Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9277 del 20/05/2020

Cassazione civile sez. un., 20/05/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 20/05/2020), n.9277

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Primo Presidente f.f. –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23152-2019 proposto da:

P.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DOMENICO CHELINI

5, presso lo studio dell’avvocato FABIO VERONI, rappresentato e

difeso dall’avvocato FABIO BARANELLO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI

CASSAZIONE;

– intimati –

avverso l’ordinanza n. 67/2019de1 CONSIGLIO SUPERIORE DELLA

MAGISTRATURA, depositata il 04/07/2019;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/01/2020 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

SALZANO FRANCESCO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso ed

annullamento con rinvio della sentenza impugnata;

udito l’Avvocato Costanza Nucci per delega dell’avvocato Fabio

Baranello.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura in parziale accoglimento della stessa della richiesta avanzata dal Dott. P.F. il 13 dicembre 2018 di revoca e/o modifica dell’ordinanza con la quale era stato disposto in via cautelare il suo trasferimento ad altro ufficio rispetto a quello di (OMISSIS) – a norma del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 13, comma 2 lo assegnava al Tribunale di Isernia con funzioni di giudice civile.

2. L’ordinanza della sezione disciplinare premetteva che la richiesta si inseriva nell’ambito del procedimento disciplinare avviato a carico del Dott. P. dalla Procura Generale della Cassazione il 28 marzo 2014 nel quale erano stati formulati nove capi di incolpazione per illeciti disciplinari commessi nell’esercizio delle funzioni di (OMISSIS) ai sensi dell’art. 2, lett. a) in relazione al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1, lett. c), d), e), n), t), u) ed aa).

3. Ricordava che in tale contesto era stato disposto, in via cautelare, il trasferimento al Tribunale di Rovigo e che tale misura era stata poi modificata per effetto di una serie di istanze di revoca e/o modifica che avevano determinato lo spostamento prima ad Ancona, poi a Chieti sempre con funzioni di giudice ed, in ultimo, alla (OMISSIS) con funzioni di magistrato distrettuale requirente (con ordinanza del 13 settembre 2017).

4. Rammentava quindi che quest’ultima ordinanza era stata annullata dalle sezioni unite della Cassazione con sentenza del 22 maggio 2018 e che il CSM, in sede di rinvio, aveva respinto la richiesta di revoca e modifica dell’assegnazione cautelare al Tribunale di Chieti con funzioni di giudice, provvedimento quest’ultimo confermato dalle sezioni unite con sentenza n. 7691 del 19 marzo 2019.

5. Evidenziava che erano seguite ulteriori istanze di revoca/sospensione o differimento della misura cautelare (del 12, 19 e 20 settembre 2018) con le quali il P. aveva fatto presente di essere stato assolto dal G.U.P. presso il Tribunale di Bari dalle imputazioni fondate su fatti identici a quelli oggetto del procedimento disciplinare, solo formalmente contestati in modo differente. Precisava che nel marzo del 2013 non era a conoscenza dell’esistenza di un procedimento penale per corruzione nei confronti della Dott.ssa Pe., già a lui legata da una relazione sentimentale, procedimento nell’ambito del quale la Pe. peraltro rivestiva la posizione di persona offesa e che era stato assegnato ad altro magistrato. Deduceva di non aver esercitato alcuna interferenza in quel procedimento e che il giudice penale aveva escluso sia l’abuso d’ufficio che la violazione del segreto d’ufficio, l’indebita iscrizione nel registro delle notizie di reato del Questore dell’epoca, il comportamento scorretto nei confronti del Dott. D. ed anche la sua indisponibilità per esigenze dell’ufficio. Conseguentemente il Dott. P., nel chiedere la revoca della misura cautelare, aveva insistito che rispetto ai capi di incolpazione nn. 3 e 4 non sussisteva alcun fumus di colpevolezza mentre per i restanti capi di incolpazione (1 e 2 e da 5 a 9) la sentenza penale aveva escluso i fatti che ne erano oggetto con la conseguenza che non sussistevano i presupposti a sostegno dell’ordinanza cautelare emessa dalla sezione disciplinare in sede di rinvio da parte delle sezioni unite. Rammentava inoltre che il ricorrente, ribadita anche nell’istanza di revoca del 13 dicembre 2018, la nullità, inesistenza ed illegalità dei provvedimenti cautelari adottati, ne aveva chiesto, in subordine, la sospensione dell’esecuzione ovvero il suo differimento per motivi di salute.

