Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9271 del 17/04/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 9271 Anno 2013
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: VALITUTTI ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 13772-2010 proposto da:
SOCIETA’ ROITZ SRL in persona del Presidente del
C.d.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA
GERMANICO 146, presso lo studio dell’avvocato MOCCI
ERNESTO, rappresentato e difeso dagli avvocati LEONE
GREGORIO, FONTANA VALERIA GRAZIA BRUNA giusta delega
a margine;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE DOGANE UFFICIO DI GORIZIA in persona
del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

Data pubblicazione: 17/04/2013

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende
ape legis;

avverso la

controri corrente

sentenza n. 14/2010 della COMM.TRIB.REG.

di TRIESTE, depositata il 27/01/2010;

udienza del 25/02/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
VALITUTTI;
udito per il ricorrente l’Avvocato LEONE che ha
chiesto raccoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato ALBENZIO che
ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

PREMESSO IN FATTO.
l. Con sentenza n. 14/11/10, depositata il 27.1.10, la
Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Dogane di Gorizia avverso la decisione di primo grado, con
la quale era stato accolto il ricorso proposto dalla
Roitz s.r.l. nei confronti dell’avviso di accertamento e
di rettifica, relativi al pagamento dei dazi doganali afferenti ad importazioni di zucchero proveniente dalla
Croazia, effettuate il 15.7.02, dalla Roitz quale rappresentante indiretto dell’importatrice società IPAM s.r.l.
2. La CTR riteneva, invero, che non fosse operante – nel
caso di specie l’esimente comunitaria della buona fede,
ai sensi dell’art. 220, n. 2, lett. b) del Regolamento CE
n. 2913/92, essendo stato pubblicato il 26.6.02, sulla
Gazzetta Ufficiale della CE, un avviso con il quale gli
importatori venivano resi edotti del fatto che vi erano
ragionevoli dubbi sulla regolarità delle importazioni
preferenziali di zucchero provenienti dai Paesi balcanici, ed essendo intervenuta la revoca dei certificati di
origine della merce da parte dell’autorità competente
dello Stato esportatore.
3. Per la cassazione della sentenza n. 14/11/10 ha proposto ricorso la Roitz s.r.l. affidato a sei motivi, ai
quali entrambe l’Agenzia delle Entrate ha replicato con
controricorso. La ricorrente ha depositato memoria ex
art. 378 c.p.c.
OSSERVA IN DIRITTO.
1. La vicenda processuale trae origine da talune operazioni di importazione di zucchero, dichiarato originario
della Croazia, effettuate presso la Dogana di Gorizia
dalla Roitz s.r.1., in qualità di rappresentante indiretto della società importatrice IPAM s.r.1., in data
15.7.02. La merce veniva presentata all’autorità doganale
italiana con il corredo, oltre che della documentazione
commerciale e di trasporto, dei certificati EUR 1, rilasciati dalle autorità doganali croate su richiesta della
ditta esportatrice IPK Tvornica, al fine di comprovare
l’origine e la provenienza croata della merce, indispensabile per fruire dell’esenzione daziaria prevista dal
Protocollo IV dell’Accordo interinale sugli scambi e sulle questioni commerciali tra la Comunità Europea e la Repubblica di Croazia, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale
della Comunità Europea n. 330 del 14.12.01.
In data 26.2.02, peraltro, era stato pubblicato sulla
stessa Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea (in prosieguo G. U. C.E.) uno specifico avviso agli importatori,
mediante il quale questi ultimi venivano resi edotti del
fatto che sussisteva un “ragionevole dubbio” in ordine
alla corretta applicazione degli accordi preferenziali
relativi allo zucchero proveniente dai Paesi Balcanici, e
segnatamente – per quel che interessa in questa sede dalla Croazia. I dubbi in parola derivavano dall’anomala
alterazione, riscontrata dagli organismi comunitari, dei
flussi di zucchero in entrata ed in uscita da tali Paesi,
che induceva nella Commissione Europea il sospetto di

possibili frodi nell’ applicazione del regime di esenzione daziaria della merce in questione.
In conseguenza di siffatta pubblicazione, e nell’ incertezza circa l’origine effettiva della merce, le autorità
doganali italiane disponevano, pertanto, che le importazioni di zucchero aventi l’origine suindicata avvenissero, nel caso concreto, mediante immissione della merce in
libera pratica nel territorio comunitario, contro prestazione di idonee garanzie (cauzioni o fideiussioni bancarie o assicurative). Queste ultime venivano, peraltro,
svincolate a seguito del controllo a posteriori, ex art.
78 del Codice Doganale Comunitario di cui al Regolamento
CE n. 2913/92 (in prosieguo CDC), operato dalle autorità
croate – su richiesta della Dogana italiana – sulle certificazioni EUR 1, a suo tempo emesse a comprova
dell’origine preferenziale dello zucchero importato;
controllo che – invero – confermava, almeno in quella fase, l’autenticità di tali documenti.
Senonchè, a seguito di successive indagini, espletate dagli Organismi comunitari antifrode, e di ulteriori controlli delle autorità dello Stato di esportazione, le autorità croate comunicavano – con nota del 25.5.04 e del
21.4.05 – l’avvenuta “revoca” di alcuni certificati EUR
l, concernenti proprio le importazioni in discussione.
1.1. L’autorità doganale italiana avviava, pertanto, le
procedure di contabilizzazione e riscossione a posteriori
dei maggiori diritti dovuti, in conseguenza del ritiro
dei suddetti certificati di origine preferenziale della
merce importata, essendo – in tal modo – venuto meno il
regime daziario preferenziale. E tali operazioni si concludevano con l’emissione, nei confronti dell’ importatrice IPAM s.r.l. e della rappresentante indiretta Roitz
s.r.1., di un avviso di accertamento suppletivo e di rettifica, seguito dalla cartella di pagamento, con il quale
l’Amministrazione doganale provvedeva alla riliquidazione
dei diritti di confine e relativi interessi, in relazione
a ciascuna delle operazioni di importazioni effettuate.
1.2. L’atto impositivo veniva, quindi, impugnato dalla
Roitz s.r.1., la quale deduceva l’insussistenza di una
sua responsabilità solidale, quale rappresentante indiretta della ditta importatrice, e chiedeva, in via subordinata, l’applicazione dell’esimente comunitaria della
buona fede, ai sensi dell’art. 220, part. H, lett. b)
CDC. Il ricorso veniva accolto dalla CTP di Gorizia, la
quale riteneva l’applicabilità della suindicata esimente,
nonostante la menzionata pubblicazione dell’avviso agli
importatori, avvenuta in tale data.
1.3. L’appello proposto dall’Agenzia delle Dogane di Gorizia avverso la decisione di prime cure, veniva, peraltro, accolto dalla CTR del Friuli Venezia Giulia con la
sentenza n. 14.11.10, che la contribuente ha gravato di
ricorso per cassazione affidato a sei motivi.
2. Con i primi cinque motivi di ricorso – che, attesa la
loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente
– la Roitz s.r.l. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. 78, 199, 201 e 220 CDC, in
relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché l’omessa e in-

