Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9269 del 24/04/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 9269 Anno 2014
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: GIANCOLA MARIA CRISTINA

SENTENZA

sul ricorso 15678-2011 proposto da:
ANAS S.P.A. in persona del legale rappresentante
pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

Data pubblicazione: 24/04/2014

STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

CROSERA FERNANDA (c.f. CRSFNN41B46H823G), MEROTTO
ONORINA (c.f. MRTNRN63M64H823N), MEROTTO GIORGIO
(c.f.

MRTGRG67D02H8231),

MEROTTO

NICHI

(c.f.

1

MRTNCH74C62H823Q), nella qualità di eredi di OLIVO
MEROTTO, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
TACITO 41, presso l’avvocato GAROFALO LUIGI, che li
rappresenta e difende, giusta procura a margine del
controricorso;
controricorrenti

avverso la sentenza n. 354/2011 della CORTE
D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 25/02/2011;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 09/01/2014 dal Consigliere
Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;
udito, per i controricorrenti, l’Avvocato LUDOVICA
BERNARDI, con delega, che ha chiesto il rigetto del
ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUIGI SALVATO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 3.7.2003 all’ANAS s.p.a., Olivo Merotto adiva la
Corte di appello di Venezia per sentir determinare le indennità dovute dalla società

Donà di Piave) che, per la costruzione dell’opera pubblica viaria di cui al progetto
approvato il 30.7.1998, erano stati assoggettati a procedimenti di occupazione legittima
e di espropriazione, questo definito con decreto ablativo del 2.12.2008, pronunciato
nelle more del giudizio. L’attore deduceva anche l’insufficienza della stima espressa
dall’apposita Commissione ex art. 15 legge n. 865/1971, che aveva quantificato
l’indennità di esproprio in E 24.426,00. Nel corso del giudizio al Merotto subentravano
gli eredi Fernanda Drosera ed Onorina, Giorgio e Nichi Merotto.
Con sentenza dell’11.01-25.02.2011 la Corte di appello di Venezia determinava
l’indennità di espropriazione in C 281.434,20 e quella di occupazione temporanea in €
17.111,61, oltre ai rispettivi interessi legali, ordinandone il deposito presso la Cassa
Depositi e Prestiti.
Per quanto ancora rileva la Corte territoriale riteneva che si vertesse in caso di
esproprio parziale di area non edificabile, sicché l’indennità per l’ablazione doveva
essere determinata in base al criterio differenziale di cui all’art. 40 della legge n. 2359
del 1865; in base a questo criterio essa ammontava complessivamente ad € 93.811,40,
dovendo ricomprendere l’importo per l’esproprio del terreno, calcolato in € 21.242,00
in base ai valori agricoli medi (ex art. 16 della legge n. 865 del 1971), nonché l’importo
relativo al deprezzamento subito sia dal fabbricato residenziale insistente sulla parte
residua non espropriata (pari al 25% del valore venale di emq 1.000,00 dell’immobile
in questione) ed ancora l’importo di E 1.750,00 inerente alla perdita di valore delle
pertinenze del fabbricato stesso. La somma complessiva così determinata, pari ad E

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convenuta in relazione a terreni (parte dei mappali 80 e 86, foglio 52, comune di San

93.811,40, doveva, inoltre, essere triplicata ai sensi dell’art. 17 della menzionata legge
del 1971, essendo pacifica la qualità di coltivatori diretti degli attori ed essendo
mancata la cessione volontaria per incongruità dell’offerta indennità provvisoria (£

Avverso questa sentenza notificata il 7.04.2011 l’ANAS S.p.A. ha proposto ricorso per
cassazione affidato ad un motivo e notificato il 6 -13.06.2011 alla Crosera ed ai
Merotto, che il 22-29.07.2011 hanno resistito con controricorso e depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
A sostegno del ricorso l’ANAS denunzia “Violazione di legge in relazione all’art. 17
della L. n. 865/71 – ex art. 360 n. 3 c.p.c..”.
Si duole a) che non sia stata data adeguata prova della sussistenza in capo
all’espropriato Merotto anche della qualità di coltivatore diretto, atta a legittimare la
triplicazione dell’indennità di esproprio ai sensi dell’art. 17, 1° comma, della legge n.
865 del 1971 b) che comunque tale triplicazione dell’indennità aggiuntiva sia stata
calcolata sull’intero importo dell’indennità determinata per l’esproprio parziale e non in
riferimento soltanto alla parte di essa relativa al terreno espropriato.
Il motivo è parzialmente fondato.
Inammissibile si rivela il profilo sub a) dell’impugnazione, con cui come detto,
l’ANAS si duole del difetto di prova del fatto che l’espropriato fosse anche coltivatore
diretto del fondo ablato. La Corte di merito ha ritenuto tale qualità pacifica in causa
ossia non contestata e come tale acquisita al materiale processuale ed idonea a
consentirle di astenersi da qualsivoglia relativo controllo probatorio; a fronte di tale
valutazione certativa la censura risulta irritualmente ricondotta alla rubricata violazione
di legge, dal momento che avrebbe dovuto semmai appuntarsi sull’attuata
valorizzazione e qualificazione delle risultanze istruttorie e, dunque, semmai essere