6. Tanto premesso la sezione disciplinare ha posto in rilievo che con l’istanza del 13 dicembre 2018 il P. aveva riprodotto le istanze di annullamento/sospensione già esaminate in due precedenti ordinanze del Consiglio (la n. 126 e la n. 202 del 2018) al fine di ripetere il giudizio di rinvio disposto con la sentenza delle sezioni unite n. 16017 del 2018, che aveva cassato l’ordinanza n. 3 del 2018 della sezione disciplinare con la quale era stato disposto il trasferimento del P. alla (OMISSIS) con funzioni di magistrato distrettuale requirente.

7. Ha dichiarato inammissibile l’istanza con riguardo alla denunciata difformità del provvedimento cautelare rispetto alla sentenza in sede penale del Tribunale di Bari sottolineando che esula dai poteri della Sezione disciplinare l’annullamento dell’ordinanza emessa in sede di rinvio della Cassazione in quanto eventuali nullità (previste dagli artt. 177 c.p.p. e ss. ed applicabili per effetto del rinvio contenuto nel D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 16) avrebbero dovuto essere fatte valere in sede di impugnazione.

8. Ha ritenuto inammissibile la richiesta di sospensione della misura cautelare adottata in sostituzione di quella precedente, essendo tale possibilità espressamente esclusa dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 24, comma 1 e modificabile, invece, l’assegnazione dell’incolpato in considerazione del fatto nuovo delle mutate condizioni di salute certificate dalla documentazione medica prodotta e dalle attenuate esigenze cautelari attestate dalla stessa Procura generale che ha escluso la sola sede di (OMISSIS).

9. Per la cassazione dell’ordinanza ha proposto ricorso il Dott. P.F. affidato a tre motivi ai quali nè il Consiglio Superiore della Magistratura nè il Ministero della Giustizia hanno opposto difese. Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

10. Con il primo motivo di ricorso è denunciata:

– la mancanza o apparenza di motivazione in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) ed al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 15;

– la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato;

– la violazione delle disposizioni che prevedono l’estinzione e dunque l’improseguibilità del procedimento disciplinare in relazione al decorso del termine di cui al D.Lgs. n.. n. 109 del 2006, art. 15, commi 2 e 7;

– l’omessa pronuncia o mancata motivazione sull’inefficacia del decreto di sospensione del 1.12.2015 del procedimento disciplinare n. 55 del 2014 ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 15, comma 8, lett. a) “in ragione e quale conseguenza della statuizione di non medesimezza contenuta nelle precedenti ordinanze cautelari della sezione disciplinare n. 126 del 2018 e 202 del 2018 nonchè in ragione del contenuto del ricorso per cassazione del Ministero della giustizia così come accolto con sentenza n. 16017/2018”;

– l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 15, comma 2 e 7;

– l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità inutilizzabilità inammissibilità o decadenza ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) e con riguardo al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 15, comma 2 e 7;

– la violazione e falsa applicazione di norme penali in relazione al divieto di violazione a catena dell’art. 297 c.p.p. e degli artt. 24,25,27,97, 111 e 113 Cost.;

– la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ed omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.

10.1. Sostiene il ricorrente che nel provvedimento impugnato non si tiene conto delle richieste formulate sia dal Procuratore Generale, nella memoria di sintesi illustrata all’udienza del 4 aprile 2019, che dallo stesso ricorrente nella memoria dell’8 aprile 2019.

10.2. Sottolinea il ricorrente che proprio con riguardo a tali conclusioni della Procura generale egli aveva prestato il suo consenso, ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 15, comma 7 alla pronuncia di estinzione del procedimento disciplinare in relazione all’avvenuto decorso del termine previsto dallo stesso art. 15, comma 2.

10.3. Evidenzia che di tali memorie e richieste l’ordinanza non fa menzione, sebbene la riserva sia stata assunta all’udienza dell’11 aprile 2019 e dunque successivamente al loro deposito. Rammenta che proprio il Procuratore Generale, nella memoria depositata in vista dell’udienza sulla richiesta di revoca della misura cautelare, aveva doverosamente precisato che la misura era stata mantenuta avendo riguardo ad una interpretazione ampia della nozione di identità della vicenda storico fattuale ed aveva sottolineato che nell’ipotesi in cui il Consiglio avesse optato per una nozione restrittiva allora sarebbe sorto il dubbio sulla persistente esistenza dei presupposti della sospensione stessa.

