Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9267 del 06/04/2021

Cassazione civile sez. I, 06/04/2021, (ud. 18/12/2020, dep. 06/04/2021), n.9267

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina Anna R. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 18857/2015 proposto da:

T.C., in proprio e quale di erede di N.G.;

T.G., Tr.Gi. e T.R., in proprio e quali

eredi di S.L., elettivamente domiciliati in Roma, in via

Premuda n. 2, presso lo studio dell’avvocato Bombardieri Leandro,

rappresentati e difesi dall’avvocato Mangiapane Mario, con procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Comune di Cammarata (AG), in persona del sindaco pro-tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Maresciallo Pilsudski n. 18,

presso lo studio dell’avvocato Paoletti Fabrizio, rappresentato e

difeso dall’avvocato Rubino Girolamo, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1848/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 12/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/12/2020 dal Cons., Dott. CAIAZZO ROSARIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott.

NARDECCHIA GIOVANNI BATTISTA, che si riporta alla requisitoria

scritta e conclude per l’inammissibilità del ricorso;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato Mangiapane Mario che si riporta

al ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con Delib. 1 dicembre 1988 il Consiglio Comunale di Cammarata approvò il progetto dei lavori di ristrutturazione del palazzo T. per destinarlo a centro di rilevanza turistico-culturale e per utilizzare come parcheggio l’area antistante a piazza, teatro e parcheggio, dando atto che le opere incluse nel progetto erano state dichiarate di pubblica utilità, indifferibili ed urgenti. Con ordinanza del 16.11.90 il sindaco di Cammarata dispose l’occupazione temporanea e d’urgenza del suddetto immobile per un periodo di cinque anni a decorrere dall’immissione in possesso.

Successivamente, T.G., quale procuratore di g., e T.C. e N.G. citarono innanzi alla Corte d’appello di Palermo il Comune di Cammarata per la determinazione dell’indennità d’occupazione; con sentenza del 1997 la domanda fu accolta, determinando la suddetta indennità nella somma di Euro 38.288.000.

Con decreto sindacale del 31.10.95 fu prorogato di due anni il termine per il completamento dell’espropriazione; con ordinanza sindacale del 27.10.97 fu pronunciata l’espropriazione degli immobili, fissando l’indennità in Lire 426.450.000.

Con citazione notificata il 22.12.97, S.L., R., Gi. e T.G., e con comparsa d’intervento notificata il 19.1.98 da R., T.C. e N.G., citarono innanzi al Tribunale di Agrigento il Comune di Cammarata chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza della definitiva occupazione, nonchè di quella temporanea dal luglio 1994 e, in subordine, chiedendo di accertare la non congruità dell’indennità depositata.

Si costituì il Comune, resistendo alla domanda.

Con sentenza non definitiva del 2002 il Tribunale, respinta l’eccezione di prescrizione, dispose la rimessione della causa sul ruolo per la determinazione del quantum, accogliendo la tesi del giudicato implicito formatosi sulla sentenza della Corte d’appello del 1997 che aveva ritenuto la legittimità dell’occupazione e della dichiarazione di pubblica utilità nel quinquennio successivo all’immissione in possesso del 19.11.1990, accertando che l’occupazione nel periodo successivo al 18.11.95 era avvenuta in carenza di potere, mentre il decreto d’esproprio fu emesso tardivamente oltre il termine di scadenza dell’occupazione.

Disposta c.t.u., il Tribunale, con sentenza definitiva emessa il 4.9.08 condannò il convenuto Comune al pagamento della somma di Euro 385.585,64 a titolo di risarcimento dei danni per la perdita della proprietà degli attori.