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sufficiente motivazione su punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.
2.1. La Roitz s.r.l. si duole, anzitutto, del fatto che
il giudice di appello sarebbe incorso in violazione del
disposto dell’art. 112 c.p.c., non essendosi la CTR pronunciato sulle specifiche questioni agitate dalle parti
nel giudizio di seconde cure.
2.2. Assume, dipoi, la ricorrente che, a norma dell’art.
78 CDC, la revisione a posteriori della dichiarazione di
importazione, in un momento successivo alla concessione
dello svincolo delle merci da parte dell’autorità doganale, sarebbe possibile per una sola volta, dopo che il
controllo in Dogana della dichiarazione doganale abbia
dato esito positivo per il contribuente; e l’esito di tale controllo sarebbe vincolante per l’autorità amministrativa, salva l’eventuale, successiva, verifica giudiziale. Per di più, ai sensi dell’art. 199 CDC, una volta
svincolata la garanzia rilasciata dall’importatore,
all’esito del suddetto controllo a posteriori della dichiarazione ex art. 78 CDC, ogni obbligazione doganale
dovrebbe ritenersi estinta.
2.3. Ad ogni buon conto, osserva la Roitz s.r.l. non potrebbe – in subordine – essere negata, nel caso concreto,
l’applicazione dell’esimente comunitaria della buona fede
ex art. 220, n. 2, lett. b), per avere l’importatore, e
per esso il suo rappresentante indiretto, confidato, senza sua colpa, nella validità dei certificati di origine
emessi dalle autorità doganali croate. Tale esimente, invero, non potrebbe comunque essere esclusa, a parere della società contribuente, per il solo fatto dell’avvenuta
pubblicazione – in data 264.02 – dell’avviso agli importatori nella G.U.C.E., atteso che da tale pubblicazione
dovrebbe conseguire soltanto, ad avviso della Roitz
s.r.1., un’inversione dell’onere della prova a carico
dell’importatore, il quale non sarebbe più assistito dalla presunzione di buona fede prevista dalla disposizione
comunitaria succitata. Il che non escluderebbe, comunque,
che la comprovata diligenza nell’eseguire le operazioni,
e l’assenza di frode dell’interessato, debbano far concludere per l’esistenza della buona fede dello stesso importatore.
2.4. In ogni caso, il giudice di appello non avrebbe tenuto in alcun conto – a parere della Roitz s.r.l. – del
disposto dell’art. 254 del Trattato CE, laddove prevede
una vacatio di 20 giorni che, anche per gli atti come
l’avviso agli importatori, dovrebbe essere osservata ai
fini della loro efficacia. Ne conseguirebbe che
l’applicazione del predetto termine, con decorrenza dal
26.6.02, comporterebbe lo slittamento della data di efficacia dell’avviso al 16.7.02, data nella quale tutte le
importazioni in contestazione erano già state effettuate.
Di qui la totale irrilevanza che l’avviso suddetto rivestirebbe, a parere della ricorrente, ai fini dell’ esclusione della buona fede dell’importatore ex art. 220, co.
5 CDC.
2.5. Infine, ad avviso della contribuente, lo spedizioniere, cui l’importatore abbia conferito l’incarico di

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presentare in Dogana per suo conto, ma in nome proprio,
le merci da destinare all’importazione, presentando le
relative dichiarazioni corredate dai certificati EUR 1,in
caso di revoca di dette certificazioni (necessarie per
poter fruire del trattamento daziario preferenziale) da
parte dell’ autorità doganale straniera, non potrebbe essere considerato solidalmente obbligato con l’importatore
al pagamento dei dazi doganali e, quindi, passivamente
legittimato a ricevere il relativo avviso di accertamento
3. Le censure suesposte sono totalmente infondate.
3.1. Per quanto concerne, infatti, la pretesa violazione,
da parte del giudice di appello, del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, rileva la Corte che
il vizio in parola non appare sussistente, essendosi, nel
caso concreto, la CTR adeguatamente soffermata – in conformità a quanto dedotto dalle parti – sul punto centrale
fede
buona
la
concernente
controversia,
della
dell’importatore a seguito della pubblicazione del menzionato avviso sulla G.U.C.E., ed essendo pervenuta alla
conclusione di escludere – in via generale – tale esimente, in tal modo implicitamente ritenendo equiparabile
all’importatore il suo rappresentante indiretto, come tale, pertanto, responsabile solidale dei dazi doganali dovuti per difetto di buona fede.
Il motivo va, pertanto, disatteso.
3.2. Nel merito, va – dipoi – osservato che, in materia
di tributi doganali, l’applicazione del regime di esenzione o riduzione daziaria presuppone la regolarità formale e sostanziale della documentazione relativa
all’origine e/o alla provenienza della merce che, in
adempimento al principio affermato dalla giurisprudenza
comunitaria (C. Giust. CE, 14.5.96, C-153/94 e C204/94), può essere fornita unicamente attraverso il certificato EUR l, che è, tuttavia, passibile di verifica da
parte delle autorità doganali dello Stato di destinazione. Con la conseguenza che, qualora le autorità doganali
constatino la falsità dei certificati di origine e provenienza, devono procedere alla contabilizzazione a postedei dazi doganali (Cass. 23985/08, 4997/09,
riori
13496/12). Resta salva, tuttavia, l’ipotesi nella quale
venga in rilievo lo stato soggettivo di buona fede
dell’importatore, richiesto dall’art 220, co. 2, lett. b)
C.D.C., ai fini dell’esenzione dalla contabilizzazione a
posteriori; stato soggettivo che, tuttavia, non ha valenza esimente in re ipsa, ma solo in quanto sia riconducibile ad una delle situazioni fattuali individuate dalla
normativa comunitaria, tra le quali va annoverato anche
l’errore incolpevole, ossia non rilevabile dal debitore
di buona fede, nonostante la sua esperienza e diligenza.
Nondimeno, tale errore, per assumere rilievo scriminante,
deve essere in ogni caso imputabile a “comportamento attivo” delle autorità doganali, non rientrandovi quello
indotto da dichiarazioni inesatte dello stesso operatore
o di altri soggetti (cfr. Cass. 15297/08, 13680/09,
7837/10, 7674/12; in tal senso, v. pure C. Giust. CE, n.
348/89, causa Mecanarte).

