Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9278 del 16/04/2018


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Cassazione civile, sez. II, 16/04/2018, (ud. 05/02/2018, dep.16/04/2018),  n. 9278

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Con sentenza resa in data 3 novembre 2009 il Tribunale di Catania rigettava la domanda proposta (con atto di citazione del 16 ottobre 2006) da M.R.S., proprietaria della palazzina B del complesso sito in (OMISSIS), nei confronti di M.R., proprietaria della palazzina A, con la quale aveva chiesto l’eliminazione di un cancello (realizzato sul muro comune) che metteva in comunicazione la stradella condominiale con altro terreno di esclusiva proprietà della suddetta convenuta (nel quale era stata costruita una piscina), respingendo, altresì, anche l’ulteriore domanda di condanna della M. a realizzare un autonomo impianto di scarico d’acqua nella piscina e a mantenere siepi ed arbusti all’altezza prescritta per legge.

Decidendo sull’appello proposto dalla soccombente attrice e nella costituzione dell’appellata, la Corte di appello di Catania, con sentenza n. 323/2013, accoglieva per quanto di ragione il gravame e, per l’effetto, in parziale riforma della decisione impugnata (che confermava per il resto), condannava la M.R. a rimuovere il cancello dedotto in giudizio, oltre che al pagamento dei due terzi delle spese del doppio grado di giudizio, da ritenersi compensate per il residuo terzo.

A sostegno dell’adottata decisione, la Corte etnea – per quanto qui ancora interessa – ravvisava la fondatezza del motivo di gravame riguardante la dedotta illegittimità dell’apposizione del cancello, sul presupposto che il giudice di prime cure non aveva rilevato la sussistenza di un “condominio parziale” (orizzontale) tra le due palazzine e che, di conseguenza, la stradella indicata in citazione doveva ritenersi insistente sul cortile condominiale, ragion per cui, con la realizzazione del contestato cancello, la M. aveva posto in essere una condotta violatrice dell’art. 1102 c.c., dal momento che, attraverso l’apertura del varco nel muro perimetrale di proprietà condominiale, aveva determinato un collegamento con un suo fondo privato (nel quale era ubicata la piscina) situato al di fuori del complesso condominiale.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione M.R., riferito a cinque motivi, in relazione al quale la parte intimata non ha svolto attività difensiva in questa sede.

2. Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1102 c.c., nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che aveva costituito oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Con questa censura la difesa della M. ha inteso confutare la sentenza impugnata nella parte in cui con la stessa è stata ravvisata la configurazione della violazione dell’art. 1102 c.c., nella creazione del varco con il quale era stato messo in comunicazione il tratto di terreno coincidente con la particella (OMISSIS), rimasto in comune tra lei (insieme ad M.A.) e la signora M.R.S., con quello limitrofo identificato con la particella (OMISSIS), di sua esclusiva proprietà.

3. Con il secondo motivo la ricorrente ha prospettato – in virtù dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1059 c.c., nonchè l’omesso esame del fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, sul presupposto che – sull’assunta pacificità della premessa che il muro era preesistente all’atto della divisione del fondo individuato con la particella n. (OMISSIS) e che era stato realizzato con l’autorizzazione dei precedenti comproprietari – la Corte di appello avrebbe dovuto rilevare l’applicabilità del citato art. 1059 c.c. non concludendo per l’esistenza di una servitù abusivamente esercitata con l’apposizione del cancello, bensì statuendo sulla sua legittimità conseguente al fatto che la stessa era stata autorizzata 10 anni prima non solo dai danti causa della donazione, ma anche dagli originari partecipanti alla comunione del fondo successivamente divisa.

4. Con la terza censura la ricorrente ha denunciato un’ulteriore violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1102 c.c., nonchè un altro vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che aveva costituito oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, poichè l’apposizione del cancello, consentendo di accedere dal bene di proprietà comune a quello di proprietà esclusiva di essa ricorrente, avrebbe dovuto essere qualificata come una legittima manifestazione delle facoltà concesse al comproprietario ai sensi del menzionato art. 1102 c.c., atteso che l’area comune, ancor prima della stessa collocazione del cancello, era già concretamente percorsa pedonalmente e con veicoli dai rispettivi proprietari delle singole unità immobiliari e questa situazione si era protratta anche successivamente alla realizzazione del varco sul muro comune.

5. Con il quarto motivo la ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – la violazione e/o falsa applicazione delle disposizioni di cui al capo II, titolo VII c.c., in materia di condominio con particolare riferimento all’art. 1117 c.c., nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, congiuntamente all’erronea valutazione di elementi di prova e di fatto incontestati fra le parti (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), avuto riguardo alla circostanza che, in effetti, nel caso di specie, non ricorreva alcun condominio (nè tantomeno di tipo orizzontale) ma esistevano soltanto due immobili (coincidenti con due corpi di fabbrica distinti), che erano stati assegnati a soggetti diversi con un pregresso atto di divisione, dal quale era possibile desumere che i terreni confinanti con le palazzine erano di proprietà degli stessi.