Con sentenza emessa il 12.11.14, la Corte territoriale accolse l’appello del Comune di Cammarata avverso le due sentenze impugnate, rigettando la domanda risarcitoria, osservando che: il Tribunale aveva reso una motivazione contraddittoria in quanto, per un verso, aveva affermato doveroso il rispetto del giudicato costituito dalla sentenza emessa nel 1997 (correttamente evidenziando il percorso logico seguito dalla Corte territoriale nell’affermare la legittimità della procedura ablativa del Comune), e per altro verso, con valutazione opposta a quella contenuta nella stessa sentenza, aveva invece affermato che l’occupazione fosse illegittima ab initio e che, pertanto, la proroga biennale intervenuta nel 1995 non era legittima; tale contraddittorietà induceva a ritenere illegittima l’autonoma valutazione del Tribunale, a nulla rilevando quanto eccepito dagli appellati secondo cui il procedimento conclusosi con la sentenza del 1997 avrebbe riguardato l’occupazione temporanea, fattispecie diversa da quella oggetto del giudizio in questione; invero, la Corte territoriale, con la suddetta sentenza, aveva deciso proprio sull’indennità di occupazione legittima, non avendo costituito oggetto di tale giudizio la ricorrenza di illeciti causativi di danni; ne conseguiva pertanto le legittimità del decreto d’espropriazione in quanto emesso prima della scadenza del termine d’occupazione legittima così come tempestivamente prorogato per due anni, con esclusione di qualunque diritto al risarcimento dei danni.

Ricorrono in cassazione C. – in proprio e quale erede della madre N.G. -, R. G. e Tr.Gi. – quest’ultimi in proprio e quali eredi della madre S.L. – con quattro motivi.

Resiste il Comune di Cammarata, con controricorso illustrato con memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 2359 del 1865, art. 13 e della L.R. n. 35 del 1978, art. 1 avendo la Corte territoriale ritenuto legittimo il procedimento espropriativo, sebbene l’occupazione dell’immobile fosse divenuta illegittima dal 18.11.95, data di scadenza del termine di occupazione in quanto l’immissione in possesso era avvenuta il 19.11.90, con la conseguente illegittimità anche del provvedimento di rinnovazione della dichiarazione di pubblica utilità e del decreto d’espropriazione, come affermato dal giudice di primo grado.

I ricorrenti deducono altresì che: la procedura ablatoria era illegittima anche perchè il progetto dei lavori approvato dal consiglio comunale non indicava i termini per l’espropriazione, come prescritto dal suddetto art. 1 L.R., con conseguente illegittimità della stessa dichiarazione di pubblica utilità; la sentenza d’appello del 1997, passata in giudicato, non conteneva una pronuncia contraddittoria, come ritenuto dalla sentenza impugnata, in quanto essa aveva determinato il quantum dell’indennità d’occupazione, senza attribuire legittimità ad un’occupazione senza titolo.

Il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., in quanto la determinazione dell’indennità provvisoria d’esproprio non aveva alcuna rilevanza, essendosi verificata nel corso del periodo d’occupazione autorizzata dal sindaco, in data 30.1.92, l’occupazione acquisitiva degli immobili in questione che legittimava la richiesta risarcitoria.

Il terzo motivo lamenta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato il maturare della prescrizione del diritto al risarcimento dei danni a far data del 19.11.95, avendo invece il Tribunale correttamente escluso la prescrizione in questione in quanto il termine per esercitare l’azione risarcitoria decorreva dalla data del perfezionamento della fattispecie acquisitiva.

Il quarto motivo deduce la sussistenza dei presupposti per decidere il ricorso, pronunciando nel merito, ex art. 384 c.p.c., comma 2.

Il Procuratore Generale ha presentato memoria deducendo del pari l’inammissibilità del ricorso in virtù del seguente principio di diritto: “L’interpretazione del giudicato esterno può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di cassazione con cognizione piena, nei limiti, però, in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza del principio di autosufficienza di questo mezzo di impugnazione, con la conseguenza che, qualora l’interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il ricorso deve riportare il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo, atteso che il solo dispositivo non può essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale” (richiamando Cass., n. 5508/18; n. 17310/2020 che richiede la trascrizione integrale della sentenza relativa all’invocato giudicato nel caso in cui si deduca l’insussistenza della preclusione da giudicato).

Preliminarmente, va esaminata l’eccezione d’inammissibilità del ricorso, sollevata dalla parte resistente e dallo stesso Procuratore Generale; tale eccezione deve ritenersi infondata.

