Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9271 del 24/04/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 9271 Anno 2014
Presidente: CECCHERINI ALDO
Relatore: DI AMATO SERGIO

SENTENZA

sul ricorso 9618-2012 proposto da:
KUHAR MARINO (c.f. KHRMRN48B14E622Z), BISOL ETTORE
(c.f. BSLTTR56T27L565L), nella qualità di
liquidatori e legali rappresentanti della LUCENTE

Data pubblicazione: 24/04/2014

S.N.C. DI KUHAR MARINO & C. IN LIQUIDAZIONE, inoltre
il primo anche nella qualità di socio della predetta
società ed il secondo nella qualità di socio
accomandatario e legale rappresentante della ECMA
S.A.S. DELL’ING. ETTORE BISOL, elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA MARIANNA DIONIGI 29, presso

1

l’avvocato MILLI MARINA, rappresentati e difesi
dall’avvocato MORGIA GIUSEPPE, giusta procura in
calce al ricorso;
– ricorrenti contro

GUERRINO

(c.f.

MRCGRN61S02A703U),

PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA PROCURA DELLA
REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI BASSANO DEL
GRAPPA, PROCURATORE GENERALE REPUBBLICA PRESSO LA
CORTE D’APPELLO DI VENEZIA;
– intimati –

Nonché da:
MARCADELLA GUERRINO (C.F. MRCGRN61S02A703U), nella
qualità di curatore del Fallimento LUCENTE S.N.C. di
KUHAR MARINO & C. IN LIQUIDAZIONE e dei soci
illimitatamente responsabili KUHAR MARINO, ECMA
S.A.S. dell’ing. ETTORE BISOL & C., nonchè di ETTORE
BISOL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
LUCREZIO CARO 62, presso l’avvocato CICCOTTI SABINA,

MARCADELLA

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato
PADOVAN GIUSEPPE, giusta procura a margine del
controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale contro

KUHAR MARINO (c.f. KHRMRN48B14E622Z), BISOL ETTORE

2

(c.f.

BSLTTR56T27L565L),

nella

qualità

di

liquidatori e legali rappresentanti della LUCENTE
S.N.C. DI KUHAR MARINO & C. IN LIQUIDAZIONE, inoltre
il primo anche nella qualità di socio della predetta
società ed il secondo nella qualità di socio

S.A.S. DELL’ING. ETTORE BISOL, elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA MARIANNA DIONIGI 29, presso
l’avvocato MILLI MARINA, rappresentati e difesi
dall’avvocato MORGIA GIUSEPPE, giusta procura in
calce al controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrenti al ricorso incidentale contro

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA
CORTE D’APPELLO DI VENEZIA, PUBBLICO MINISTERO
PRESSO PROCURA REPUBBLICA TRIBUNALE BASSANO DEL
GRAPPA;
– intimati –

avverso la sentenza n.

554/2012 della CORTE

accomandatario e legale rappresentante della ECMA

D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 08/03/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 21/02/2014 dal Consigliere Dott. SERGIO
DI AMATO;
udito,

per

il

controricorrente

e

ricorrente

incidentale, l’Avvocato SABINA CICCOTTI che ha

3

chiesto

il

rigetto

del

ricorso

principale,

l’accoglimento dell’incidentale;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PIERFELICE PRATIS che ha concluso per

il rigetto di entrambi i ricorsi.

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza dell’8 marzo 2012 la Corte di appello di
Venezia rigettava il reclamo proposto dalla s.n.c. Lucente
di Marino Kuhar, nonché dai suoi soci illimitatamente

responsabili Marino Kuhar e s.a.s. ECMA dell’ing. Ettore
Bisol, e da quest’ultimo in proprio avverso la sentenza in
data 7 ottobre 2011 con cui il Tribunale di Bassano del
Grappa aveva dichiarato il loro fallimento, a seguito
della revoca, con decreto del 16 luglio 2011 emesso ai
sensi dell’art. 173 l. fall., dell’ammissione della s.n.c.
Lucente alla procedura di concordato preventivo. In
particolare, per quanto ancora interessa, la Corte di
appello osservava che: l) il decreto di revoca era stato
impugnato con reclamo che era stato dichiarato
inammissibile in quanto non proposto anche avverso la (non
ancora intervenuta) dichiarazione di fallimento; ciò,
tuttavia, non escludeva che con l’impugnazione di
quest’ultima fossero deducibili anche motivi attinenti
alla revoca del concordato; 2) l’art. 173 1. fall. prevede
esplicitamente il potere del tribunale di attivare
d’ufficio il procedimento di revoca dell’ammissione al
concordato quando il commissario giudiziale riferisce
intorno ad atti di frode compiuti dal debitore; 3) nella
specie il commissario giudiziale aveva evidenziato, nella
relazione

ex art. 172 1. fall., che la s.n.c. Lucente
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aveva esposto nella proposta di concordato una situazione

dell’attivo, con particolare riferimento ai crediti, assai
diversa da quella accertata; tale divergenza aveva
certamente un connotato fraudolento, come poteva desumersi
non solo dall’anomala impennata dei crediti dal 2008 al

