 1460 c.c.; in proposito è opportuno ricordare che, come questa Corte ha avuto già modo di chiarire (cfr., fra le tante, Cass. 14926/10), la parte che si avvale legittimamente del suo diritto di sospendere l’adempimento della propria obbligazione pecuniaria a causa dell’inadempimento dell’altra non può essere considerata in mora e non è, perciò, tenuta al pagamento degli interessi moratori e degli eventuali maggiori danni subiti dall’altra parte per il mancato adempimento, nei termini previsti dal contratto, di quanto a lei dovuto, non essendo applicabile l’art. 1224 c.c., che ricollega alla mora del debitore il diritto del creditore al pagamento degli interessi di mora e dei maggiori danni conseguenti all’omesso pagamento della prestazione pecuniaria.

Con la terza censura, infine, il ricorrente lamenta la mancata subordinazione del trasferimento della proprietà della superficie coperta in questione al pagamento del relativo corrispettivo. La censura va giudicata inammissibile, perchè attinge una statuizione contenuta nella sentenza di primo grado che nè dalla narrativa del processo contenuto nella sentenza gravata, nè dalla narrativa del processo contenuto nel ricorso per cassazione risulta aver formato oggetto di specifico motivo di appello da parte del S..

Con il quinto motivo si censura la regolazione delle spese operata dalla corte distrettuale in entrambi i gradi di giudizio. Il motivo risulta assorbito dall’accoglimento del terzo;” perchè la regolazione delle spese giudiziali dovrà essere interamente rivalutata in sede di rinvio, alla luce dell’esito complessivo della lite.

Col sesto motivo, riferito al vizio di violazione dell’art. 1362 c.c. e ss., al vizio di omessa e insufficiente motivazione e al vizio di nullità della sentenza per mancanza di motivazione, si censura l’interpretazione delle scritture contrattuali operata dalla corte d’appello laddove quest’ultima ha ritenuto che il corrispettivo della permuta dovuto alla M. fosse individuato in una superficie individuata come percentuale del 23% della superficie coperta realizzata all’appaltatore; secondo il ricorrente, viceversa, la corretta interpretazione degli atti contrattuali avrebbe dovuto condurre il giudice territoriale a identificare il corrispettivo della permuta in una superficie della misura fissa di mq 121, pari al 23 % della superficie da edificare secondo il progetto C..

Il motivo va giudicato inammissibile perchè attinge l’interpretazione negoziale operata dalla corte territoriale, senza individuare vizi logici o violazioni specifiche dei canoni di ermeneutica contrattuale, ma limitandosi a contrapporre a tale interpretazione quella, per il ricorrente preferibile, operata dal primo giudice; laddove, come ancora di recente ribadito da questa Corte, in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (sent. n. 2465/15).

In definitiva il ricorso va accolto limitatamente al terzo motivo, per quanto di ragione, con declaratoria di assorbimento del quinto motivo e rigetto degli altri; la sentenza gravata va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Messina, che regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.

PQM

accoglie il terzo motivo di ricorso per quanto di ragione, dichiara assorbito il quinto motivo e rigetta gli altri; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla corte d’appello di Messina, altra sezione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2017

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