Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9276 del 03/04/2019

Cassazione civile sez. lav., 03/04/2019, (ud. 23/01/2019, dep. 03/04/2019), n.9276

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19722/2013 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO TRIOLO, VINCENZO STUMPO, ANTONINO

SGROI;

– ricorrente –

contro

T.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA S. TOMMASO

D’AQUINO 80, presso lo studio dell’avvocato SEVERINO GRASSI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI FIESOLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 415/2013 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

pubblicata il 13/05/2013 R.G.N. 643/2011.

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza N. 415 del 2013, la Corte d’Appello di Firenze ha rigettato l’impugnazione proposta dall’INPS avverso la sentenza di primo grado di accoglimento della domanda proposta da T.S., con ricorso depositato il 7 ottobre 2010 e notificato il 27 dicembre 2010, nei confronti dell’INPS per il pagamento a carico del fondo di garanzia delle ultime tre mensilità di retribuzione maturate alle dipendenze di Essepi s.r.l. relative al periodo maggio – luglio 2006;

la Corte territoriale, dato atto che le questioni controverse devolute in appello erano relative alla eccezione di prescrizione sollevata dall’Inps ed alla quantificazione del credito, ha ritenuto infondata la tesi dell’Istituto basata sulla considerazione che non potesse riconoscersi efficacia interruttiva della prescrizione alla lettera inviata dal difensore del lavoratore (datata 5.11.2008, come si evince dagli atti di questo giudizio) perchè riferita alla richiesta di pagamento del solo t.f.r. e che la contestazione del quantum costituisse domanda nuova, andando con ciò in contrario avviso rispetto ad un precedente di legittimità ritenuto non condivisibile;

che avverso la sentenza ha proposta ricorso l’INPS, articolato in due motivi, cui ha opposto difese T.S. con controricorso;

che il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 80 del 1992, art. 2, comma 5, censurando il capo di sentenza che ha respinto l’eccezione di prescrizione in ragione del fatto che la Corte territoriale avrebbe errato nella cognizione delle date (pacifiche tra le parti ed accertate dagli stessi giudici di merito) posto che il ricorrente aveva presentato ricorso amministrativo al Comitato provinciale dell’INPS in data 7 luglio 2009 mentre il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado era stato depositato in cancelleria in data 7 ottobre 2010, poi notificato il 27 dicembre 2010;

il giudice, a prescindere dalla esatta indicazione dei termini di operatività del decorso della prescrizione effettuata dalla parte che ha sollevato la relativa eccezione, avrebbe potuto e dovuto rilevare la fondatezza della medesima eccezione e non dichiararla infondata esaminando solo un aspetto non essenziale della fattispecie, quale quello della idoneità della lettera inviata dall’avvocato del lavoratore al fine di interrompere la prescrizione precedentemente al deposito del ricorso amministrativo;

il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 437 c.p.c., con riferimento al D.Lgs. n. 80 del 1992, art. 2, comma 2, posto che la sentenza impugnata aveva consapevolmente disatteso il precedente di legittimità costituito da Cass. n. 12028 del 2003 con motivazione ritenuta non conforme a diritto laddove si è disatteso il principio secondo cui l’erronea determinazione del limite massimo stabilito dalla L. n. 80 del 1992, art. 2, comma 2, attiene all’esatta indicazione del quantum del diritto riconosciuto direttamente conoscibile dal giudice e non soggetto a disponibilità delle parti;

ritiene la Corte si debba dichiarare la fondatezza del ricorso;

quanto al primo motivo, va osservato che rimane piena la cognizione del giudice dell’impugnazione in ordine alla questione della prescrizione del diritto alle tre mensilità, anche laddove l’INPS abbia sostenuto una decorrenza fondata su valutazioni differenti da quelle ritenute dal giudice, giacchè in tema di prescrizione estintiva, la determinazione della durata dell’inerzia del titolare del diritto, necessaria per il verificarsi dell’effetto estintivo, si configura come una quaestio iuris concernente l’identificazione del diritto stesso e del regime prescrizionale per esso previsto dalla legge (Cass. S.U. n. 10955 del 2002);