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L’errore attivo, purchè non ragionevolmente rilevabile
dal debitore, si verifica, in particolare, quando esso
non venga ad essere determinato da una situazione inesatta riferita dall’esportatore, essendo del tutto evidente
che, in siffatta ipotesi, l’errore è indotto dalla dichiarazione del terzo e non può, pertanto, essere imputato a comportamento attivo della stessa autorità doganale
(cfr. Cass. 13483/12, 7674/12, C. Giust. UE, 8.11.2012
n. 438, secondo la quale l’onere della prova che il certificato di origine si basa su una situazione fattuale
riferita in maniera esatta dall’esportatore grava sul debitore). Inoltre, poiché l’esimente comunitaria in esame
presuppone la genuinità delle certificazioni poste a fondamento della richiesta di esenzione, ossia la loro correttezza formale e sostanziale, incombe, in ogni caso,
all’importatore che voglia fruire di detta esenzione, dimostrare l’esistenza cumulativa di tutti i presupposti
indicati dall’art. 220 C.D.C., mentre all’autorità doganale incombe esclusivamente l’onere di allegare e dimostrare l’irregolarità delle certificazioni presentate,
atteso che qualsiasi certificato che risulti inesatto autorizza il recupero dell’imposta a posteriori (Cass.
15297/08, 13680/09, 15547/10, 1583/12, C. Giust. UE,
438/12).
3.3. Tanto premesso in via di principio, osserva, tuttavia, la Corte che lo stato soggettivo di buona fede
dell’importatore, ex art. 220, n. 2, lett. b) del CDC, ai
fini dell’esenzione dalla contabilizzazione a posteriori
dei dazi doganali – come sopra descritto – non può essere
invocato, a tenore del co. 5 della disposizione in esame,
“qualora la Commissione europea abbia pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee un avviso in
cui sono segnalati fondati dubbi circa la corretta applicazione del regime preferenziale da parte del Paese beneficiario”. A tal riguardo, va – difatti – osservato che,
ai sensi dell’undicesimo “considerando” del Regolamento
n. 2700/00, che modifica il CDC n. 2913/92, “il debitore
non dovrebbe essere responsabile di un cattivo funzionamento del sistema dovuto ad un errore commesso dalle autorità di un Paese terzo”, allorquando detto errore sia
dovuto, non ad una richiesta contenente informazioni inesatte, bensì ad un errore attivo della stessa autorità
doganale. E, di conseguenza, secondo il “considerando” in
esame “il debitore può invocare la buona fede, se può dimostrare di avere dato prova di diligenza, a meno che non
sia stato pubblicato nella G.U.C.E. un avviso che segnala
fondati dubbi”. E’ fin troppo evidente, infatti, che in
tale ultima ipotesi la buona fede dell’importatore verrebbe ad essere elisa in radice, laddove il medesimo compia un’operazione di importazione, nonostante la pubblicazione di un avviso di tal fatta.
3.4. Ebbene, nel caso concreto, è del tutto incontroverso
tra le parti che in data 26.6.02, sia stato pubblicato
sulla G.U.C.E. un avviso agli importatori, con il quale
la Commissione Europea rendeva i medesimi edotti del fatto che sussisteva un “ragionevole dubbio in ordine alla
corretta applicazione degli accordi preferenziali relati-

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vi allo zucchero classificabile alle voci NO 1701 e NO
1702” proveniente da diversi Paesi balcanici, tra i quali
la Croazia. Il sospetto degli organi comunitari – esplicitato nell’avviso in discussione – traeva origine dal
constatato calo della produzione di zuccheri nei Paesi in
questione, cui aveva fatto, nondimeno, riscontro un “significativo e rapido aumento delle importazioni preferenziali di zucchero nella Comunità”, proveniente dai Paesi
balcanici, accompagnato, peraltro, da un aumento, più o
meno analogo, “delle esportazioni di zucchero dalla Comunità verso i Paesi della regione”. Tale constatazione
aveva, pertanto, indotto la Comunità a concludere che
siffatto andamento dei “flussi commerciali in entrambe le
direzioni” fosse da considerarsi “altamente artificiale”;
tanto più che alcune indicazioni raccolte dagli organismi
comunitari avrebbero ulteriormente avvalorato “l’ipotesi
della frode”, con pregiudizio delle risorse della Comunità Europea.
Di tanto la Commissione dava, pertanto, comunicazione
agli importatori, invitandoli ad assumere “tutte le precauzioni necessarie”, rendendoli consapevoli del fatto di
non poter contare sull’applicazione del regime doganale
preferenziale, ben potendo l’immissione della merce in
questione dare, invero, origine “all’insorgere di
un’obbligazione doganale e dare luogo ad una frode ai
danni degli interessi finanziari della Comunità”.
3.5. Ciò posto, osserva la Corte che, già sulla scorta
del tenore letterale dell’avviso succitato, deve escludersi la fondatezza dell’assunto della Roitz s.r.1., secondo la quale l’avviso in parola metterebbe “in guardia”
gli importatori da una “fattispecie diversa” da quella
dell’effettiva origine croata della merce, e precisamente
“sul traffico artificioso di zucchero fra le due sponde
dell’Adriatico”. E’, per vero, di chiara evidenza che il
riferimento – contenuto nell’avviso in questione – al rischio di insorgenza di “un’obbligazione doganale”, in caso di immissione in libera pratica di detto zucchero “dichiarato al momento dell’importazione come originario (…)
della Croazia”, sussistendo un “ragionevole dubbio in ordine alla corretta applicazione degli accordi preferenziali” in materia, era chiaramente finalizzato a rendere
edotti gli importatori proprio del pericolo che l’origine
dello zucchero non fosse quella attestata dai certificati
di origine.
D’altro canto, in tal senso depongono, altresì, talune
Comunicazioni della Commissione Europea pubbliCate – del
pari – sulla G.U.a.E. (Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea), l’ultima delle quali in data 30.12.12, n. 2012/C,
332/01, da cui si evince con evidenza che le misure che
la Commissione ha inteso adottare, in materia di importazioni soggette a regimi daziari preferenziali, “includono
l’uso più sistematico di un sistema di segnalazione tempestiva degli importatori qualora esista un dubbio fondato circa l’origine delle merci ammissibili ad un regime
tariffario preferenziale”. E tra gli avvisi agli importatori, pubblicati in passato sulla Gazzetta dell’Unione,
“in caso di dubbio fondato circa l’origine delle merci”,