Al riguardo, parte ricorrente assume che il giudicato rappresentato dalla sentenza emessa dalla Corte d’appello nel 1997, cui fa riferimento la sentenza impugnata evidenziando la ritenuta contraddittorietà della motivazione del Tribunale nell’affermare l’illegittimità dell’occupazione successivamente alla scadenza del termine finale, non sarebbe interpretabile nel senso ritenuto dalla Corte territoriale. Invero, i ricorrenti hanno riportato vari stralci della motivazione della sentenza impugnata riguardanti l’interpretazione del giudicato esterno implicito inerente alla sentenza del 1997 dai quali si evince con sufficiente chiarezza il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, nonchè il percorso logico seguito dal giudice distrettuale sulla medesima questione.

Pertanto, il collegio ritiene che un esame complessivo del ricorso induca ad affermare che lo stesso atto risponda ai requisiti minimi del principio dell’autosufficienza, cioè la chiara esposizione dei fatti di causa, dei vizi attribuiti alla sentenza impugnata e dei motivi che esplicitano tali vizi, al fine di consentire alla Corte la verifica della fondatezza della doglianza in base alla soia lettura dello stesso ricorso, senza necessità di accedere a fonti esterne allo stesso (in tali termini, v. Cass., n. 31038/18).

Premesso ciò, i primi tre motivi del ricorso – esaminabili congiuntamente poichè tra loro connessi – sono infondati. Invero, i ricorrenti censurano l’erronea interpretazione che la Corte territoriale avrebbe adottato circa il giudicato esterno implicito rappresentato dalla sentenza emessa dalla Corte d’appello nel 1997 sulla procedura di determinazione dell’indennità di occupazione provvisoria. In particolare, i ricorrenti si dolgono che la Corte territoriale abbia ritenuto che sulla questione dell’occupazione degli immobili di loro proprietà, con la predetta sentenza emessa nel 11/997 che determinò e liquidò l’indennità d’occupazione, si fosse formato un giudicato il cui ambito sarebbe stato esteso, a loro dire, erroneamente anche all’occupazione senza titolo protrattasi dal 18.11.95, data di scadenza del relativo termine.

Al fine di delineare chiaramente l’ambito dei motivi in esame, occorre rilevare altresì che i ricorrenti, richiamando la motivazione della sentenza non definitiva emessa dal Tribunale nel 2002, espongono che il progetto dei lavori di ristrutturazione del (OMISSIS) e di sistemazione dell’area antistante a piazza, teatro e parcheggio, fu approvato dal consiglio comunale nel 1988, senza indicare i termini per l’espropriazione, in violazione della L.R. n. 35 del 1978, art. 1 rendendo così inefficace la stessa dichiarazione di pubblica utilità connessa all’approvazione del progetto.

Inoltre, a sostegno ed a suggello della censura dell’interpretazione adottata nella sentenza impugnata, i ricorrenti invocano l’argomentazione del Tribunale, contenuta nella citata sentenza non definitiva, secondo la quale, il giudicato implicito contenuto nella sentenza della Corte d’appello del 1997 circa la legittimità del procedimento relativo alla determinazione dell’indennità d’occupazione, non avrebbe potuto legittimare l’attività del Comune di Cammarata successiva alla scadenza del periodo d’occupazione preso in considerazione dalla pronuncia d’appello, in ordine alla ritenuta rinnovazione della dichiarazione di pubblica utilità dei lavori eseguiti che, invece, secondo il Tribunale, non vi era mai stata.

Le doglianze dei ricorrenti, articolate secondo la coordinazione logico-sistematica dei fatti descritti, muovendo dalla motivazione della suddetta sentenza di primo grado non definitiva, non hanno pregio. Invero, va osservato che nella sentenza impugnata la Corte d’appello ha evidenziato la contraddizione in cui era incorsa la sentenza emessa dal Tribunale che, da un lato, aveva riconosciuto il giudicato implicito contenuto nella sentenza del 1997, relativamente al procedimento promosso innanzi alla stessa Corte d’appello avente ad oggetto la determinazione dell’indennità d’occupazione e, dall’altro, con valutazione autonoma opposta, aveva invece affermato che l’occupazione era illegittima ab initio sicchè la proroga biennale del termine per l’esaurimento della procedura di esproprio, intervenuta nel 1995, sarebbe stata da considerare illegittima. La stessa Corte distrettuale ha altresì chiaramente rilevato che non era fondato il rilievo degli appellati, attuali ricorrenti, per cui il giudicato in questione avrebbe riguardato soltanto la fattispecie dell’occupazione temporanea e non anche l’asserita diversa, a loro dire, fattispecie risarcitoria connessa al distinto periodo d’occupazione decorso dal 18.11.95, dopo la scadenza del termine inizialmente concesso.