2009, ma anche dalla presenza di forniture a clienti
esteri senza richieste di anticipi o di garanzie nonché
dalla inattendibilità dei dati relativi a tali clienti. La
situazione non integrava gli estremi di una mera
inesigibilità dei crediti, la cui valutazione doveva
ritenersi affidata ai creditori, ma di una condotta
diretta ad ingannare questi ultimi, fornendo loro
informazioni non veritiere; 4) il procedimento per la
dichiarazione di fallimento era stato avviato su richiesta
del pubblico ministero formulata all’udienza fissata dal
Tribunale per la revoca dell’ammissione al concordato.
La s.n.c. Lucente di Marino Kuhar, nonché i suoi soci
illimitatamente responsabili Marino Kuhar e s.a.s. ECMA
dell’ing. Ettore Bisol, e quest’ultimo in proprio
propongono ricorso per cassazione, deducendo quattro
motivi. I fallimenti dei predetti ricorrenti resistono con
controricorso e propongono ricorso incidentale affidato ad
un motivo, al quale i ricorrenti principali resistono con
controricorso.
,

MOTIVI DELLA DECISIONE
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Con il primo motivo i ricorrenti principali deducono la
violazione dell’art. 173 1. fall. e dell’art. 112 c.p.c.,
nonché il vizio di motivazione, lamentando che
erroneamente la Corte di appello aveva ritenuto possibile
l’avvio del procedimento di revoca in assenza di una

specifica richiesta in tal senso del commissario
giudiziale, il quale si era limitato a riferire di una
difficile se non impossibile riscossione dei crediti.
Inoltre, l’eventuale alterazione dei valori di stima
dell’attivo non poteva assumere rilievo di atto di frode
nel concordato proposto che non prevedeva la cessione dei
beni ai creditori, ma il loro pagamento in percentuale,
con l’assunzione da parte del debitore di ogni rischio
relativo alla liquidazione dell’attivo.
Il motivo è infondato sotto entrambi i profili. La
lettera dell’art. 173, primo comma, 1. fall. è esplicita
nel senso che il tribunale apre d’ufficio il procedimento
per la revoca dell’ammissione al concordato preventivo
quando il commissario giudiziale ha accertato e riferito
il compimento di atti di frode da parte del debitore. Al
riguardo occorre solo chiarire che la frode ha carattere
oggettivo e la relativa qualificazione spetta al tribunale
indipendentemente dalle espressioni usate dal commissario
giudiziale, il quale ha il compito di accertare i fatti e
di riferirli al tribunale. Quanto, poi, alla
qualificazione come atto di frode dell’alterazione dei
7

valori di stima dell’attivo nell’ambito di un concordato
che prevede il pagamento in percentuale dei creditori, è
evidente che, quando le risorse per l’adempimento del
concordato sono rappresentate dal provento della
liquidazione dell’attivo, una falsa rappresentazione della

sua consistenza incide certamente sul consenso informato
dei creditori.
Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la
violazione degli artt. 160, 161, 162 e 173 1. fall. nonché
il vizio di motivazione, lamentando che la Corte di
appello lungi dall’individuare gli asseriti atti di frode
aveva, in realtà, effettuato un giudizio di fattibilità ed
espresso un giudizio di meritevolezza. In particolare, la
fatturazione per operazioni inesistenti, ritenuta dalla
Corte di appello e mai affermata dal commissario
giudiziale, pur costituendo un fatto di rilevanza penale,
non costituiva una frode che legittimava la revoca
dell’ammissione al concordato, considerato anche che
quest’ultimo prevedeva il pagamento in percentuale dei
creditori e non la cessione dei beni. Nella specie,
inoltre, la fatturazione per operazioni inesistenti non
era stata accertata, ma desunta sulla base di deboli
indizi relativi alla difficile esigibilità dei crediti.
Il motivo è infondato in tutti i suoi profili. Gli atti
di frode, dopo che la riforma ha escluso il rilievo della
meritevolezza nelle valutazioni affidate al tribunale,
8

esigono una condotta del debitore volta ad occultare
situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei
creditori, cioè situazioni che, da un lato, se conosciute,
comporterebbero presumibilmente una valutazione diversa e
negativa della proposta e che, dall’altro, siano state

“accertate” dal commissario giudiziale, cioè da lui
“scoperte”, essendo prima ignorate dagli organi della
procedura o dai creditori (Cass. 15 ottobre 2013, n.
23387; Cass. 23 giugno 2011, n. 13817). D’altro canto, la
divergenza tra la situazione patrimoniale dell’impresa
prospettata con la proposta di concordato e quella
effettivamente riscontrata dal commissario giudiziale può
essere inquadrata tra gli atti di frode soltanto se ha
carattere doloso, non essendo concepibile un atto
fraudolento, che non sia sorretto da una precisa
intenzione di compierlo (Cass. 5 agosto 2011, n. 17038).
La dolosa divergenza tra la situazione prospettata e
quella accertata non può, poi, essere ricondotta tra le
circostanze riservate alla valutazione dei creditori sotto
il profilo della convenienza della proposta di concordato
e della fattibilità del piano o sotto il profilo della
meritevolezza. Di una tale valutazione, infatti, si può