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è ricompreso, appunto, quello relativo alle “Importazioni
di zucchero nella Comunità originario dei paesi dei balcani occidentali”. Il fatto che l’avviso in parola mirasse a rendere edotti gli importatori circa i dubbi sussistenti in ordine all’origine dello zucchero importato dai
Balcani, non pare, pertanto, seriamente discutibile.
3.6.. Sulla vicenda per cui è causa sono intervenute,
d’altro canto, anche importanti precisazioni, sia della
giurisprudenza Comunitaria che di quella nazionale.
3.6.1. Con specifico riferimento ad importazioni di zucchero dalla Croazia – come tali sottoposte al regime daziario preferenziale, ai sensi dell’Accordo CE-Croazia
summenzionato – effettuate dopo la pubblicazione del citato avviso del 26.6.02, ha avuto modo, invero, di pronunciarsi il Trib. Primo Grado CE, con la decisione
dell’8.10.08, T- 51/07, confermata in appello dalla decisione C. Giust. CE, 1.10.09 n. 552, C-552/08.
Nella vicenda oggetto di esame da parte del Tribunale, a
seguito di indagini esperite dall’OLAF sullo zucchero di
asserita provenienza croata, emergeva che doveva essere
radicalmente esclusa l’origine e la provenienza dai Balcani di tale prodotto, con la conseguenza che le autorità
croate provvedevano a “revocare” tutti i certificati EUR
l, rilasciati in ordine allo zucchero in questione.
Orbene, il Tribunale muove – al riguardo – dalla considerazione del tenore “chiaro ed inequivocabile” del disposto dell’art. 220, n. 2, lett. b), co. 5 CDC, a norma del
quale la pubblicazione dell’avviso agli importatori, nella G.U.C.E., “non consente la possibilità che il debitore
dimostri la propria buona fede adottando misure supplementari al fine di assicurare l’autenticità e l’esattezza
dei certificati per l’applicazione del regime preferenziale”. Per il che, l'”effetto assoluto”, che lo stesso
Tribunale ascrive dell’avviso agli importatori, in punto
esclusione
della
rilevanza
della
buona
fede
dell’importatore, potrebbe essere temperato, “in circostanze eccezionali”, solo nel caso in cui l’operatore
economico alleghi di avere proceduto “in seguito alla
pubblicazione di un tale avviso, ma precedentemente
all’importazione, a misure supplementari di verifica che
hanno confermato l’origine delle merci”.
Ma nulla di tutto questo si è verificato nel caso di specie, nel quale – a ben vedere – la buona fede della Roitz
s.r.l. (ed anche dell’importatore IPAM s.r.1.) è ancorata
dalla ricorrente piuttosto al fatto che, per ogni singola
operazione di importazione, eseguita ad onta dell’ avvenuta pubblicazione dell’avviso sulla Gazzetta ufficiale,
i certificati EUR 1 erano stati rimandati dalla Dogana di
Gorizia a quella di Osijek, che ne aveva confermato
l’autenticità, salvo, poi, provvedere – a seguito di ulteriori accertamenti – alla loro revoca.
In altri termini, il fatto che la Dogana croata abbia, in
sede di prima revisione dei certificati, confermato la
loto autenticità, comporterebbe il permanere, o – quanto
meno – una sorta di reviviscenza della buona fede
dell’importatore e del di lui rappresentante, per il sopravvenuto comportamento confermativo dell’autorità doga-

