Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9266 del 19/04/2010

Cassazione civile sez. III, 19/04/2010, (ud. 23/03/2010, dep. 19/04/2010), n.9266

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Consiglie – –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consiglie – –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 8337/2006 proposto da:

A.G. (OMISSIS), C.G. in

persona del figlio A.D., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA MONTE DELLE GIOIE 13, presso lo studio dell’avvocato

VALENSISE Carolina, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato BERTELLO UGO giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

T.G., TO.GI., T.L.,

T.V., TO.LA., T.A.,

R.A., T.D., T.S., M.

E., S.L., G.C., W.E.;

– intimati –

sul ricorso 13129/2006 proposto da:

T.G. (OMISSIS), TO.GI.

(OMISSIS), T.L. (OMISSIS), T.

V. (OMISSIS), TO.LA. (OMISSIS),

T.A. (OMISSIS), R.A.

(OMISSIS), T.D. (OMISSIS), T.

S. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

ATTILIO FRIGGERI 106, presso lo studio dell’avvocato TAMPONI MICHELE,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato GARBAGNATI LUIGI

giusta delega in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrenti –

contro

A.G., A.D., M.E., S.

L., G.C., W.E.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 664/2005 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

SEZIONE AGRARIA, emessa il 21/4/2005, depositata il 01/06/2005,

R.G.N. 1738/00;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

23/03/2010 dal Consigliere Dott. MARIO FINOCCHIARO;

udito l’Avvocato DONATELLA GEROMEL per delega dell’Avvocato CAROLINA

VALENSISE;

udito l’Avvocato MICHELE TAMPONI per delega dell’Avvocato MICHELE

TAMPONI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MARINELLI Vincenzo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale, rigetto dell’incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso 22 giugno 1998 gli eredi di TO.Ag. hanno convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Biella, sezione specializzata agraria, A.G. e C.G., chiedendone la condanna al pagamento della somma di L. 411.466.488, quale importo (comprensivo di rivalutazione ed interessi) eccedente l’equo canone corrisposto da TO.Ag. alla societa’ S.I.B.A. s.p.a. per l’affitto del fondo agricolo denominato ” (OMISSIS)” in (OMISSIS) negli anni dal 1970 al 1977.

Hanno esposto gli attori – a fondamento della spiegata domanda – che i convenuti A. e C., nel (OMISSIS), avevano acquistato la totalita’ delle azioni della S.I.B.A. s.p.a., divenendo poi assegnatari dei beni sociali a seguito di liquidazione nella misura rispettivamente del 55% e del 45%, con accollo nelle stesse proporzioni delle passivita’ e delle eventuali sopravvenienze passive, contro ritiro e annullamento delle azioni dai soci possedute.

A.G. e C.G. costituitisi in giudizio hanno chiesto, preliminarmente termine per la chiamata in causa di G.P., S.G., O.L.F., M.L. e R.M., dai quali intendevano essere garantiti, nella loro qualita’ di azionisti della S.I.B.A., che avevano trasferito loro le azioni della societa’ e avevano assunto a proprio carico tutti gli eventuali debiti in essere, maturati e maturandi a tutto il 31 dicembre 1977, secondo le risultanze di una scrittura privata prodotta.

L’ A. e la C. hanno eccepito – comunque – in via preliminare la prescrizione del diritto azionato dagli attori e hanno chiesto, nel merito, la reiezione di ogni domanda dagli stessi proposta, proponendo domanda riconvenzionale per ottenere il pagamento della differenza tra canoni corrisposti e quelli dovuti per le annate agrarie dal 1978/79 al 1996/97.

Disposta la chiamata in causa dei terzi, questi ultimi si sono costituiti eccependo la incompetenza per materia della sezione specializzata agraria e comunque l’incompetenza per territorio del Tribunale di Biella e chiedendo nel merito la reiezione delle domande proposte nei loro confronti.

