Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9269 del 11/04/2017


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Cassazione civile, sez. III, 11/04/2017, (ud. 02/02/2017, dep.11/04/2017),  n. 9269

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ULTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10741-2015 proposto da:

P.N., considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato GABRIELE GRAZIANI giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A., in persona del dr.

B.C.A., nella sua qualità di Responsabile di Settore

Dipartimentale di Capogruppo Bancaria con funzione Recupero Crediti

e come tale rappresentante della suddetta Banca, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA A. BOSIO 2, presso lo studio dell’avvocato

MASSIMO LUCONI, rappresentata e difesa dall’avvocato DANIELA RUOTOLO

giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

nonchè contro

P.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 98/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 20/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/02/2017 dal Consigliere Dott. VINCENTI ENZO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO ALBERTO, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato GABRIELE GRAZIANI;

udito l’Avvocato MASSIMO LUCONI per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – La Banca Antoniana Popolare Veneta S.p.A. convenne in giudizio P.M. e P.N. per sentir dichiarare l’inefficacia, ai sensi dell’art. 2901 c.c., della vendita, intercorsa tra i predetti convenuti l’11 luglio 2003, della quota di metà della nuda proprietà dell’immobile abitato dall’acquirente N. ed alienata dalla sorella M., nei cui confronti la Banca assumeva di essere creditrice per effetto della garanzia fideiussoria da quest’ultima rilasciata in favore della società Nova Costruzioni s.r.l..

L’adito Tribunale di Verona, con sentenza dell’aprile 2008, rigettò la domanda attorea, per difetto di prova sulla conoscenza da parte del terzo acquirente del pregiudizio arrecato con la vendita alle ragioni creditorie della Banca.

2. – Su impugnazione della Banca Antonveneta S.p.A. (già Banca Antoniana Popolare Veneta S.p.A.), la Corte di appello di Venezia, nel contraddittorio con gli originari convenuti, con sentenza resa pubblica il 20 gennaio 2015, accoglieva il gravame e dichiarava inefficace nei confronti della predetta Banca l’atto di vendita immobiliare in data 11 luglio 2003.

2.1. – La Corte territoriale riteneva in capo al terzo acquirente, P.N., sussistente la consapevolezza del pregiudizio arrecato al creditore (ai sensi dell’art. 2901 c.c., comma 1, n. 2, prima parte), evidenziando: che le parti contrattuali erano fratelli, “comproprietari della nuda proprietà dell’immobile loro donato”, nel quale viveva M.P.; che la società della quale P.M. era fideiussore “aveva una grave situazione debitoria”; che, contestualmente alla vendita della quota proprietaria, era stato alienato anche l’arredo dell’immobile e poi concesso in comodato alla stessa M.; che vi erano gravi situazioni debitorie, “acclarate in modo pubblico (pignoramenti)”; che il dedotto dissidio tra fratelli, che avrebbe dovuto di per sè giustificare la vendita, oltre al fatto che avrebbe “dovuto essere bene circostanziato e provato”, appariva, in ogni caso, “evanescente dal punto di vista istruttorio” e ciò “a fronte delle presunzioni facilmente ricavabili dal complesso dei fatti riportati”.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre P.N. affidandosi a sei motivi.

Resiste con controricorso la Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. (già Banca Antonveneta S.p.A.), mentre non ha svolto attività difensiva in questa sede P.M..

Il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo mezzo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., comma 1, n. 2, “sulla partecipatio fraudis e sulla conoscibilità da parte di P.N.”, nonchè omessa ed erronea valutazione delle prove.

La Corte territoriale sarebbe giunta al convincimento sulla conoscibilità di P.N. del pregiudizio alle ragioni creditorie arrecato dalla vendita in forza di una “omessa valutazione delle prove versate in atti e all’errato iter logico argomentativo”.

2. – Con il secondo mezzo è dedotta “omessa, illogica, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia che ha formato oggetto di discussione tra le parti, in particolare in ordine alla situazione debitoria della Nova Costruzione s.r.l. – certezza esigibilità debito societario solo con la chiusura del conto corrente/revoca linee di credito – violazione art. 2901 c.c., comma 1, n. 1), in relazione all’art. 1823 c.c. – Cass. SS.UU. n. 24418/10 prova della dolosa preordinazione”.

La Corte di appello avrebbe applicato la prima parte dell’art. 2901 c.c., comma 1, n. 2, muovendo dall’erroneo presupposto della esistenza del credito in epoca antecedente alla vendita immobiliare, mentre la stessa fideiussione di P.M. non poteva reputarsi esigibile e certa sino al momento di conoscenza del saldo di conto corrente, avvenuta con la revoca delle linee di credito il 13 ottobre 2003, ossia dopo la predetta vendita immobiliare.

3. – Con il terzo mezzo è prospettata “omessa, illogica, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia che ha formato oggetto di discussione tra le parti, in particolare in ordine ai dissidi tra i fratelli P.N. e P.M.”, mancando la Corte territoriale di valutare la documentazione che comprovava come il dissidio risiedeva nel fatto che N. provvedeva a pagare per intero il comune debito per mutuo ipotecario.

4. – Con il quarto mezzo è denunciata “omessa, illogica, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia (prove documentali offerte) che ha formato oggetto di discussione tra le parti, in particolare sostiene la Corte, nel fondare il proprio convincimento, che “vi sono gravi situazioni acclarate in modo pubblico (pignoramenti)”, là dove, invece, sussisteva un solo pignoramento (che, di regola, “è sottratto a qualsiasi forma di pubblicità”), di gran lunga successivo alla vendita.