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nale emittente i certificati di origine della merce importata. La ricorrente fa leva, inoltre, sulla circostanza che, essendo la ditta esportatrice, IPK Tvornica,
un’azienda di Stato, la regolarità dei certificati di
origine emessi dalle autorità croate su richiesta di
quest’ultima non avrebbe potuto essere ragionevolmente
posta in discussione da parte dell’ importatore.
3.6.2. Tali assunti della Roitz s.r.l. sono, tuttavia,
palesemente privi di fondamento. La giurisprudenza comunitaria è – per vero – del tutto pacifica nell’affermare
che il debitore dei dazi doganali non può nutrire un “legittimo affidamento” quanto alla validità dei certificati
EUR l, per il fatto che essi siano stati ritenuti inizialmente veritieri e autentici da parte delle autorità
doganali dello Stato di esportazione, dovendo considerarsi, al riguardo, che le operazioni effettuate dagli uffici in questione, in relazione all’accettazione iniziale
delle dichiarazioni all’importazione, non ostano affatto
all’esercizio di controlli successivi da parte delle medesime autorità (cfr., in tal senso, Trib. Primo Grado
CE, 9.6.98, T-10/97 e T-11/97, C. Giust. CE, 9.3.06, C293/04).
D’altra parte, il co. 4 dell’art. 220 CDC prevede espressamente che la buona fede del debitore possa essere invocata “qualora questi possa dimostrare che, per la durata
delle operazioni commerciali in questione, ha agito con
diligenza per assicurarsi che sono state rispettate tutte
le condizioni per il trattamento preferenziale”. Ebbene,
la disposizione – nell’inequivoca lettura datane dalla
giurisprudenza comunitaria – non può che essere intesa
nel senso che il debitore deve essere in buona fede durante l’intera fase di compimento delle operazioni commerciali; il che equivale a dire che “la data determinante quando si prende in considerazione la buona fede del
debitore è quella dell’importazione” (Trib. Primo Grado,
8.10.08, cit., C. Giust. CE, 1.10.09, cit.).
Nel caso di specie, pertanto, durante le operazioni di
importazione, per il corso delle quali l’importatore deve
mantenere un comportamento accorto e diligente, la Roitz
s.r.l. era certamente del tutto consapevole, stante
l’avvenuta pubblicazione del menzionato avviso del
26.6.02, del rischio che correva ponendo in essere – sia
pure per conto della mandante IPAM s.r.1.- operazioni di
importazione controverse quanto all’origine della merce,
ai fini dell’applicazione del trattamento daziario preferenziale; e dunque – stante l’inequivoco disposto del co.
5 dell’art. 220 CDC – la medesima non poteva, in alcun
modo, essere considerata in buona fede.
Ed è di tutta evidenza che la conferma dei certificati
EUR 1, da parte dell’autorità doganale croata in sede di
prima revisione, non avrebbe potuto far sorgere
nell’importatore, e nel di lui rappresentante indiretto,
la buona fede esclusa all’atto delle importazioni, a meno
di non voler privare del tutto di significato il disposto
dell’art. 220, co. 4 e 5 CDC (così Trib. Primo Grado,
8.10.08, cit., C. Giust. CE, 1.10.09, cit.).

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3.6.3. Né può in alcun modo rilevare, a giudizio della
Corte, il fatto che la ditta esportatrice, IPK Tvornica
fosse un’azienda di Stato, per cui la regolarità dei certificati di origine emessi dalle autorità croate su richiesta di quest’ultima non avrebbe potuto essere, di
certo, posta in discussione da parte dell’importatore.
Per le ragioni suesposte, infatti, non può revocarsi in
dubbio che il solo elemento decisivo, ai fini della rilevanza della buona fede dell’importatore, sia l’avvenuta
pubblicazione dell’ avviso suddetto sulla G.U.C.E., suscettibile di per sé – per il rilievo che deve attribuirsi alla diligenza dell’operatore commerciale durante
l’intera fase delle operazioni di importazione – di elidere la buona fede dell’importatore medesimo, senza che
possa avere rilievo alcuna la natura pubblica o privata
del soggetto esportatore, la cui trasparenza, in ordine
alla richiesta dei certificati d’origine all’autorità doganale, sia messa in dubbio dagli organi comunitari con
l’avviso in discussione.
D’altro canto, dalla succitata decisione del Trib. Primo
Grado CE, 8.10.08 si evince, altresì, che – a seguito di
indagini dell’Olaf esperite nel giugno 2003 – era emerso
che i dubbi della Comunità, sulla stessa ditta IPK Tvornica di Osijek erano risultati pienamente fondati, essendo emerso che la medesima “utilizzava per la sua produzione anche zucchero di canna importato” e, quindi, non
dell’origine preferenziale croata, “senza che fosse possibile distinguere i vari lotti di zucchero gli uni dagli
altri”.
3.5.4. Del tutto incongruente ed irrilevante si palesa,
poi, il richiamo operato dalla Roitz s.r.l. al disposto
dell’art. 254 del Trattato CE, onde inferirne
l’applicabilità, nella specie, della vacatio di 20 giorni
dalla data di pubblicazione (26.6.02), ai fini
dell’efficacia del menzionato avviso agli importatori. Il
che avrebbe comportato uno slittamento della data di efficacia di detto avviso al 16.7.02, epoca in cui tutte le
operazioni di importazione si erano ormai concluse, con
la conseguenza che l’esclusione della buona fede
dell’importatore, ai sensi dell’art. 220, co. 5 CDC., per
effetto della pubblicazione in parola, non potrebbe ritenersi operante nel caso concreto.
Va – per vero – osservato in proposito. che la disposizione di cui all’art. 254, co. l, del Trattato CE (Roma,
25.3.57) prevede che “i regolamenti, le direttive e le
decisioni adottati in conformità della procedura di cui
all’art. 251 sono firmati dal Presidente del Parlamento
Europeo e dal Presidente del Consiglio e pubblicati sulla
Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea. Essi entrano in
vigore alla data da essi stabilita ovvero, in mancanza di
data, nel ventesimo giorno successivo alla loro pubblicazione”. La disposizione in esame evidenzia, dunque, in
modo del tutto palese, che la vacatio suindicata si applica esclusivamente agli atti aventi valore normativo,
sia dal punto di vista sostanziale, ovverosia in relazione al loro contenuto – che preveda, cioè, situazioni soggettive di diritto e/o di obbligo tutelate a livello co-