10.4. Sostiene allora che la sezione disciplinare non poteva che prendere atto dell’avvenuta estinzione del procedimento disciplinare e della sopravvenuta inefficacia del provvedimento di sospensione ed era perciò incorsa nelle violazioni di legge denunciate con sentenza la cui motivazione sul punto era del tutto carente della. Evidenzia infine che già nell’ordinanza n. 126 del 2018 la sezione disciplinare del Consiglio aveva posto in rilievo che i fatti oggetto del procedimento penale e di quello disciplinare erano solo parzialmente. Conseguentemente il procedimento disciplinare si sarebbe estinto per avvenuto decorso del termine.

11. Con il secondo motivo di ricorso, per il caso in cui si ritenga che i fatti contestati in sede disciplinare e quelli oggetto del procedimento penale siano sovrapponibili, il Dott. P., in subordine, denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 24,25,27,97, 111 e 113 Cost. con riguardo all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), b) ed e) e art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Sostiene il ricorrente che, erroneamente, la sezione disciplinare aveva ritenuto che, seppure nella nuova sede individuata, non poteva essere assegnato alle funzioni requirenti così come disposto dallo stesso Consiglio Superiore della magistratura con l’ordinanza n. 69 del 2019 che, tenuto conto della palese attenuazione delle esigenze cautelari aveva modificato ulteriormente l’ordinanza del Consiglio n. 72 del 2014.

12. Con il terzo motivo di ricorso è denunciata la violazione degli artt. 24,25,27,97, 111 e 113 Cost. in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), b) ed e) ed all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

12.1. Osserva il ricorrente che l’ordinanza impugnata, nel disporre l’assegnazione al Tribunale di Isernia, per la prima volta e senza alcuna motivazione ha indicato, diversamente da tutte le precedenti ordinanze le sole funzioni civili sebbene neppure il Procuratore generale avesse formulato una richiesta in tal senso.

13. Il primo motivo di ricorso va accolto.

13.1. Rileva il Collegio che la sentenza della sezione disciplinare che viene qui impugnata ha, effettivamente, del tutto trascurato di considerare che il Procuratore generale, nella memoria depositata il 4 aprile 2019, aveva sollecitato la sezione disciplinare a verificare la identità dei fatti oggetto di incolpazione e di quelli che avevano dato luogo alle imputazioni in sede penale ed accertare se il procedimento disciplinare si era o meno estinto. Tale sollecitazione era stata raccolta dal Dott. P. il quale, insistendo nella sostanziale diversità dei fatti oggetto del procedimento penale rispetto a quelli oggetto del procedimento disciplinare, con la memoria integrativa depositata il 9 aprile 2019 in vista dell’udienza del successivo 11 aprile, aveva prestato il suo assenso all’estinzione del procedimento.

13.2. Tanto premesso va qui ricordato che il D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 15 nel dettare i termini dell’azione disciplinare e del successivo procedimento, al comma 7 prevede che il procedimento si estingua in caso di mancato rispetto dei termini ivi dettati. l’art. 15, comma 8 regola invece la sospensione del corso dei termini ed alla lett. a) della citata disposizione prevede, tra i casi di sospensione, quello in cui per il medesimo fatto sia stata esercitata l’azione penale (D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 15, comma 8, lett. a).

13.3. Ne consegue che ove il giudice disciplinare sia sollecitato a verificare se si sono verificate le condizioni per dichiarare l’estinzione del procedimento, come è avvenuto nel caso in esame, sarà tenuto ad accertare in concreto l’esistenza delle condizioni per una legittima sospensione dei termini nella pendenza del procedimento penale. In sostanza il giudice disciplinare, al quale solo è demandato l’accertamento dei fatti, avrebbe dovuto nello specifico verificare, e non lo ha fatto, se quelli che avevano dato luogo al procedimento penale erano i medesimi oggetto del giudizio disciplinare. Solo in presenza del presupposto della “medesimezza del fatto” i termini del procedimento disciplinare sono sospesi legittimamente.

