Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 927 del 17/01/2011

Cassazione civile sez. lav., 17/01/2011, (ud. 30/11/2010, dep. 17/01/2011), n.927

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.S., elettivamente domiciliato in Roma preso la

Cancelleria della Corte di Cassazione rappresentato e difeso

dall’Avv. Marzà Carmelo del foro di Catania per procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

CASSA REGIONALE PER IL CREDITO ALLE IMPRESE ARTIGIANE SICILIANE

(CRIAS), in persona del Commissario straordinario Avv. C.

G., elettivamente domiciliata presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’Avv. Muscarà Salvo

del foro di Catania per procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 78/07 della Corte di Appello di

Catania dell’8.02.2007/20.02.2007 nella causa iscritta al n. 1611

R.G. dell’anno 2004;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30.11.2010 dal Cons. Dott. Alessandro De Renzis;

udito l’Avv. Salvatore Muscarà per la controricorrente;

sentito il P.M. in persona del Dott. IANNELLI Domenico che ha

concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 16.1 1.2004 il Tribunale di Catania rigettava la domanda proposta da P.S., assunto dalla CRIAS (Cassa Regionale per il Credito alle Imprese Artigiane) con contratto di formazione e lavoro ai sensi della L. n. 863 del 1984 trasformato in contratto a tempo indeterminato, intesa ad ottenere la costituzione – da parte della convenuta datrice di lavoro – di una tutela previdenziale complementare ex L. n. 335 del 1995, dopo che la stessa Cassa con Delib. C.D.A. maggio 1997 aveva soppresso il Fondo Pensioni CRIAS. Tale decisione, appellata dal P., e stata confermata dalla Corte di Appello di Catania con sentenza n. 78 del 2007, che ha ribadito l’inesistenza a carico della Cassa dell’obbligo di costituire un Fondo Pensione complementare, costituzione rimessa invece alla valutazione discrezionale della stessa Cassa.

La Corte ha osservato che tale asserito obbligo non poteva rinvenirsi nè nel Regolamento Organico, che come fonte di previdenza integrativa operava salvo che i rapporti di lavoro non fossero disciplinati da contratti o accordi collettivi anche aziendali, come nel caso di specie, nè nella richiamata Delib. C.D.A. CRIAS maggio 1997, contenente una mera dichiarazione di intenti.

Contro la sentenza di appello il lavoratore ricorre per cassazione con sei motivi.

La CRIAS resiste con controricorso, illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 18, comma 8 (art. 360 c.p.c., n. 3).

Il ricorrente sostiene che la CRIAS ha erroneamente proceduto, con atto unilaterale (Delib. C.D.A. 12 maggio 1997, n. 975/14) alla cancellazione del Fondo Pensione dei lavoratori successivamente iscritti successivamente all’entrata in vigore della riforma previdenziale.

In via preliminare va osservato che il ricorso in esame risulta proposto avverso sentenza depositata il 20 febbraio 2007 e quindi soggetto alle modifiche al processo per cassazione, introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (art. 27, comma 2) a far tempo dal 2 marzo 2006.

Orbene, stante la palese inadeguatezza del quesito di diritto con cui viene semplicemente richiamata la disposizione di legge, il motivo va dichiarato inammissibile in relazione a quanto prescrive l’art. 366 bis c.p.c..

Sul punto si richiama l’indirizzo di questa Corte (in particolare Sezioni Unite sentenza n. 7258 del 26 marzo 2007, seguita da successiva giurisprudenza), secondo cui l’art. 366 bis c.p.c. non può essere interpretato nel senso che il quesito del diritto (e simmetricamente la “chiara indicazione del fatto controverso” nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5) possa desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo del ricorso, perchè tale interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma, che, come già evidenziato, ha introdotto, a pena di inammissibilità, il rispetto di un requisito formale, da formularsi in maniera esplicita.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 3 ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5), osservando che il regolamento organico del personale, costituendo la fonte esclusiva di disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti della Cassa, doveva essere inserito tra le fonti istitutive dei fondi complementari, come previsto dal D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 3 lett. c).