Svoltasi la istruttoria del caso con sentenza del 30 novembre 1999 la adita sezione agraria ha rigettato la domanda attrice e, per l’effetto, quella dei convenuti nei confronti dei terzi intervenuti, dichiarando improponibile la domanda riconvenzionale di parte convenuta e compensate integralmente tra tutte le parti le spese processuali.

Gravata tale pronunzia in via principale da T.A., TO.Gi., T.G., TO.La., T.L., eredi di T.P., T.V., R.S., R.A., P.F. e T. S., e, in via incidentale, da A.G. e C. G., nel contraddittorio, altresi’, di M.E., S.L., G.C. e W.E., la Corte di appello di Torino, sezione specializzata agraria, con sentenza 21 aprile – 1 giugno 2005, ha rigettato sia l’appello principale che quello incidentale.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, non notificata, hanno proposto ricorso, affidato a un unico, complesso, motivo, illustrato da memoria, A.G. e C.G., con atto 9 marzo 2006 e date successive.

Resistono con controricorso e ricorso incidentale affidato a un unico motivo e illustrato da memoria, T.A., TO. G., T.G., TO.La., T. G., T.V., R.A., T. D. e T.S..

Non hanno svolto attivita’ difensiva in questa sede gli altri intimati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I vari ricorsi, avverso la stessa sentenza devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

2. A fronte della domanda principale (proposta dagli eredi di T.A.) diretta a ottenere la restituzione delle somme eccedenti l’equo canone corrisposte dal proprio dante causa in costanza del rapporto di affitto e a quella riconvenzionale (formulata da A.G. e C.G.) diretta a ottenere la differenza tra i canoni corrisposti e quelli convenzionalmente dovuti per le annate agrarie dal 1978-79 a 1996-97, i giudici del merito hanno rigettato sia la prima che la seconda.

La domanda principale – hanno precisato quei giudici – deve essere rigettata, atteso che a seguito della dichiarata illegittimita’ costituzionale delle norme in tema di equo canone contenute nella L. n. 203 del 1982 (per effetto della sentenza n. 318 del 2002) non esistendo piu’ livelli massimi di equita’ stabiliti dalle tabelle previste dalla legge sui contratti agrari 3 maggio 1982, n. 203, non ha alcun fondamento la domanda formulata dal conduttore ai sensi della L. 11 febbraio 1971, n. 11, art. 26 e diretta alla ripetizione delle somme corrisposte in eccedenza rispetto ai menzionati livelli, in forza di accordi liberamente intervenuti tra le parti, anche senza la assistenza delle rispettive organizzazioni professionali agricole.

Quanto alla, domanda riconvenzionale la stessa e’ stata rigettata perche’ improponibile.

Premesso che tale pretesa era qualificabile come azione di perequazione, ai sensi della L. n. 11 del 1971, art. 8, che ha modificato la L. 12 giugno 1962, n. 587, art. 7 – cioe’ diretta a ottenere la esatta determinazione del canone con riferimento alle caratteristiche oggettive del fondo e in relazione alla zona agraria in cui lo stesso e’ ubicato – i giudici del merito hanno osservato che la stessa deve essere proposta nel quadriennio (per effetto dell’art. 9 della 1. 3 maggio 1982, n. 203 triennio) di applicazione delle tabelle determinate dalla commissione tecnica provinciale, mentre nella specie la domanda stata proposta unicamente con memoria 8 settembre 1998.

3. Con l’unico motivo i ricorrenti principali censurano la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha rigettato la loro domanda lamentando “violazione e falsa applicazione della L. 11 febbraio 1971, n. 11, art. 8 degli artt. 1173, 1322 e 1587 c.c., e dell’art. 112 c.p.c., nonche’ insufficiente e contraddittoria motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)”.