-

10

munitario – sia dal punto di vista formale, per essere
atti che vengono formati mediante il procedimento di cui
all’art. 251 dello stesso Trattato, e che sono soggetti
all’obbligo di motivazione sancito dal precedente art.
249.
La norma dell’art. 254 ricalca, in definitiva, a livello
comunitario, la previsione contenuta nel nostro ordinamento (ed analoghe previsioni di altri ordinamenti nazionali europei) di cui all’art. 10 disp. prel. c.c., in
forza della quale solo gli atti normativi sono soggetti,
oltre che alla promulgazione, che li rende esistenti
nell’ordine giuridico, anche ad un periodo di vacatio,
che li rende obbligatori erga omnes. E’ di tutta evidenza, invero, che difettando siffatta forza normativa, agli
atti diversi da quelli normativi non si attaglia
l’istituto in parola, essendo gli stessi efficaci per effetto della stessa pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ove richiesta, ovvero in altri fogli costituenti forme di pubblicità legale (es. foglio degli annunci legali
della provincia) (cfr. Cass. 8865/87, 1204/90).
D’altro canto,
la non equiparabilità – ai fini
dell’applicazione del periodo di vacatio
dell’avviso
agli importatori agli atti normativi comunitari cogenti,
si evince, altresì, dalla menzionata Comunicazione della
Commissione Europea del 30.10.12, dalla quale si desume
chiaramente che è proprio, e soltanto, la “pubblicazione”
dell’avviso agli importatori a determinare l’applicazione
dell’art. 220, co. 5 CDC, con conseguente impossibilità,
da parte dell’importatore, di invocare la propria buona
fede. E nel senso che la mera pubblicazione dell’avviso
in parola sulla G.U.C.E. determini, per le importazioni
ad essa successive, la non applicabilità dell’esimente
comunitaria in questione, appare essere orientata anche
la citata decisione di cui a Trib. Primo Grado CE,
8.10.08.
3.5.5. Tutte le considerazioni che precedono inducono,
pertanto, la Corte a ribadire il principio – già affermato in una vicenda del tutto analoga alla presente (cfr.
Cass. 5387/12) – secondo cui, in tema di tributi doganali, lo stato soggettivo di buona fede dell’importatore
richiesto dall’art. 220, n. 2, lett. b), del Regolamento
CEE n. 2913/1992, ai fini dell’esenzione della contabilizzazione “a posteriori”, non può essere invocato qualora la Commissione abbia pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee, “anteriormente alle operazioni di importazione” (come è accaduto nel caso concreto), un avviso in cui sono segnalati fondati dubbi circa
la corretta applicazione del regime preferenziale da parte del paese beneficiario. A tanto induce, invero, – come
dianzi rilevato – la considerazione del chiaro ed inequivoco disposto del co. 5 del citato art. 220, n. 2, lett.
b), come novellato dal Regolamento CEE n. 2700 del 2000
adottato dal Consiglio in data 16.11.00, anche alla luce
della suesposta interpretazione fornita nell’undicesimo
“considerando” del medesimo Regolamento.
4. Ma la conclusione cui si è pervenuti, circa
l’infondatezza delle ragioni fatte valere dalla Roitz

11

s.r.l. si fonda anche su altri ordini di considerazioni,
implicati dalle ulteriori doglianze proposte dalla stessa
contribuente.
4.1. Ci si duole, invero, da parte della ricorrente, anche del fatto che l’autorità del Paese esportatore abbia
emesso un provvedimento di revoca dei certificati EUR l
solo successivamente alla revisione a posteriori delle
dichiarazioni doganali ex art. 78 CDC e 32 dell’Accordo
CE-Croazia, e perfino allo svincolo delle garanzie fideiussorie consegnate in esecuzione del cd. regime del
“daziato sospeso” ex art. 164 del r. d. n. 65/1896, in
forza del quale le merci vengono immesse in libera pratica in sospensione dei dazi doganali, ma su garanzia concessa dall’importatore. Tale condotta dell’ amministrazione doganale costituirebbe, per vero, ad avviso della
Roitz s.r.1., una palese violazione del disposto
dell’art. 199 CDC, in forza del quale, una volta svincolata la garanzia rilasciata dall’importatore a seguito di
controllo a posteriori del documento di origine, favorevole all’operatore, ogni obbligazione doganale dovrebbe
ritenersi definitivamente estinta.
4.2. Senonchè – contrariamente a quanto sostenuto dalla
ricorrente – deve ritenersi che l’Amministrazione ben
possa procedere a controllo “a posteriori” delle dichiarazioni, anche dopo lo svincolo della garanzia fideiussoria relativa alle merci interessate. Dal combinato disposto degli artt. 78, n. 3, 201, n. 1, lett. a), 217, n. 1,
co. l, 220, n. 1, e 221, nn. l e 3, del Regolamento CEE
n. 2913/1992, si evince, infatti, che l’unico limite a
tale potere è costituito dal termine triennale di prescrizione per la comunicazione della contabilizzazione di
un diverso importo dei dazi (Cass. 5387/12), non essendo
l’Amministrazione di certo vincolata alla prima valutazione di autenticità dei certificati di origine EUR l,
effettuata in sede di revisione ex art. 78 CDC (cfr. C.
Giust. CE, 9.3.06, cit., che fa riferimento, al riguardo,
all’esercizio di “controlli successivi” da parte
dell’Amministrazione, dopo l’accettazione iniziale delle
dichiarazioni all’ importazione)
E neppure l’estinzione dell’obbligazione doganale, le cui
cause sono espressamente enunciate negli artt. 233 e 234
del citato Regolamento CE, potrebbe farsi in alcun modo
discendere, in via interpretativa, dalla tutela dell’affidamento dell’operatore economico – la cui sussistenza
è, peraltro, per le ragioni esposte, da escludersi nel
caso concreto – o dal disposto dell’art. 199 del medesimo
atto normativo. La norma da ultimo citata si limita, invero, a prevedere che “la garanzia non può essere svincolata finchè l’obbligazione doganale per la quale è stata
costituita non si è estinta o non può più sorgere. La garanzia deve essere svincolata non appena l’obbligazione
doganale è estinta o non può più sorgere”. Com’è del tutto evidente, pertanto, il disposto dell’art. 199 CDC non
fa che disciplinare un obbligo di restituzione della garanzia – che va, invece, mantenuta fino a quel momento non appena l’obbligazione doganale si sia estinta per una
delle cause previste dagli artt. 233 e 234 dello stesso