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14.040.000).

ascritta al novero dei vizi inerenti alla motivazione della sentenza, contemplati dall’art.
360 n. 5 c.p.c. nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alla sua sostituzione
disposta con l’art. 54 del dl n. 83 del 2012, conv in Ls n. 134 del 2012. D’altra parte

doglianza in tale diversa e corretta prospettiva, dato che da essa non emerge la specifica
indicazione degli estremi anche temporali di contestazione nel grado di merito della
qualità in questione, precisazione invece doverosa in ossequio al principio di
autosufficienza del ricorso.
Il secondo profilo della censura si rivela invece fondato.
L’indennità aggiuntiva diretta a remunerare la perdita del lavoro (cfr cass n. 18237 del
2004; n. 18450 del 2011) relativo al “terreno” dovuto abbandonare a causa del
trasferimento coattivo, si deve calcolare sempre e comunque in base al 3° comma
dell’art. 17 della legge n. 865 del 1971, secondo cui “L’indennità aggiuntiva prevista
dai precedenti commi è determinata in ogni caso in misura uguale al valore agricolo
medio di cui al primo comma dell’art. 16 corrispondente al tipo di coltura
effettivamente praticato, ancorché si tratti di aree comprese nei centri edificati o
delimitate come centri storici”. D’altra parte con eguale chiarezza il 2° comma del
medesimo art. 17 dispone: “Nel caso invece che l’espropriazione attenga a terreno
coltivato dal fittavolo, mezzadro, colono o compartecipante, costretto ad abbandonare
il terreno stesso, ferma restando l’indennità di espropriazione determinata ai sensi
dell’articolo 16 in favore del proprietario, uguale importo

dovrà essere corrisposto al

fittavolo, al mezzadro, al colono o al compartecipante che coltivi il terreno
espropriando almeno da un anno prima della data di deposito della relazione di cui
all’art. 10.”. Pertanto l’indennità in questione, dovuta al proprietario coltivatore diretto
per l’ipotesi di cessione volontaria del fondo (sul tema cfr cass. n. 11782 del 2007), di

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nemmeno l’illustrazione del motivo consente di apprezzare favorevolmente la

cui parla il 10 comma della stessa disposizione, non può essere diversa, quanto al
parametro da moltiplicare, da quella del 2° e del 3° comma (che si riferisce anche al 10
comma) anche perché assolve alla medesima autonoma funzione; ed in tali limiti era

n.1022 del 1988); quindi triplicazione del valore agricolo tabellare e non dell’indennità
comunque determinata (in tema cfr cass. n. 10930 del 2001; n. 1959 del 1997; n. 4702
del 1992).
Peraltro, a seguito della nota sentenza n. 181 del 2011 della Corte costituzionale, la
quale ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 5-bis, comma 4 del d.l. 11 luglio 1992,
n. 333 (conv. con mod. nella legge 8 agosto 1992, n. 359) in combinato disposto con gli
artt. 15 primo comma, secondo periodo, e 16, commi quinto e sesto, della legge 22
ottobre 1971, n. 865 (e comportato in via consequenziale l’incostituzionalità dell’art. 40
commi 2 e 3 del DPR 8.06.2001 n. 327), il sistema premiale di triplicazione
dell’indennità di esproprio, di cui al primo comma dell’art. 17 della legge n. 865 del
1971 (così come di quello previsto dall’art. 45 comma 2 lett c) e d)) deve ritenersi
abrogato per incompatibilità con il nuovo assetto normativo. Per effetto della pronuncia
della Consulta è, infatti, venuto meno il criterio legale (riduttivo) di commisurazione
dell’indennizzo espropriativo per i suoli agricoli previsto dall’art. 16 della legge n. 865
del 1971, costituito dal valore agricolo tabellare (VAM) di tali immobili, e, dunque, è
stato espunto il criterio specificamente assunto anche dal precedente art. 12, primo
comma, per la determinazione del prezzo della cessione volontaria del terreno agricolo.
Pertanto anche l’art. 17, 1° comma, del medesimo testo normativo è stato privato del
parametro legale di riferimento per la triplicazione dell’indennità aggiuntiva in favore
del proprietario diretto coltivatore, parametro legale che non è surrogabile con quello
del valore venale del fondo succeduto al primo, cui la norma specificamente faceva

