Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9275 del 19/04/2010

Cassazione civile sez. I, 19/04/2010, (ud. 25/02/2010, dep. 19/04/2010), n.9275

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., n. 5, nella

causa iscritta al n. 29252 del Ruolo generale degli affari civili del

2008, su ricorso proposto da:

B.A., nato ad (OMISSIS),

elettivamente domiciliato in Roma, alla Via dell’Acqua, Traversa n.

195, presso l’avv. DAPEI Enrico, che lo rappresenta e difende, per

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro in carica, ex lege

domiciliato in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura generale dello Stato e da questa rappresentato e difeso;

– controricorrente –

e

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma,lA sez. civ., n.

4338 del 26 settembre – 22 ottobre 2007.

Sentiti, all’adunanza del 25 febbraio 2010, l’avv. Dapei per il

ricorrente e il P.M., che nulla osserva sulla relazione ai sensi

dell’art. 380 bis c.p.c., del Cons. Dr. Marina A. Tavassi nella quale

si afferma:

 

Fatto

IN FATTO

Con ricorso notificato a mezzo posta il 2 e 3 dicembre 2007 al Ministero dell’interno e al P.G. presso la Corte di Cassazione, è stata chiesta la cassazione della sentenza n. 4338/07, pubblicata il 22 ottobre 2007, della Corte d’appello di Roma che, rigettando l’appello di B.A., nato in (OMISSIS), ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma del 10 aprile 2006, che aveva respinto la domanda dello stesso di essere riconosciuto cittadino italiano in quanto nato da madre già cittadina (OMISSIS), G.C., nata in (OMISSIS) da padre (OMISSIS) e privata della cittadinanza, della L. 13 giugno 1912, n. 555, ex art. 10, per avere contratto matrimonio con un cittadino (OMISSIS) il (OMISSIS).

L’istante, nato da tale unione, era cittadino (OMISSIS) per la legislazione vigente alla data della nascita, ma l’art. 10 e l’art. 1 della citata legge del 1912 sulla cittadinanza che rispettivamente privavano di tale stato la donna coniugata con lo straniero e impedivano la trasmissione dello stato ai figli nati da donna (OMISSIS), erano norme dichiarate entrambe illegittime perchè in contrasto con la carta fondamentale dalla Corte costituzionale con le sentenze n.ri 87 del 16 aprile 1975 e 30 del 9 febbraio 1983, la prima per la parte in cui prevedeva la perdita della cittadinanza per la donna senza il concorso della sua volontà e solo per il matrimonio con lo straniero e la seconda per la parte in cui non prevedeva l’acquisto della cittadinanza del figlio di madre italiana.

Con il ricorso i il B. riferiva che alla propria sorella E. era stata riconosciuta la cittadinanza italiana dalla nascita e denunciava violazioni di legge e insufficienze motivazionali, chiedendo di cassare la sentenza della Corte d’appello perchè in contrasto con norme della carta costituzionale (artt. 9, 10 e 3 Cost.), della legge (L. n. 151 del 1975, art. 219, comma 1, anche in rapporto alla L. n. 91 del 1992), oltre che immotivata.

Il ricorso sì articola in quattro motivi che lamentano violazione delle citate norme di legge ordinaria, applicabili ratione temporis e degli artt. 3, 9 e 10 Cost., e si chiudono con i seguenti quesiti di diritto: 1) se lo straniero nato prima del 1 gennaio 1948 da cittadina italiana, che abbia perso detta cittadinanza a seguito di matrimonio con uno straniero, possa acquistare la cittadinanza (OMISSIS) dalla madre anche se questa non ha espresso la volontà di riacquistare il suo stato di cittadina con la dichiarazione di cui all’art. 219 della riforma del diritto di famiglia di cui alla L. n. 151 del 1975; 2) se sono retroattive le norme costituzionali a tutela dello stato di cittadina delle donne che è imprescrittibile, con irrilevanza conseguente delle norme ordinarie che, con disparità di trattamento tra i sessi, imponevano alla donna la perdita della cittadinanza per il matrimonio con lo straniero e determinavano il mancato acquisto dello stato di cittadino per il figlio nato da lei;

3) se appaia non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 151 del 1975, art. 219, che impone la dichiarazione della donna per il riacquisto della cittadinanza; 4) se sia applicabile come ius superveniens il D.L. 11 aprile 2006, n. 198, a norma della L. 28 novembre 2005, n. 246, art. 6. Il controricorrente Ministero dell’interno ha chiesto il rigetto del ricorso, perchè infondato.