Il motivo è inammissibile per inadeguatezza del quesito e comunque è infondato, giacchè, la censura non affronta la ratio decidendi centrale della decisione impugnata, ossia che la fonte della previdenza integrativa opera, salvo che i rapporti di lavoro non siano disciplinati da contratto o accordi collettivi anche aziendali, come nel caso di specie, in cui il rapporto di lavoro doveva ritenersi disciplinato dal CCNL dell’Assicredito.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5) in relazione a quanto disposto dalla Delib. C.D.A. CRIAS 12 maggio, n. 95/14.

Sul punto sostiene che tale delibera, erroneamente interpretala come mera dichiarazione di intenti, aveva assunto preciso rilievo quale fonte di obbligo per la stessa CRIAS in relazione a quanto in essa stabilito e la mancata attuazione delle intese costituiva inadempimento nei confronti del ricorrente. Il motivo è inammissibile, in quanto le censure, oltre che a non essere sostenute da idoneo quesito. contengono un diverso apprezzamento, non consentito in sede di legittimità, rispetto alla valutazione della Corte di merito, congruamente motivata, la quale ha rilevato che in base alla disciplina innovativa introdotta dal citato D.Lgs. n. 124 del 1993 le fonti istitutive delle forme di previdenza integrativa sono soltanto i contratti collettivi e i regolamenti aziendali, con conseguente impossibilità per il Presidente dell’Ente di manifestare, in relazione alla Delib. C.D.A. CRIAS maggio 1997 una volontà volta alla costituzione di un fondo pensione per i dipendenti della CRIAS (in questo senso cfr. Cass. n. 5542 dell’8 marzo 2010 in analoga controversia nei confronti della CRIAS).

4. Con il quarto motivo il ricorrente osserva che la Corte territoriale, con motivazione lacunosa ed erronea, ha ritenuto che, benchè fosse stata dichiarata, con sentenza passata in giudicato, la nullità del contratto di formazione e lavoro con trasformazione in contratto a tempo indeterminato con la CRIAS dal 17.08.1 992, ciò non poteva anche determinare la retrodatazione dell’iscrizione al fondo pensione (art. 360 c.p.c., n. 5).

La censura è inammissibile, giacchè, oltre a non essere sostenuta da idoneo quesito, oppone un diverso apprezzamento alla valutazione del giudice di appello, il quale ha ritenuto che la retrodatazione del rapporto di lavoro al 1992 in base a pronunce giurisdizionali non potesse comportare anche la retrodatazione dell’iscrizione al Fondo Pensione, e ciò in relazione al breve arco di tempo tra la costituzione del rapporto e la riforma normativa di cui al D.Lgs. n. 124 del 1993.

Tale valutazione del giudice di appello si colloca peraltro nell’ambito della descrizione e qualificazione come concludente del comportamento tenuto dai dipendenti, tra cui il P., i quali hanno prestarono il loro consenso alla cancellazione dal Fondo incassando le somme attribuite dalla CRIAS a titolo di restituzione degli importi accumulati per ciascuno presso il Fondo cancellato.

5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione circa un punto decisivo della controversia in riferimento alla condanna alle spese del giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5).

La censura è priva di pregio e va disattesa, in quanto il giudice di appello, con valutazione affidata ai suo potere discrezionale, ha correttamente applicato il principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c., nè il ricorrente ha indicato un motivo illogico o erroneo di tale statuizione.

6. Con il sesto motivo il ricorrente lamenta vizio di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in ordine alla domanda di risarcimento danni (art. 360 c.p.c., n. 5).

Tale censura è inammissibile per totale mancanza di quesito ed in ogni caso è infondata, in quanto il giudice di appello, ha ritenuto assorbita la domanda riguardante il risarcimento dei danni per effetto della statuizione sull’inesistenza dell’obbligo di copertura previdenziale a carico della CRIAS. 7. In conclusione il ricorso in base alle precedenti considerazioni va respinto.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 44,00, oltre Euro 2000,00 per onorari ed oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, il 30 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2011

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