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stata pure dichiarata costituzionalmente legittima (vedi Corte Costituzionale, sentenza

rinvio fisso, data la relativa ratio coerente ed equilibrata solo rispetto al complessivo
pregresso, diverso e superato assetto economico delle riparazioni economiche indotte
dalla procedura espropriativa, quand’anche definita da cessione volontaria ai sensi del

si estende ai sistemi di calcolo dell’indennizzo espropriativo relativo alle espropriazioni
parziali che, essendo dirette a risarcire l’intero danno sofferto dall’espropriato, avevano
in qualche modo costituito anticipata manifestazione del nuovo regime conseguente
alla pronuncia caducatoria della Consulta, per effetto della quale anche l’indennizzo per
l’ablazione del terreno agricolo va, come noto, rapportato al valore venale pieno del
fondo, tratto dall’art. 39 della legge n. 2359 del 1865 (cfr cass SU n. 17868 del 2013;
cass. nn. 19936 e 21386 del 2011).
Tuttavia non tutte le disposizioni normative involgenti i VAM possono ritenersi
coinvolte e travolte dalla pronuncia della Consulta, dovendosi in particolare ritenere
sopravvissute quelle concernenti l’indennità aggiuntiva ad essi parametrata,
disposizioni queste dotate di funzione riparatrice autonoma ( cfr cass n. 18237 del
2004; n. 18450 del 2011 cit.) rispetto all’indennità di esproprio, in quanto, come detto,
poste a tutela di diritti, quale quello al lavoro, pure contemplati dall’ordinamento
giuridico e dotati di rilevanza costituzionale ma diversi da quello di proprietà involto
dalla pronuncia caducatoria della Consulta.
Dunque, con riguardo alle espropriazioni non soggette ratione temporis al DPR n. 327
del 2001 ed all’indennità aggiuntiva, devono ritenersi ancora vigenti i commi secondo,
terzo e quarto dell’art. 17 della legge n. 865 del 1971 (come pure dimostrerebbe l’art.
37, 9 0 comma T.U. che estende anche alle aree edificatorie tale indennità, prevista
invece per le aree agricole dall’art. 40 comma 4 e dall’art. 42 del medesimo testo)
nonché il primo comma del medesimo art. 17 con limitazione dell’indennizzo

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precedente art. 12, 1° comma. Quest’incompatibilità ovviamente ed a maggior ragione

aggiuntivo all’importo rinveniente dal criterio unitario di commisurazione del beneficio
contemplato dal terzo comma della stessa disposizione normativa e costituito dal VAM,
senza applicazione della già attribuita triplicazione.

censura, l’impugnata sentenza va cassata in parte qua, con rinvio alla Corte di appello
di Venezia, in diversa composizione, cui si demanda il compito di rideterminare, previo
scorporo, l’indennità di esproprio parziale e l’indennità aggiuntiva, quanto alla prima
applicando al terreno espropriato il valore pieno di mercato e mantenendo ferma la
valutazione del deprezzamento subito dalla residua porzione immobiliare, e quanto alla
seconda determinandone l’importo in base al criterio dei VAM, peraltro
conclusivamente contenendo la determinazione globale dei due indennizzi in misura
non superiore a quella già stabilita nella pronuncia impugnata dalla sola società
espropriante, nei cui confronti pertanto l’esito a lei favorevole del presente giudizio non
può risolversi in reformatio in pejus della sentenza in parte annullata (cfr, tra le altre,
cass. n. 3175 del 2008). Alla Corte del rinvio va anche demandata la pronuncia sulle
spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie parzialmente il ricorso, cassa nei limiti dell’accolta censura la
sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di
appello di Venezia, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2014
Il Ilresideute

In ragione di questa conclusione ed in accoglimento nei precisati sensi dell’esaminata

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