4. Questa essendo la censura prospettata dai ricorrenti principali, osserva la Corte che nella specie e’ pacifico – in linea di fatto – tra le parti:

– da un lato, che tra le parti era stato pattuito un canone, per l’affitto del fondo gia’ condotto dal T. diverso e maggiore di quello previsto dalle tabelle dell’equo canone;

– dall’altro, che nel corso del rapporto il conduttore ha proceduto, unilateralmente, a una auto riduzione del canone, ritenendo eccessivo quello convenzionale.

4.2. Anteriormente al giudizio, ai sensi e per gli effetti del tentativo di conciliazione di cui alla L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 46 – ancora – gli odierni ricorrenti principali hanno comunicato alle controparti la propria intenzione di adire la sezione specializzata agraria al fine “di fare determinare il canone di affitto .. con richiesta decorrenza dalla richiesta di variazione della qualita’ catastale … e per ottenere la condanna al pagamento delle differenze che risultano a noi dovute”.

Successivamente, in sede giudiziaria, con la memoria 8 settembre 1998 gli stessi hanno chiesto la condanna delle controparti al pagamento di “tutte le somme che abbiano a risultare a essi spettanti a titolo di differenza tra i canoni corrisposti e quelli dovuti per le annate agrarii dal 1978-79 al 1996-97”.

4.3. Nelle more del giudizio di primo grado e’ intervenuta la sentenza 5 luglio 2002, n. 318 della Corte costituzionale che ha dichiarato la illegittimita’ costituzionale della L. 3 maggio 1982, n. 203, artt. 9 e 62.

“Il meccanismo di determinazione del canone di equo affitto di cui alla L. n. 203 del 1982, artt. 9 e 62, basato sul reddito dominicale risultante dal catasto terreni del 1939, rivalutato in base a meri coefficienti di moltiplicazione, risulta privo, ormai” – ha osservato nella specie la Corte costituzionale facendo riferimento alla propria anteriore giurisprudenza – “di qualsiasi razionale giustificazione, sia perche’ esistono dati catastali piu’ recenti ed attendibili ai quali fare eventualmente riferimento sia perche’ in ogni caso, a distanza di oltre un sessantennio dal suo impianto, quel catasto ha perso qualsiasi idoneita’ a rappresentare le effettive e diverse caratteristiche dei terreni agricoli, cosicche’ non puo’ sicuramente essere posto a base di una disciplina dei contratti agrari rispettosa della garanzia costituzionale della proprieta’ terriera privata e tale da soddisfare, nello stesso tempo, la finalita’ della instaurazione di equi rapporti sociali, imposta dall’art. 44 Cost.”.

“Esula, evidentemente” ha concluso la propria indagine sul punto la Corte costituzionale “dai poteri di questa Corte la scelta di un diverso criterio di calcolo del canone di equo affitto, in quanto riservata per sua natura alla discrezionalita’ del legislatore, ne’ puo’ d’altro canto ipotizzarsi la caducazione del solo art. 62 della legge, contenente il rinvio al catasto del 1939, atteso che i coefficienti di moltiplicazione previsti dall’art. 9 sono stati individuati dal legislatore proprio in funzione della vetusta’ del catasto di riferimento, cosicche’ sarebbe del tutto ingiustificata la pura e semplice applicazione di quei coefficienti ai valori risultanti dalla piu’ recente revisione degli estimi”.

4.4. In applicazione della ricordata pronunzia la pacifica giurisprudenza di questa Corte regolatrice e’ costante nell’affermare che per effetto della declaratoria di incostituzionalita’ di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 318 del 2002, sono divenute prive di effetti sia le tabelle per il canone di equo affitto come disciplinate dalla L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 9, e dalle norme da questo richiamate, sia, ai fini della quantificazione del canone stesso, i redditi dominicali stabiliti – ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 62 – a norma del R.D.L. 4 aprile 1939, n. 589;

conseguentemente, non esistendo piu’ livelli massimi di equita’ stabiliti dalle dette tabelle, deve considerarsi priva di fondamento la domanda diretta, ai sensi della L. 11 febbraio 1971, n. 11, art. 28, alla quantificazione dell’equo canone e, eventualmente, alla ripetizione delle somme corrisposte in eccedenza ai menzionati livelli o a reclamare somme ulteriori rispetto a quelle gia’ corrisposte, in forza di accordi liberamente intervenuti tra le parti, anche senza l’assistenza delle rispettive organizzazioni professionali agricole (Cass. 19 novembre 2007, n. 23391; Cass. 14 novembre 2008, n. 27264, tra le tantissime).