La motivazione della Corte territoriale è del tutto condivisibile, in quanto il giudicato formatosi – come è incontestato tra le parti – con la sentenza emessa dalla Corte d’appello nel 1997, riguardante il procedimento amministrativo diretto a liquidare l’indennità d’occupazione legittima, ha ineluttabilmente dispiegato i suoi effetti anche sulle difese deducibili, nel senso che esso ha coperto definitivamente anche le questioni afferenti al periodo successivo a quello oggetto del giudizio conclusosi con la suddetta sentenza, nel quale l’occupazione si protrasse per poi pervenire al decreto d’espropriazione emesso il 27.10.97. Al riguardo, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il giudicato copre il dedotto e il deducibile in relazione al medesimo oggetto e, pertanto, riguarda non solo le ragioni giuridiche e di fatto esercitate in giudizio ma anche tutte le possibili questioni, proponibili in via di azione o eccezione, che, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici, essenziali e necessari, della pronuncia (Cass., n. 25745/17; n. 5486/19).

Invero, dall’esame del ricorso e di tutti gli atti difensivi è dato desumere che la procedura amministrativa, che ebbe origine dal citato progetto comunale, ebbe carattere unitario, nel senso che al periodo d’occupazione temporanea, dal 16.11.90, il cui termine fu prorogato per un biennio, fece seguito il decreto d’espropriazione. E proprio da tale prospettazione la Corte d’appello ha argomentato nel senso di ritenere che il giudicato implicito formatosi con la sentenza del 1997 assorbiva ogni altra questione connessa alla prosecuzione della procedura d’occupazione legittima degli immobili in questione, avendo esso connotato definitivamente di liceità l’intera procedura.

Pertanto, non è fondata la difesa dei ricorrenti i quali hanno rimarcato l’asserita illegittimità della proroga del termine d’occupazione, siccome disposta in carenza di potere con decreto sindacale del 31.10.95, poichè la piena accertata legittimità dell’occupazione temporanea ab initio non può che escludere la lamentata irregolarità della suddetta proroga biennale. Infatti, il vizio addotto dai ricorrenti che avrebbe inficiato la procedura amministrativa, dall’immissione in possesso sino al decreto d’espropriazione, come detto, è stato ravvisato – e posto a fondamento dell’atto di citazione notificato il 22.12.97 che introdusse il giudizio risarcitorio relativo ai danni lamentati per l’occupazione definitiva e per l’irreversibile trasformazione degli immobili – nella mancata indicazione dei termini d’inizio, di ultimazione dei lavori e delle espropriazioni.

Ora, dato che non è dubbia la formazione del giudicato esterno implicito sulla piena legittimità della procedura d’occupazione temporanea (lamentando i ricorrenti l’illegittimità delle fasi successive, inerenti alla proroga biennale ed al successivo decreto d’espropriazione) è evidente che il suddetto vizio non è configurabile in quanto escluso dallo stesso giudicato.

Emerge dunque l’evidente contraddittorietà della motivazione adottata dal Tribunale nella parte in cui ha inteso, in sostanza, scindere la prima parte della procedura d’occupazione temporanea da quella successiva, conseguente alla proroga biennale, senza tener conto della reale estensione dell’efficacia del giudicato in questione.

Giova peraltro rilevare che, pur prescindendo dal giudicato, le doglianze dei ricorrenti non meritano accoglimento alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la proroga legale del termine dell’occupazione d’urgenza opera nonostante si sia già verificata l’irreversibile trasformazione dell’area occupata, sicchè, fino a quando tale termine originario o prorogato non sia spirato, il proprietario null’altro può pretendere se non la corresponsione della relativa indennità ed è sempre possibile l’emanazione del decreto di espropriazione di un’area che continua ad appartenere all’originario proprietario (Cass., n. 33227/19; n. 19601/16; n. 556/2010).

Il quarto motivo è assorbito dal rigetto dei primi tre motivi. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del Comune controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida nella somma di Euro 10200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% per rimborso forfettario delle spese generali, e oneri accessori.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2021

 

 

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