codice. Tale previsione integra, pertanto, una norma di
azione, tendente a regolare il comportamento della p.a.,
in caso di estinzione dell’obbligazione doganale (Cass.
5387/12), per una qualsiasi delle regioni elencate dal
CDC, non potendo da essa farsi, di contro, scaturire una
preclusione per l’Amministrazione doganale ad effettuare
– nel termine prescrizionale suindicato, il cui rispetto,
nel caso di specie, è incontroverso – successivi controlli sull’autenticità dei certificati EUR 1, in un primo
tempo ritenuti autentici.
5. A tutto quanto precede, va – tuttavia – ancora soggiunto che un rilievo decisivo, ai fini del riscontro
della legittimità dell’atto impositivo emesso dall’ Agenzia delle Dogane nel caso concreto, assume altresì la
circostanza, del tutto pacifica nel giudizio, che i certificati EUR 1, a suo tempo rilasciati dall’autorità doganale croata, siano stati successivamente da questa “revocati”, con nota del 25.5.04.
5.1. Secondo quanto si è in precedenza rilevato, invero,
la prova della provenienza della merce, ai fini dell’ applicazione del regime di agevolazioni tariffarie concesse
in base ad un regime preferenziale convenzionale, fondato
sull’origine dei beni importati, postula la prova certa
di tale origine, che può essere fornita solo attraverso
il certificato EUR 1. In un sistema di cooperazione tra
Stati membri, quale è quello del regime preferenziale basato sulla ripartizione di competenze tra Stato
d’esportazione e Stato di importazione, qualsiasi anomalia tale da potere determinare l’invalidazione di detti
certificati, segnalata dal primo al secondo Stato, non
potrà, pertanto, che comportare la promozione, da parte
dello Stato di importazione, di un’azione di recupero dei
dazi doganali non riscossi, sull’erroneo presupposto
dell’applicabilità del regime daziario preferenziale.
5.2. In tal senso è, in verità, univocamente orientata la
giurisprudenza comunitaria.
Per vero, si è affermato, al riguardo, che perfino la comunicazione, inviata alle autorità dello Stato di importazione da quelle dello Stato di esportazione, a seguito
di un controllo a posteriori dei certificati di origine,
con la quale le autorità del suddetto Stato “si limitino
a constatare che il certificato di cui trattasi è stato
emesso irregolarmente e dev’essere, pertanto, annullato,
senza precisare i motivi dell’annullamento”, va considerato come un risultato del controllo che legittima le autorità dello Stato di importazione a procedere al recupero dei dazi doganali non riscossi. D’altro canto, a giudizio della Corte Europea, l’imposizione all’importatore,
sebbene non abbia preso parte ad alcun titolo alla commissione di un illecito doganale, del pagamento dei dazi
doganali, in caso di falsità dei certificati di origine
della merce importata, non è in contrasto con i principi
generali del diritto comunitario, di cui la Corte di Lussemburgo garantisce il pieno rispetto (C. Giust. CE,
17.7.97, C-97/95).
A fortiori, dunque, l’importatore non potrà opporsi com’è del tutto evidente – al recupero a posteriori dei

12

– 12 –

dazi all’importazione, laddove – come nel caso concreto i certificati EUR l, rilasciati per l’importazione di
merci nell’Unione Europea, siano stati, addirittura, successivamente “annullati, in quanto il loro rilascio è viziato da irregolarità e l’origine preferenziale indicata
su di essi non ha potuto essere confermata all’atto di un
controllo a posteriori” (cfr., in tal senso, C. Giust.
UE, 15.12.11, C-409/10).
5.3. D’altra parte, va altresì osservato, al riguardo,
che dei suddetti certificati d’origine, indispensabili ai
fini di consentire l’applicazione del trattamento tariffario preferenziale, deve ritenersi l’inesattezza non solo quando risulti positivamente accertato che i prodotti
non soddisfano il requisito essenziale dell’origine, ma
anche ove all’esito delle indagini espletate non sia possibile disporre di elementi sufficienti per confermare
l’origine degli stessi, giacchè – diversamente opinandosi
– si finirebbe con l’ammettere al beneficio dell’esenzione doganale merce di origine ignota. Di conseguenza, dal
momento che un certificato di origine “ignota” – per le
ragioni suesposte – va considerato come “inesatto”, le
autorità doganali, qualora accertino la falsità dei certificati di origine delle merci importate, e procedano ad
“invalidarli”, rectius a destituirli di efficacia probatoria, non hanno altra alternativa che procedere alla
contabilizzazione a posteriori dei dazi doganali, ai sensi dell’art. 78 del Regolamento CE 2913/92 (Cass.
14036/12, 13496/12).
In altri termini, qualora un controllo a posteriori non
consenta di confermare l’origine della merce indicata nel
certificato EUR 1, si deve ritenere che essa sia di origine “ignota” e che, di conseguenza, il certificato EUR l
e la tariffa preferenziale siano stati concessi indebitamente (C. Giust. CE, 9.3.06, cit.).
6. Del tutto infondata si palesa, infine, la censura concernente la pretesa violazione del disposto dell’art. 201
CDC, per avere il giudice di appello ritenuto solidalmente responsabile la Roitz s.r.1., non proprietaria della
merce importata, ma solo rappresentante indiretto
dell’effettivo importatore, per il pagamento dei dazi doganali non riscossi.
presupposto per
il
che
infatti,
E’
noto,
6.1.
l’applicazione dei diritti di confine all’importazione è
costituito dalla destinazione al consumo della merce importata, che avviene – in via ordinaria – mediante la dichiarazione di importazione, nella quale l’importatore
manifesta la volontà di rendere liberamente commerciabile
la merce in un mercato diverso da quello di origine, avvantaggiandosi dei benefici connessi all’utilizzazione
dei prodotti nel mercato interno. Ed in tal caso, ai sensi dell’art. 220, co. 2, CDC, l’obbligazione doganale
sorge al momento dell’accettazione stessa della dichiarazione da parte dell’autorità doganale (art. 201, co. 2
CDC).
In siffatta ipotesi – che potrebbe definirsi, “fisiologica” – di immissione dei beni importati in libera pratica,
secondo quanto prevede il CDC, debitore dei dazi