5. – Con il quinto mezzo è dedotta “omessa, illogica, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia (prove documentali offerte e prove testimoniali: M. – Pr.) che ha formato oggetto di discussione tra le parti e che non ha formato oggetto di valutazione della Corte – esclusione dei gravi e precisi indizi alla luce delle prevalenti prove documentali e testimoniali assunte”.

La Corte territoriale non avrebbe valutato le prove documentali e testimoniali che dimostravano che i contraenti non potevano essere a conoscenza del pregiudizio arrecato dalla compravendita alle ragioni creditorie, posto, peraltro, che quest’ultima era antecedente alla revoca delle linee di credito avvenuta in data 13 ottobre 2003.

5.1. – I motivi dal primo al quinto – da scrutinarsi congiuntamente – non possono trovare accoglimento.

E’ principio consolidato quello per cui l’azione revocatoria ordinaria presuppone per la sua esperibilità la sola esistenza di un debito e non anche la sua concreta esigibilità, sicchè, prestata fideiussione a garanzia delle future obbligazioni del debitore principale nei confronti di un istituto di credito, gli atti dispositivi del fideiussore, successivi alla prestazione della fideiussione medesima, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti alla predetta azione, ai sensi dell’art. 2901 c.c., n. 1 e n. 2, prima parte, in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza del fideiussore e, in caso di atto a titolo oneroso, del terzo di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore (cd. scientia damni), ed al solo fattore oggettivo dell’avvenuto accreditamento di denaro da parte della banca, senza che rilevi la successiva esigibilità del debito restitutorio o il recesso dal contratto.

Sicchè, è corretta la decisione della Corte territoriale là dove ha ravvisato la precedenza dell’insorgenza del credito rispetto all’atto dispositivo in data 11 luglio 2003, non essendo contestato (bensì dedotto dallo stesso ricorrente: p. 10 ricorso), che la fideiussione prestata da P.M. era del marzo 2003 (e già del maggio 1999) e l’esposizione debitoria della società garantita sussisteva, anch’essa, già dal marzo 2003 (cfr. pp. 5 e 6 del ricorso). Di qui, conseguentemente, la correttezza della decisione pure in punto di indagine sulla c.d. scientia damni del terzo acquirente a titolo oneroso circa l’eventus damni e non già – come sostenuto dal ricorrente – sulla sua dolosa preordinazione.

Con ciò cadono tutte le censure del ricorrente che, nella loro sostanza, ruotano sull’erroneo presupposto della applicabilità della seconda parte dell’art. 2901 c.c., comma 1, n. 2.

In ogni caso, le medesime censure, che sono per il resto orientate a denunciare una omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione, avuto riguardo alla valutazione delle risultanze probatorie documentali e orali, si palesano inammissibili, giacchè veicolano doglianze sotto lo spettro del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., nella formulazione antecedente alla novella recata dal D.L. n. 83 del 2012 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012), non applicabile ratione temporis al presente giudizio di legittimità, là dove, peraltro, le medesime doglianze non attingerebbero neppure il profilo censorio consentito dal vigente art. 360 c.p.c., n. 5, concernente l’omesso esame di “fatti storici” e non già, e di per sè, di elementi istruttori (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053).

6. – Con il sesto mezzo è prospettata violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, in relazione alla L. n. 247 del 2012 “per quanto riguarda la determinazione dei compensi liquidati in sentenza”.

La Corte territoriale avrebbe errato a liquidare i compensi sulla base del valore della causa pari ad Euro 82.051,57 dichiarato dalla Banca appellante, essendo questo quello di Euro 13.000, pari al prezzo delle vendita immobiliare dichiarata inefficace. In ogni caso, anche avuto riguardo al predetto valore dichiarato, i compensi sarebbe superiori a quelli medi che sarebbero stati consentiti dal D.M. n. 55 del 2014 (ossia Euro 12.247,20, in luogo dei liquidati euro 14.235, oltre spese generali ed accessori di legge).

6.1. – Il motivo è (manifestamente) infondato.

Erra il ricorrente a riferirsi, per la determinazione del valore della causa, a quello della vendita immobiliare oggetto della revocatoria, giacchè, a mente dello stesso D.M. n. 55 del 2014, art. 5, di cui si invoca l’applicazione, il valore della causa nei giudizi per azioni revocatorie è determinato in relazione “all’entità economica della ragione di credito alla cui tutela l’azione è diretta”; nella specie, la somma di Euro 82.051,57, recata dal decreto ingiuntivo emesso nei confronti di P.M..

Quanto, poi, all’asserito (peraltro, contenuto) scostamento rispetto ai valori medi, la relativa censura, prima ancora che infondata, è inammissibile, posto che neppure il ricorrente deduce essersi la Corte territoriale discostata dalla tariffa massima consentita dall’art. 4 del citato D.M. in relazione allo scaglione di riferimento del valore anzidetto, essendo i valori medi di liquidazione criteri derogabili in aumento o diminuzione e costituendo, comunque, soltanto “parametri” al quale il giudice deve fare riferimento (L. n. 247 del 2012, art. 13, e il citato D.M. n. 55 del 2014, art. 4).

7. – Il ricorso va, pertanto, rigettato e il ricorrente condannato, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, al pagamento, in favore della Banca controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, da liquidarsi come in dispositivo in conformità ai parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014.

Non occorre provvedere alla regolamentazione di dette spese nei confronti della parte intimata che non ha svolto attività difensiva in questa sede.

PQM

rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della società controricorrente, che liquida in Euro 7.000,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1 – bis.

Motivazione Semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, il 2 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2017

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