13.4. Nel valutare la dipendenza tra i due giudizi e nel configurare correttamente il concetto di “medesimo fatto” il giudice del merito deve avere riguardo all’identità della vicenda storica che giustifica la necessaria sospensione del procedimento disciplinare in attesa della definizione del giudizio penale. Deve tenere conto del fatto che nelle due ipotesi, giudizio penale e giudizio disciplinare, i criteri di accertamento della responsabilità sono diversi in ragione della diversità del bene tutelato. Deve indagare sull’identità della vicenda storica dalla quale i due procedimenti traggono origine senza trascurare di considerare che un’eccessiva limitazione nell’applicazione dell’istituto della sospensione potrebbe determinare una frammentazione dei processi con effetti negativi sotto il profilo dell’economia processuale e dell’interesse dell’incolpato ad un processo unitario rispetto a fatti complessivamente addebitati e maturati in un unico contesto (cfr. Cass. Sez. U. 21/09/2018 n. 22427 e già Cass. Sez. U. 28/03/2014 n. 7310 seppure con rifermento alla disciplina vigente prima del D.Lgs. n. 109 del 2006).

13.5. In definitiva la sentenza, che ha del tutto trascurato di prendere in esame la specifica questione sottoposta alla sua attenzione, deve essere cassata e rinviata alla sezione disciplinare in diversa composizione, che verificherà se ricorrono o meno i presupposti per dichiarare estinto il procedimento disciplinare.

14. Ugualmente e fondato il terzo motivo di ricorso con il quale si deduce che immotivatamente la sentenza disciplinare nel destinare il Dott. P. al Tribunale di Isernia ha circoscritto le funzioni da assegnargli solo a quelle civili. Osserva infatti il Collegio che dalla lettura della motivazione della sentenza non è dato comprendere le ragioni della limitazione disposta.

14.1. Va qui ribadito che ai fini dell’applicazione della misura cautelare del trasferimento d’ufficio del magistrato, il giudice del merito deve verificare, e motivare, oltre agli altri elementi quali il fumus e le ragioni di urgenza, anche le esigenze di carattere soggettivo che suggeriscono di allontanare il magistrato da un ambiente in cui, in pendenza del giudizio disciplinare, non potrebbe continuare ad esercitare le funzioni con la serenità e il distacco necessari. E’ ben possibile mantenere il magistrato assoggettato a procedimento disciplinare in un ufficio limitrofo destinandolo a mansioni radicalmente diverse (cfr. Cass. Sez. U. 15/01/2020 n. 741) ma di tale determinazione è necessario esplicitare le ragioni, a maggior ragione in un caso, come quello in esame, in cui dagli atti risulta che la stessa Procura generale aveva chiesto l’allontanamento dalla sede in cui all’epoca dei fatti contestati prestava servizio ma mai la destinazione a funzioni diverse da quelle originariamente rivestite. Nel disporre il trasferimento quale misura cautelare, la sezione disciplinare del CSM può individuare la sede e le funzioni dell’ufficio di destinazione del magistrato, poichè la natura e lo scopo della misura cautelare impongono una celere definizione, risultando intrinsecamente contraddittorio un sistema che vedesse “diviso”, con diverse attribuzioni di competenze, il potere cautelare di trasferimento e quello di indicazione della sede e delle funzioni, dando luogo ad un aggravio procedurale capace di rendere concretamente “inutile” il trasferimento (cfr. Cass. Sez. U. 06/02/2018 n. 2804). Tuttavia quando, come nel caso in esame, il trasferimento costituisca l’ennesima misura cautelare adottata in sede di modifica del provvedimento originariamente adottato la scelta di restringere l’ambito delle funzioni da assegnare deve essere quanto meno motivata.

15. Il secondo motivo di ricorso non può, invece, essere accolto atteso che, pur trascurando i pur evidenti profili di inammissibilità della censura generica nella sua esposizione, è comunque infondata avendo la Corte esplicitato con chiarezza le ragioni poste a fondamento dell’assegnazione al Tribunale di Isernia in parziale accoglimento della domanda di revoca della misura cautelare avanzata dal Dott. P..

16. In conclusione, per le ragioni esposte, il primo ed il terzo motivo di ricorso devono essere accolti, mentre va rigettato il secondo motivo. Per l’effetto la sentenza cassata in relazione ai motivi accolti deve essere rinviata alla sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura che in diversa composizione si atterrà ai principi sopra dettati.

17. Quanto alle spese del giudizio si reputa equo compensarle in considerazione della complessità e novità delle questioni trattate.

PQM

La Corte accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso, rigettato il secondo.

Cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia al Consiglio superiore della Magistratura in diversa composizione.

Compensa tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle sezioni unite, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2020

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