inoltre, costituisce consolidato orientamento di questa Corte di cassazione (Cass. n. 21595 del 2004; Cass. 17592 del 2016) l’affermazione del principio secondo cui in tema di prescrizione annuale del diritto di ottenere dal Fondo di garanzia gestito dall’INPS il pagamento delle retribuzioni relative agli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro, secondo la previsione del D.Lgs. n. 80 del 1992, art. 2, comma 2, la presentazione della prescritta domanda, secondo le norme che regolano il conseguimento delle prestazioni previdenziali, ai sensi della L. n. 88 del 1989, art. 25 e 46, oltre a costituire atto interruttivo della prescrizione, determina l’apertura del procedimento amministrativo preordinato alla liquidazione, cosicchè il decorso della prescrizione resta sospeso fino alla sua conclusione (che, nel caso di silenzio dell’Istituto e di mancata proposizione nei termini del ricorso amministrativo, si ha dopo duecentodieci giorni, di cui centoventi dalla domanda e novanta fissati per la proposizione del ricorso, ai sensi della citata L. n. 88 del 1989, art. 46) in base alla L. n. 88 del 1989, art. 46, commi 5 e 6;

da tale massima si ricava che:

a) il periodo di sospensione può avere la durata massima di 300 giorni nel caso in cui il provvedimento negativo dell’Ente non intervenga, con il formarsi del silenzio rifiuto, entro 120 giorni dalla domanda amministrativa della L. n. 533 del 1973, ex art. 7, indi l’assicurato ha il termine massimo di 90 giorni per proporre il ricorso amministrativo (in tal senso disponeva del citato R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 98 e dispone adesso la L. n. 88 del 1989, art. 46, comma 5) e, quindi, dopo altri 90 giorni senza che l’Istituto si sia pronunciato sul ricorso, si determina il silenzio- rigetto (R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 98, comma 3 e della L. n. 88 del 1989, art. 46, comma 6);

b) ovvero una durata inferiore, ove l’assicurato non presenti tempestivamente ricorso amministrativo (cosicchè il procedimento deve ritenersi concluso dopo 90 giorni dalla scadenza dei 120 giorni dalla domanda) oppure qualora l’Inps risponda prima dei 120 giorni, l’assicurato proponga ricorso ancor prima della scadenza dei 90 giorni che gli sono concessi e l’Ente emetta un provvedimento ancor prima della scadenza dei 90 giorni (cfr. Cass. 10 giugno 2003, n. 3286 cìt.);

applicando al caso di specie quanto definito in via generale, va rilevato che anche a voler ritenere, come sostenuto dal lavoratore ed accertato dalla Corte d’appello, che la missiva del 5 novembre 2008 contenesse la domanda amministrativa di richiesta del pagamento delle ultime tre mensilità, da ciò deriva che il provvedimento di rigetto dell’Istituto intervenne in data 24 marzo 2009 e, quindi, quando erano ormai decorsi i 120 giorni dalla data della domanda (5 marzo 2009);

da tale ultima scadenza iniziarono a decorrere i 90 giorni previsti per la presentazione del ricorso amministrativo, con ulteriore scadenza alla data del 3 giugno 2009 e successivo ulteriore computo di 90 giorni perchè intervenisse la decisione del detto ricorso, con definitiva formazione del silenzio rigetto alla data del 1.9.2009;

pertanto, poichè il termine annuale decorrente da tale data si è compiuto il 1.9.2010 è evidente che nè il deposito del ricorso giudiziale del 7 ottobre 2010, nè la sua notifica, avvenuta solo il 27 dicembre 2010, sono atti tempestivi e quindi idonei a determinare l’interruzione della prescrizione con la conseguenza che il motivo va accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti ai sensi dell’art. 384 c.p.c., la causa va decisa nel merito con il rigetto della domanda originaria;

l’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento del secondo, relativo alla quantificazione del credito non riconosciuto;

quanto alle spese dell’intero processo, mentre si reputa equo compensare tra le parti quelle dei gradi di merito – tenuto conto dei tempi di consolidamento degli orientamenti della giurisprudenza, anche di legittimità – per quanto concerne, invece, le spese del giudizio di legittimità esse vanno poste a carico della parte controricorrente soccombente e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da T.S.; dichiara compensate le spese dei gradi di merito; condanna il contro ricorrente alle spese del giudizio legittimità che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2019

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