Ha opinato il consigliere relatore che il ricorso è manifestamente fondato, dovendosi osservare il seguente principio di diritto enunciato di recente da S.U. 25 febbraio 2009 n. 4466, che ha risolto il contrasto precedente (in difformità da precedenti decisioni delle stesse Sezioni Unite: “Per effetto delle sentenze della Corte Costituzionale n. 87 del 1975 e 30 del 1983, la cittadinanza italiana deve essere riconosciuta in sede giudiziaria alla donna che l’abbia perduta della L. n. 555 del 1912, ex art. 10, per aver contratto matrimonio con cittadino straniero anteriormente al 1 gennaio 1948, indipendentemente dalla dichiarazione resa ai sensi della L. n. 151 del 1975, art. 219, in quanto l’illegittima privazione dovuta alla norma dichiarata incostituzionale non si esaurisce con la perdita dello stato non volontaria dovuta al sorgere del vincolo coniugale, ma continua a produrre effetti anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione, in violazione del principio fondamentale della parità dei sessi e dell’uguaglianza giuridica e morale tra i coniugi, contenuti negli artt. 3 e 29 Cost.. Ne consegue che la limitazione temporale della dichiarazione di incostituzionalità al 1 gennaio 1948, data di entrata in vigore della legge fondamentale, non impedisce il riconoscimento dello “status” di cittadino, che ha natura permanente e imprescrittibile e giustiziabile in ogni tempo, salva l’estinzione per effetto della rinuncia dell’avente diritto ad esso. In applicazione del principio, riacquista la cittadinanza italiana dal 1 gennaio 1948 anche il figlio di donna nella situazione descritta, nato prima di tale data e nel vigore della L. n. 555 del 1912 e tale diritto si trasmette ai suoi figli, determinando il rapporto di filiazione, dopo l’entrata in vigore della costituzione, la trasmissione dello stato di cittadino, che sarebbe spettato di diritto in assenza della legge discriminatoria” (in senso conforme cfr. in precedenza Cass. 10 luglio 1996 n. 6297, 18 novembre 1996 n. 10086 e 22 novembre 2000 n. 15062 e successivamente Cass. 29 luglio 2009 n. 17548 e 7 agosto 2009 n. 18089, e contra S.U. 27 novembre 1998 n. 12602 e 19 febbraio 2004 n. 3331).

Adeguandosi all’orientamento citato della Corte a sezioni unite la relazione opina per la manifesta fondatezza dei primi due motivi del ricorso, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5, con assorbimento degli altri motivi.

Diritto

Il collegio condivide e fa proprio l’opinamento espresso dal relatore e accoglie il ricorso, perchè manifestamente fondato nei suoi primi due motivi, con assorbimento degli altri due.

Non essendo necessari altri accertamenti di fatto la causa può essere decisa nel merito e B.A., nato ad (OMISSIS) da B.S. e G.C., cittadina (OMISSIS) fino alla data in cui aveva contratto matrimonio il (OMISSIS) con un cittadino (OMISSIS), in cui la stessa era “da considerare ancora tale almeno a decorrere dal 1 gennaio 1948, data di entrata in vigore della Costituzione, con conseguente acquisto dello stato di cittadino anche per il figlio ricorrente in questa sede a decorrere dalla stessa data, dovendo considerarsi cittadino per essere nato da donna di cittadinanza (OMISSIS).

Le spese possono compensarsi in via equitativa, dati i contrasti esistenti in giurisprudenza nella materia, dandosi le disposizioni di cui al D.Lgs n. 196 del 2003, art. 52, trattandosi di azione di stato.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c.: a) accoglie la domanda di B.A., nato a (OMISSIS) e lo dichiara cittadino italiano; b) ordina al Ministero dell’interno e, per esso, all’ufficiale dello stato civile competente, di procedere alle iscrizioni, trascrizioni e annotazioni di legge nei registri dello stato civile, della cittadinanza della persona indicata, provvedendo alle eventuali comunicazioni alle autorità consolari competenti; c) compensa le spese dell’intero giudizio tra le parti. Dispone di ufficio che, a cura della Cancelleria, sia apposta su questa ordinanza l’annotazione, di cui all’art. 52, commi 1 e 5, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, che vieta di riportare le generalità delle parti, in caso di divulgazione o diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2010

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