5. Certo quanto precede e’ palese che il motivo, in esame, e’ manifestamente fondato.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

4.1. In primis deve escludersi – come pur si prospetta dalla difesa dei contro ricorrenti – che sussiste una contraddizione tra la domanda “anticipata” nella richiesta della L. 3 maggio 1982, n. 203, ex art. 46, cioe’ ai fini del “tentativo di conciliazione” e quella come formulata in giudizio.

A prescindere da ogni altra considerazione il tentativo di conciliazione e la domanda riconvenzionale sono state proposte nel 1998, anteriormente alla sentenza n. 318 del 2002 della Corte costituzionale e’ sufficiente tenere presente che in entrambe le occasioni gli odierni ricorrenti principali hanno sollecitato la condanna delle controparti al pagamento di “tutte le somme che abbiano a risultare a essi spettanti a titolo di differenza tra i canoni corrisposti e quelli dovuti per le annate agraria dal 1978-79 al 1996-97”.

Ne’ e’ rilevante che – per ipotesi – coordinando le varie proposizioni svolte nella lettera all’Ispettorato si ricava che in questa la pretesa e’ di contenuto – quantitativo – meno ampio di quella formulata in sede giudiziaria.

Non si dubita, infatti, che la diversa quantificazione o specificazione della pretesa, fermi i fatti costitutivi di essa, non comporta prospettazione di una nuova causa petendi, ma integra una mera emendatio che come e’ ammissibile nel corso del giudizio di primo grado (cfr., da ultimo, Cass. 26 gennaio 2010, n. 1562) nonche’ in grado di appello (cfr. Cass. 28 giugno 2006, n. 14961; Cass. 30 novembre 2005, n. 26079) cosi’, a maggior ragione, deve ritenersi consentita nei rapporti tra la richiesta come formulata nella raccomandata di cui al della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 46, comma 1, e la successiva articolazione in sede giudiziaria.

4.2. Come evidenziato in precedenza, in sede giudiziale gli odierni ricorrenti principali hanno chiesto, gia’ in primo grado, la condanna della controparte al pagamento di “tutte le somme che abbiano a risultare a essi spettanti a titolo di differenza tra i canoni corrisposti e quelli dovuti per le annate agraria dal 1978-79 al 1996- 97” (cfr., al riguardo quanto riferito dalla difesa degli stessi ricorrenti incidentali).

I giudici del merito hanno rigettato tale domanda, sul rilievo che era stata proposta una domanda di “perequazione del canone”, cioe’ ai sensi della L. 12 giugno 1962, n. 567.

Hanno, in particolare, affermato quei giudici che una tale domanda, per alcuni anni, era improponibile (perche’ proposta dopo un quadriennio di applicazione delle tabelle determinate dalle commissione tecnica provinciale), per altri, perche’ infondata nel merito.

4.3. Come puntualmente denunziato dai ricorrenti principali i giudici di appello sono incorsi in palese violazione di legge.

Recita la L. 12 giugno 1962, n. 567, art. 7, nel testo come sostituito dalla L. 11 febbraio 1971, n. 11, art. 8: “qualora il canone convenuto non sia contenuto, sia all’inizio che durante il corso del contratto, entro i limiti determinati dalla commissione tecnica provinciale a norma dei precedenti articoli, ciascuna delle parti puo’ adire, durante il biennio di applicazione delle tabelle, la sezione specializzata del tribunale per l’equo canone, la quale determinera’ il nuovo canone entro i limiti suddetti”.

