Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9267 del 19/04/2010

Cassazione civile sez. III, 19/04/2010, (ud. 23/03/2010, dep. 19/04/2010), n.9267

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23388/2006 proposto da:

T.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA SALARIA 280, presso lo studio dell’avvocato PIROCCHI

Francesco, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato DALLE

MULE LUCA giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIALE DELLE MILIZIE 22, presso lo studio dell’avvocato TURCO Igor,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato LARESE FRANCESCA

giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 360/2006 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

SEZIONE AGRARIA, emessa il 15/2/2006, depositata il 27/02/2006,

R.G.N. 1/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

23/03/2010 dal Consigliere Dott. MARIO FINOCCHIARO;

udito l’Avvocato FRANCESCO PIROCCHI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MARINELLI Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto 6 dicembre 1997 B.S. ha convenuto in giudizio avanti il Tribunale di Belluno la T.R., chiedendone la condanna, oltre che al risarcimento dei danni conseguenti alla illegittima occupazione, al rilascio del terreno con soprastante fabbricato ad uso di deposito agricolo, che l’attrice aveva acquistato con atto in data (OMISSIS) dall’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero di (OMISSIS).

Il Tribunale adito, con sentenza 21 giugno – 6 dicembre 2000, a fronte delle eccezioni preliminari della convenuta la quale, sulla base del contratto di affitto a suo tempo intercorso fra il proprio padre, e l’allora Beneficio Parrocchiale di (OMISSIS), aveva allegato che, alla morte di T.M., lei stessa e le altre eredi avevano continuato nella conduzione dei fondi, con il loro conseguente diritto a permanere nell’immobile fino al soddisfacimento del proprio preteso credito per le migliorie ed addizioni apportate al fondo stesso, ha dichiarato la propria incompetenza, ratione materiae a decidere la controversia, sussistendo competenza della Sezione specializzata agraria.

Riassunto il giudizio innanzi al tribunale di Belluno, sezione specializzata agraria, svoltasi la istruttoria del caso la adita sezione in parziale accoglimento della domanda attrice ha condannacela T. al rilascio immediato del fondo, libero da persone o cose, in favore della ricorrente, rigettata sia la domanda di risarcimento dei danni da quest’ultima proposta in relazione alla illegittima detenzione dell’immobile oggetto di causa sia la domanda riconvenzionale proposta dalla T. per ottenere l’indennità per i miglioramenti e le addizioni apportate al fondo, dopo aver rilevato, in via preliminare, l’intervenuta decadenza della convenuta rispetto a detta domanda per il mancato rispetto di quanto previsto dall’ art. 418 c.p.c..

Nel merito quel giudice ha accertato che, non avendo la T. dimostrato di aver avuto i requisiti richiesti dalla legge per la prosecuzione del contratto di affitto, quest’ultimo doveva intendersi risolto alla data del 10 novembre 1986 (al termine dell’annata agraria nel corso della quale si è verificato il decesso dell’affittuario), in applicazione della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 49.

Gravata tale pronunzia, in via principale dalla T. e in via incidentale dalla B. la Corte di appello di Venezia, sezione specializzata agraria con sentenza 15 febbraio – 27 febbraio 2006 ha rigettato entrambi gli appelli.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, ha proposto ricorso, con atto 26 luglio 2006 T.R., affidato a un unico motivo e illustrato da memoria.

Resiste, con controricorso B.S..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Per quanto ancora rilevante al fine del decidere i giudici di secondo grado – preso atto che la T., nel proporre domanda riconvenzionale diretta a conseguire l’indennizzo per i pretesi miglioramenti arrecati al fondo aveva omesso di fare istanza (a norma dell’art. 418 c.p.c.) di spostamento della udienza di discussione, – ha dichiarato:

– da un lato, la inammissibilità della riconvenzionale da questa proposta in primo grado e di conseguenza, prive di qualsiasi efficacia tutte le considerazioni svolte dal primo giudice quanto la infondatezza di tale domanda;

– dall’altro, la inammissibilità di una tale domanda come formulata nell’atto di appello, perchè integrante domanda nuova, preclusa ex art. 437 c.p.c..