6. Con l’ultima censura la ricorrente ha denunciato l’errata condanna alle spese del doppio grado di giudizio.

7. Rileva il collegio che i primi quattro motivi possono essere esaminati congiuntamente perchè involgono questioni giuridiche e assunte omissioni dell’esame di fatti decisivi per la controversia (ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)) tra loro obiettivamente connesse.

Occorre, innanzitutto, considerare che – sul piano dei necessari accertamenti fattuali demandati al giudice del merito – dall’impugnata sentenza di appello non emerge un’apposita valutazione sull’epoca di installazione del contestato cancello e sulla pregressa condizione dei fondi poi attraversata dalla stradella comune nè sulla rilevante circostanza – anche ai fini dell’eventuale applicabilità dell’art. 1059 c.c. – se il muro fosse o meno preesistente all’atto di divisione della particella n. (OMISSIS) e se era stato realizzato con il consenso di tutti i comproprietari (come, invero, era stato appurato dal giudice di primo grado). Inoltre, nella decisione della Corte etnea, si afferma che, nella fattispecie dedotta in giudizio, si era venuto a configurare un “condominio “parziale” (orizzontale) sul presupposto che, indipendentemente dalla distinzione delle parti strutturali delle unità abitative (le palazzine A e B), erano rilevabili dei beni comuni posti al servizio delle stesse, quale proprio la stradella che consentiva l’accesso alla pubblica via.

A tal proposito deve, tuttavia, rilevarsi che questa argomentazione della Corte territoriale si prospetta generica (e, comunque, non adeguatamente svolta), risolvendosi nella considerazione che, nonostante il precedente atto di divisione, sussisteva il vincolo di strumentalità ed accessorietà delle palazzine con i beni ed impianti comuni (senza, però, indicare quali), vincolo, invece, escluso dal primo giudice.

La giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 7885/1994 e Cass. n. 23851/2010) ha, al riguardo, più volte statuito che la disciplina del condominio degli edifici, di cui all’art. 1117 c.c. e segg., è ravvisabile ogni qual volta sia accertato in fatto un rapporto di accessorietà necessaria che lega alcune parti comuni, quale quelle elencate in via esemplificativa – se il contrario non risulta dal titolo – dall’art. 1117 c.c., a porzioni, o unità immobiliari, di proprietà singola, delle quali le prime rendono possibile l’esistenza stessa o l’uso. La nozione di condominio si configura, pertanto, non solo nell’ipotesi di fabbricati che si estendono in senso verticale ma anche nel caso di beni adiacenti orizzontalmente, purchè dotati delle strutture portanti e degli impianti essenziali indicati dal citato art. 1117 c.c.. Peraltro, pure quando manchi un così stretto nesso strutturale, materiale e funzionale, la condominialità di un complesso immobiliare, che comprenda porzioni eterogenee per struttura e destinazione, può essere frutto dell’autonomia privata.

Senonchè, nel caso di specie, a fronte della univoca insussistenza di un edificio in comunione (trattandosi di due palazzine autonome e distinte) e della pacifica comproprietà tra le parti in giudizio della stradella conducente alla via pubblica, non è risultata propriamente accertata la suddetta relazione di accessorietà implicata dal citato art. 1117 c.c., per pervenire alla qualificazione dei beni in questione come elementi appartenenti ad un condominio orizzontale.

Ma al di là del non univoco accertamento di tale circostanza, occorre rimarcare che essa non assume una rilevanza decisiva ai fini della valutazione della legittimità o meno dell’attività posta in essere dalla M., come contestata con l’originario atto di citazione, la cui domanda era stata respinta in primo grado e, invece, accolta, con la sentenza di appello, qui impugnata.

Deve, invece, essere conferito un rilievo determinante alla valutazione, in punto di diritto, sulla (dedotta) erroneità o meno dell’applicazione dell’art. 1102 c.c., che è stato ritenuto violato dalla Corte territoriale per effetto della condotta ascritta all’attuale ricorrente, sul presupposto che, mediante la stessa, fosse stata realizzata una illegittima utilizzazione dello spazio comune attraverso la costituzione di una servitù di passaggio a favore del fondo estraneo alla comunione ed in pregiudizio della cosa comune.