k

n-f-att4 parlare soltanto se il debitore non ha nascosto ai

creditori le circostanze che su di essa incidono.
A tali principi si è uniformata la Corte territoriale,
la quale, da un lato, ha desunto il dolo nella
9

prospettazione nell’attivo di crediti inesistenti da una
serie di indizi, con un ragionamento la cui congruità
neppure è stata specificamente censurata in questa sede e,
d’altro canto, sottolineando la dolosa non veridicità dei
dati offerti ai creditori, ha esattamente escluso che

nella specie ricorresse una situazione valutabile in
termini di meritevolezza del debitore, di convenienza
della proposta di concordato e di fattibilità del piano di
concordato.
Quanto, infine, al rilievo della divergenza tra la
prospettazione dell’attivo e la sua reale consistenza in
un concordato con pagamento in percentuale, si rinvia a
quanto osservato nell’esame del primo motivo.
Con il terzo motivo i ricorrenti deducono la violazione
degli artt. 6, 7 e 173 1. fall. nonché il vizio di
motivazione, lamentando che la sentenza impugnata aveva
erroneamente ritenuto che la richiesta di fallimento
formulata dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 173
potesse prescindere dai limiti previsti dall’art. 7 1.
fa 11.
Il motivo è infondato. Come si è già detto, l’art. 173,
secondo comma, 1. fall. prevede che, ricorrendo le
situazioni previste dal primo coma, il tribunale «apre
d’ufficio il procedimento per la revoca dell’ammissione al
concordato, dandone comunicazione al pubblico ministero ed
ai creditori» e stabilisce che «all’esito del
10

procedimento, che si svolge nelle forme di cui all’art.
15, il tribunale provvede con decreto e, su istanza del
creditore o richiesta del pubblico ministero, accertati i
presupposti di cui agli artt. 1 e 5, dichiara il
fallimento del debitore, con contestuale sentenza,

reclamabile ai sensi dell’art. 18». Pertanto il pubblico
ministero, il quale è informato della domanda di
concordato preventivo ai sensi dell’art. 161 L.F., in
forza dell’art. 173 1. fall., è specificatamente informato
della procedura di ufficio per la revocaehill’ammissione
ha procedura di concordato preventivo. In tale
situazione non può pretendersi che la richiesta del
pubblico ministero sia circostanziata, come prevede l’art.
7 1. fall., dal fatto che l’insolvenza risulti nel corso
di un procedimento penale (o per le altre situazioni
previste nel n. 1 dell’art. 7 cit.) ovvero risulti dalla
segnalazione proveniente dal giudice civile che l’abbia
rilevata nel corso di un procedimento civile. Nell’ambito
dell’art. 173 sono, infatti, compiutamente disciplinati i
poteri del pubblico ministero in caso di revoca
dell’ammissione e la stessa comunicazione dell’avvio del
procedimento di revoca non è riconducibile alle
segnalazioni del giudice civile di cui al citato art. 7,
trattandosi di un adempimento finalizzato all’eventuale
richiesta di fallimento previsto dalla stessa disciplina
del procedimento di revoca (Cass. 16 marzo 2012, n. 4209).
11

Con il quarto motivo i ricorrenti deducono la
violazione dell’art. 15, sesto comma, e dell’art. 18 1.
fall. nonché il vizio di motivazione, lamentando che la
Corte di appello non aveva neppure preso in considerazione
la loro richiesta di un accertamento tecnico in ordine ai

crediti posti all’attivo del bilancio concordatario.
Il motivo è inammissibile. Il provvedimento che
disponga, o meno, la consulenza tecnica è incensurabile in
sede di legittimità poiché rientra nel potere
discrezionale del giudice di merito, sul quale grava
soltanto l’obbligo di motivare adeguatamente la decisione
(e plurimis Cass. 16 aprile 2008, n. 10007).
Con l’unico motivo proposto i fallimenti ricorrenti
incidentali deducono la violazione degli artt. 18 e 173 1.
fall., lamentando che la Corte di appello, dopo la
dichiarazione di inammissibilità del reclamo proposto
avverso il solo decreto di revoca, chiamata a pronunziarsi
sul reclamo avverso la dichiarazione di fallimento, aveva
preso erroneamente in considerazione anche i motivi
attinenti al decreto di revoca.
Il ricorso incidentale, in quanto proposto dalla parte
totalmente vittoriosa nel giudizio di merito ed in quanto
relativo a questione oggetto di esplicita decisione, ha
natura di ricorso condizionato all’accoglimento del
ricorso principale, indipendentemente da ogni espressa
indicazione di parte (Cass. s.u. 25 marzo 2013, n. 7381;
12

a

Cass. s.u. 6 marzo 2009, n. 5456). Pertanto, al rigetto

del ricorso principale consegue l’assorbimento di quello
incidentale.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano

P . Q . M .

rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito
l’incidentale; condanna i ricorrenti in solido al rimborso
delle spese liquidate in C 5.200,00=, di cui 200,00 per
esborsi, oltre IVA e CP.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 21
febbraio 2014.

come in dispositivo.

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