2. Con l’unico motivo la ricorrente censura la sentenza sopra riassunta denunziando: “nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4, per omissione di pronuncia sulla sussistenza del diritto di ritenzione del fondo, in capo a parte convenuta, quale situazione sostanziale legittimante, in via di eccezione il rigetto della domanda attrice”.

3. Oppone, in limine, parte contro ricorrente che quanto alla assenza, in capo alla ricorrente, del diritto di ritenzione invocato si è formato – in altro lì giudizio tra le stesse parti – il giudicato, con la sentenza 14 novembre 2005 del tribunale di Belluno.

4. Il rilievo non coglie nel segno.

La sentenza in questione, infatti, non si è pronunziata sul merito del diritto della T. a ottenere una indennità per i pretesi miglioramenti apportati al fondo, nè sul diritto della stessa alla ritenzione del fondo ma si è limitata a dichiarare inammissibile, perchè tardiva, una opposizione all’esecuzione (del fondo per cui è controversia).

5. Precisato quanto sopra, osserva la Corte, che pur se non si dubita che la ritenzione del fondo può essere chiesta in via di eccezione, e quindi, separatamente dalla domanda di quantificazione della indennità per miglioramenti, nella specie la invocata (dalla ricorrente) nullità della sentenza impugnata non sussiste.

Deve ribadirsi, infatti – in conformità a una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, da cui totalmente e senza alcuna motivazione prescinde la difesa della ricorrente – che il diritto di ritenzione, che è riconosciuto nell’art. 1152 c.c., e si configura come situazione non autonoma ma strumentale alla autotutela di altra situazione attiva generalmente costituita da un diritto di credito, è contemplato in favore dell’affittuario nella L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 20, così come nella precedente L. n. 11 del 1971, art. 15, in stretta relazione al diritto di credito per le indennità spettanti al coltivatore diretto per i miglioramenti, le addizioni e le trasformazioni da lui apportati al fondo condotto.

Tale diritto di ritenzione, pertanto, presupponendo l’esistenza di un credito derivante dalle opere indicate e realizzate dal coltivatore diretto, non è scindibile dall’esistenza di detto credito o dall’accertamento di questo.

Deriva da quanto precede che eccepito dall’affittuario il diritto di ritenzione a garanzia del proprio credito per i miglioramenti apportati al fondo, il giudice non può limitarsi ad accertare l’esistenza delle opere realizzate dall’affittuario, ma deve verificarne anche l’indennizzabilità, rigettando l’eccezione ove tale verifica dia esito negativo (in questo senso, tra le altre, ad esempio, 29 febbraio 2008, n. 5519; Cass. 26 giugno 2001, n. 8741;

Cass. 20 ottobre 1998, n. 10386).

Certo quanto precede, pacifico che nella specie non risulta in alcun modo che la T. abbia posto in essere miglioramenti (o addizioni o trasformazioni) del fondo condotto in affitto aventi i requisiti voluti dalla stessa L. n. 203 del 1982, art. 16, tali cioè da far sorgere in capo allo stesso il “diritto” alla indennità prevista dal successivo art. 17, è palese che correttamente il giudice di appello, ancorchè implicitamente, ha rigettato la domanda di ritenzione, atteso che tale diritto – come risulta del resto dalla stessa testuale formulazione della L. n. 203 del 1982, art. 20: (“se nel giudizio di cognizione o nel processo di esecuzione è fornita la prova della sussistenza in generale delle opere di cui all’art. 16, al comma 1, all’affittuario compete la ritenzione del fondo fino a quando non sia stato soddisfatto il suo credito -..”) – sorge non allorchè il conduttore (o ex conduttore) assume, genericamente, l’esistenza di un proprio credito al detto titolo ma solo dopo che lo stesso abbia dato la prova delle opere e della loro indennizzabilita, prove nel caso concreto nè offerte nè date.

6. Conclusivamente, risultato infondato il proposto ricorso deve rigettarsi, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200,00 oltre Euro 1.500,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 23 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2010

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