Certo quanto sopra e’ palese che in tanto i giudici di secondo grado avrebbero potuto fare applicazione, nell’anno 2005 e’ stata data lettura del dispositivo della sentenza impugnata il 21 aprile 2005, della norma sopra trascritta in quanto avessero, in precedenza, accertato la persistente operativita’ – al momento della loro pronunzia – dei canoni massimi come determinati dalla Commissione tecnica provinciale (da cui la possibilita’ per il giudice adito di procedere alla sollecitata perequazione o di rigettare la domanda o, ancora, di ritenerla improponibile, per essere la parte che la propone, decaduta dalla stessa).

In realta’ il giudice a quo doveva – ex officio – tenere presente gli accertamenti dallo stesso gia’ compiuti in sede di esame della domanda T. allorche’ (pagine 12 – 13 della sentenza impugnata) ha precisato che a seguito della sentenza n. 318 del 2002 della Corte costituzionale:

– “non esistendo piu’ livelli massimi di equita’”, “non ha alcun fondamento la domanda formulata dal conduttore ai sensi della L. 11 febbraio 1971, n. 11, art. 28 e diretta alla ripetizione delle somme corrisposte in eccedenza ai menzionati livelli”;

– “deve escludersi che per effetto della pronuncia n. 318 del 2002 della Corte costituzionale debba farsi applicazione della disciplina contenuta nella L. 12 giugno 1962, n. 567”.

In altri termini, per effetto della piu’ volte ricordata sentenza 5 luglio 2002, n. 318 della Corte costituzionale, come e’ precluso, all’autorita’ giudiziaria, esaminare, nel merito, domande formulate ai sensi della L. 11 febbraio 1971, n. 11, art. 28, allorche’ dirette a ottenere le restituzione di somme pagate dal conduttore oltre i “livelli massimi di equita’”, cosi’ non possono essere esaminate (ne’ per essere accolte perche’ fondate, ne’ per essere rigettate in assenza dei relativi requisiti o per essere dichiarate precluse per intervenuta decadenza) eventuali domande – comunque denominate – ai sensi della L. 12 giugno 1962, n. 567, art. 7.

E’ evidente, concludendo sul punto, che la domanda degli odierni ricorrenti principali (condanna della controparte al pagamento di “tutte le somme che abbiano a risultare a essi spettanti a titolo di differenza tra i canoni corrisposti e quelli dovuti per le annate agraria dal 1978-79 al 1996-97”) non poteva che essere esaminata alla luce della normativa vigente al momento della pronunzia e tenendo, quindi, presente della sentenza n. 318 del 2002 in forza del quale i canoni “dovuti” nell’ambito dei contratti di affitto agrario sono quelli liberamente convenuti tra le parti, ancorche’ senza l’intervento delle associazioni professionali agricole (cfr. Cass. 14 novembre 2008, n. 27264, specie in motivazione).

5. All’accoglimento del ricorso principale segue la cassazione, nella parte de qua, della sentenza impugnata con assorbimento del ricorso incidentale (relativo all’onere delle spese) e rimessione della causa, per nuovo esame, alla luce dei principi di diritto di cui sopra, alla stessa corte di appello di Torino, sezione specializzata agraria, in diversa composizione.

Il giudice di rinvio provvedere, altresi’, sulle spese di questo giudizio di cassazione.

PQM

LA CORTE riunisce i ricorsi;

accoglie il ricorso principale;

dichiara assorbito quello incidentale;

cassa in relazione al ricorso accolto la sentenza impugnata;

rinvia la causa, per nuovo esame, alla stessa Corte di appello di Torino, sezione specializzata agraria, in diversa composizione, che provvedere, altresi’, sulle spese di questo giudizio di cassazione.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 23 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2010

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