Senonchè l’approccio giuridico operato dal giudice di appello intorno alla sfera di legittimita applicabilità del censurato art. 1102 c.c., si scontra con il condivisibile orientamento, assolutamente prevalente, della giurisprudenza di questa Corte, sulla scorta del quale, sul presupposto che il partecipante alla comunione può usare della cosa comune per un suo fine particolare, con la conseguente possibilità di ritrarre dal bene una utilità specifica aggiuntiva rispetto a quelle che vengono ricavate dagli altri, con il limite di non alterare la consistenza e la destinazione di essa, o di non impedire l’altrui pari uso, il passaggio su una strada comune (anche se, in ipotesi, destinata in origine a servire alcuni determinati fondi di proprietà esclusiva), che venga effettuato da un comunista anche per accedere ad altro fondo, a lui appartenente in proprietà esclusiva, di per sè non raffigura un godimento vietato, a norma dell’art. 1059 c.c., comma 1, non comportando la costituzione di una servitù sul bene comune, perchè non si risolve nella modifica della destinazione di questo, nè nell’impedimento dell’altrui pari diritto. Da ciò consegue anche il principio secondo cui l’apertura di un varco su un muro comune che metta in comunicazione il fondo di proprietà esclusiva di un singolo comunista (o condomino) con uno spazio comune non determina la costituzione di una servitù quando lo spazio comune (identificabile, nella fattispecie, con la stradella pacificamente ricadente nella comproprietà delle parti in causa) viene già usato come passaggio pedonale e carrabile, sempre che l’opera realizzata non pregiudichi l’eguale godimento della cosa comune da parte degli altri condomini, vertendosi in una ipotesi di uso della cosa comune a vantaggio della cosa propria che rientra nei poteri di godimento inerenti al dominio (cfr. Cass. n. 476/1994; Cass. n. 8591/1999; Cass. n. 42/2000; Cass. n. 7466/2015).

Sulla scorta di questo principio (al quale si dovrà conformare il giudice di rinvio, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2), con riferimento alla concreta vicenda giudiziale, dovendo escludersi la configurabilità della costituzione di una servitù, dovrà essere accertato se con la realizzazione da parte della M. del contestato cancello tra la sua proprietà esclusiva ed il tratto di terreno in comune tra la stessa M. e la parte in questa fase intimata, mediante l’apertura di un varco sul muro comune tale da consentire alla ricorrente l’accesso diretto nella sua proprietà, costituisca un uso consentito del bene comune, nel senso che per, effetto del suddetto intervento, non siano rimaste snaturate la funzione a cui è preposta la stradella (nel senso della conservazione della sua immutata idoneità a consentire l’ordinario passaggio) e l’utilizzazione pregressa da parte dell’altra comproprietaria M.R..

A tal proposito – avuto riguardo specificamente alle censure proposte con il primo e terzo motivo – dovrà tenersi conto che la nozione di pari uso della cosa comune, agli effetti dell’art. 1102 c.c., non va intesa nei termini di assoluta identità dell’utilizzazione del bene da parte di ciascun comproprietario, in quanto l’identità nel tempo e nello spazio di tale uso comporterebbe un sostanziale divieto per ogni partecipante di servirsi del bene a proprio esclusivo o particolare vantaggio, pure laddove non risulti alterato il rapporto di equilibrio tra i compartecipanti nel godimento dell’oggetto della comunione.

In via più generale deve riaffermarsi che, in tema di comunione, ciascun comproprietario ha diritto di trarre dal bene comune una utilità maggiore e più intensa di quella che ne viene tratta dagli altri comproprietari, purchè non venga alterata la destinazione del bene o compromesso il diritto al pari uso da parte di quest’ultimi; in particolare, per stabilire se l’uso più intenso da parte del singolo sia da ritenere consentito ai sensi del citato art. 1102 c.c., non deve aversi riguardo all’uso concreto fatto della cosa dagli altri condomini in un determinato momento, ma a quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno; l’uso deve ritenersi in ogni caso consentito se l’utilità aggiuntiva, tratta dal singolo comproprietario dall’uso del bene comune, non sia diversa da quella derivante dalla destinazione originaria del bene e sempre che detto uso non dia luogo a servitù a carico del suddetto bene comune (v., ad es., Cass. n. 10453/2011, nella cui fattispecie, questa Corte ha confermato la sentenza di merito, secondo la quale la realizzazione di un passo carraio tra un fondo di proprietà esclusiva e la strada comune costituiva un uso consentito al condomino, in quanto non snaturava la funzione cui la strada era destinata, ne impediva l’uso della stessa da parte dell’altro comproprietario; si veda, altresì, per un caso analogo, Cass. n. 22341/2009).

8. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente esposte, devono trovare accoglimento, per quanto di ragione, i primi quattro motivi, a cui consegue l’assorbimento del quinto, siccome riguardante la regolazione delle spese all’esito del giudizio di appello. Ne deriva la cassazione dell’impugnata sentenza ed il rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di appello di Catania che, oltre a conformarsi al riportato principio di diritto (v. pag. 6), provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie i primi quattro motivi di ricorso e dichiara assorbito il quinto; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di Catania.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 5 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2018

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