13

– 13 –

4

all’importazione è “il dichiarante”, ma “in caso di rappresentanza indiretta è parimenti debitrice la persona
per conto della quale è presentata la dichiarazione in
dogana” (art. 201, co. 3 CDC) Ne discende che viene a
configurarsi, in relazione all’obbligazione daziaria insorta in conseguenza della lecita introduzione di merci
nel territorio doganale, una responsabilità solidale di
entrambi i soggetti, proprietario della merce e rappresentante indiretto, entrambi tenuti, pertanto, al pagamento dei dazi doganali all’importazione.
Ma il presupposto dell’obbligazione in parola (la destinazione della merce al consumo) si verifica anche in caso
di introduzione dei beni nel territorio doganale in conseguenza di un fatto illecito, che può consistere
nell’irregolare importazione, o nella sottrazione al controllo dell’autorità doganale, o ancora nella falsità dei
certificati di origine dei beni importati. In tale ipotesi, pertanto, ai sensi dell’art. 202, co. 2 CDC,
“l’obbligazione doganale sorge al momento dell’ introduzione irregolare” delle merci nel territorio comunitario.
Orbene, anche nella fattispecie da ultimo menzionata ricorrente nel caso di specie – il CDC prevede un allargamento dei soggetti tenuti al pagamento dell’ obbligazione doganale. Ed infatti, oltre all’autore della violazione, sono solidalmente responsabili dei dazi doganali
all’importazione anche le persone che hanno partecipato
all’operazione “sapendo o dovendo, secondo ragione, sapere che essa era irregolare” (art. 202, co. 3).
6.2. Da quanto suesposto discende, dunque, che lo spedizioniere doganale il quale – come nel caso concreto – abbia presentato merci in Dogana per conto terzi, ma in nome proprio, risponde in via solidale, con il soggetto per
conto del quale la merce stessa è stata presentata alle
autorità doganali, di tutti i dazi, le imposte e gli accessori, dovuti a qualsiasi titolo, in relazione
all’operazione di importazione irregolarmente effettuata.
Va, difatti, considerato, al riguardo, che – sul piano
generale – il rappresentante indiretto che, in quanto tale imputa a sé stesso le fattispecie degli atti giuridici
che compie, fatto salvo l’obbligo di ritrasferirle al
mandante (artt. 1705 e 1706 c.c.), a differenza del rappresentante diretto, è personalmente e direttamente obbligato, nei confronti dell’altra parte, come se l’affare
gestito fosse suo proprio, ed anche se il rapporto contrattuale involga interessi esclusivamente propri del
mandante (Cass. 18441/05, 22333/07). Il codice doganale,
pertanto, non fa che recepire siffatto schema di produzione degli effetti degli atti compiuti dal rappresentante indiretto, al quale riconosce comunque sul piano tributario, in quanto spedizioniere doganale, un interesse
all’importazione della merce, e quindi un sicuro indice
di collegamento con il presupposto del tributo, idoneo a
fondarne – in coerenza con il principio costituzionale
della capacità contributiva – la sottoposizione ai dazi
doganali all’importazione, dei quali rende, in tal modo,
anche più certa e sicura la riscossione.

– 14 –

I

– 15 –

6.3. Ed è del tutto evidente che tale peculiare figura di
rappresentante indiretto, per la sua preparazione professionale e per l’abitualità dell’attività svolta, è ampiamente in grado di valutare la veridicità dei documenti
trasmessigli e, dunque, di rendersi pienamente conto
dell’irregolarità dell’introduzione delle merci nel territorio della Comunità, dovuta – nel caso di specie – a
certificati d’origine, poi accertati come contraffatti
dall’autorità dello Stato esportatore (cfr., in termini,
Cass. 9773/10, 11181/10). E ciò, in special modo, a seguito dell’avvenuta pubblicazione, nella Gazzetta Ufficiale della Comunità, di un avviso agli importatori, diretto a rendere questi ultimi edotti delle possibili frodi in materia di applicazione del trattamento daziario
preferenziale per gli zuccheri provenienti dal Paesi balcanici.
Non può revocarsi in dubbio, infatti, che tale avviso come dianzi ampiamente precisato – era certamente idoneo
a far insorgere in un operatore professionale del settore
accorto e diligente, quanto meno, legittimi e seri sospetti sulla regolarità delle operazioni di importazione
che andava ad effettuare, con riferimento all’origine
preferenziale della merce importata. Il che induce, di
conseguenza, ad escludere che possa configurarsi nella
specie l’esimente comunitaria della buona fede dello spedizioniere (e degli altri soggetti ad esso equiparati,
sotto il profilo della responsabilità per l’obbligazione
doganale) atteso il disposto dell’art. 220, co. 5 CDC,
secondo il quale la buona fede dell’importatore non può
essere invocata in caso di pubblicazione nella G.U.C.E.
di un avviso di tal fatta.
7. Con il sesto motivo di ricorso, la Roitz s.r.l. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 50 bis
d.l. n. 331/93, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.,
l’omessa pronuncia, in relazione agli artt. 112 e 360 n.
4 c.p.c., nonché l’omessa e insufficiente motivazione, in
relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.
7.1. Il giudice di seconde cure non si sarebbe, invero,
pronunciato affatto sul motivo di ricorso incidentale
della contribuente, concernente la contestazione mossa
dalla medesima circa l’IVA sul maggior dazio
all’importazione, determinato a seguito della revisione
della dichiarazione doganale ex art. 78 CDC, IVA non dovuta neppure sul valore dichiarato all’atto della importazione, trattandosi di merce destinata ad essere introdotta in deposito fiscale, ai sensi dell’art.- 50 bis
d.l. 331/93.
7.2. Il motivo è inammissibile, per difetto del requisito
dell’autosufficienza, non avendo la Roitz s.r.l. trascritto nel ricorso per cassazione il motivo di appello
incidentale, a suo dire proposto nel giudizio dinanzi alla CTR, al fine di consentirne un riscontro già sulla base dell’atto introduttivo del presente giudizio di legittimità, come questa Corte ha più volte richiesto anche in
relazione al vizio di omessa pronuncia o a quello di
omessa motivazione (Cass. 11501/06, 26693/06). Dall’esame
del ricorso (p. 7) si desume, di contro, addirittura che

15

la società appellata si sarebbe costituita nel giudizio
di appello, “chiedendo il rigetto dell’impugnazione”
dell’Agenzia delle Dogane.
Il motivo in esame è, di conseguenza, da ritenersi inammissibile.
8. Per tutte le ragioni che precedono, pertanto, il ricorso proposto, avverso la decisione di appello, dalla
Roitz s.r.1., non può che essere rigettato. Le spese del
presente giudizio seguono la soccombenza, nella misura di
cui in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese del
presente giudizio, che liquida in 2.500,00, oltre alle
spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 25.2.2013.

– 16 –

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N. 131 TAB. ALL.
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