Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9266 del 17/04/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 9266 Anno 2013
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: VALITUTTI ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 8908-2008 proposto da:
AGRIMPEX SAS in persona del legale rappresentante pro
elettivamente domiciliato in ROMA VIA

tempore,

COSSERIA 5, presso lo studio dell’avvocato TRICERRI
LAURA,

rappresentato e difeso dagli avvocati DISO

CORRADO, DI GIANNI FABRIZIO giusta delega in calce;

ricorrente

contro
AGENZIA DELLE

DOGANE

in

pornona

del

Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI

12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

Data pubblicazione: 17/04/2013

- con troricorrente nonchè contro

AGENZIA DELLE DOGANE UFFICIO DI TRIESTE;
– intimato –

sul ricorso 17262-2012 proposto da:
AGRIMPEX SAS in persona del legale rappresentante pro

COSSERIA 5, presso lo studio dell’avvocato TRICERRI
LAURA, rappresentato e difeso dall’avvocato DISO
CORRADO giusta delega a margine;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE DOGANE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– con troricorrente –

avverso

la

sentenza

n.

153/2006

depositata

1’08/02/2007, avverso la sentenza n. 55/2011
depositata il 25/05/2011 della COMM.TRIB.REG. di
TRIESTE;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 25/02/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
VALITUTTI;
udito per il ricorrente l’Avvocato DISO che ha
chiesto l’accoglimento;

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

udito per il controricorrente l’Avvocato ALBENZIO che
‘ ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO che ha concluso

per il rigetto dei ricorsi.

PREMESSO IN FATTO.
1. Con sentenza n. 153/10/06, depositata 1’8.2.07, la
Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia accoglieva parzialmente l’appello proposto dall’
Agenzia delle Dogane di Trieste avverso la decisione di
primo grado, con la quale era stato accolto il ricorso
proposto dalla Agrimpex s.a.s. nei confronti degli avvisi
di accertamento e di rettifica, relativi al pagamento dei
dazi doganali afferenti ad importazioni di zucchero proveniente dalla Croazia, effettuate dal 5.9.01 al 23.7.02.
2. La CTR – in parziale riforma della decisione di prime
cure – riteneva, invero, che non fosse operante – nel caso di specie, con riferimento alle importazioni effettuate dopo il 26.6.02 – l’esimente comunitaria della buona
fede, ai sensi dell’art. 220, n. 2, lett. b) del Regolamento CE n. 2913/92, essendo stato pubblicato, in tale
data, sulla Gazzetta Ufficiale della CE, un avviso con il
quale gli importatori venivano resi edotti del fatto che
vi erano ragionevoli dubbi sulla regolarità delle importazioni preferenziali di zucchero provenienti dai Paesi
balcanici.
3. Con successiva sentenza n. 55/11/11, depositata il
25.5.11, la Commissione Tributaria Regionale del Friuli
Venezia Giulia rigettava l’appello proposto dalla Agrimpex s.a.s. avverso la decisione di primo grado, con la
quale era stato parzialmente accolto il ricorso proposto
dalla contribuente nei confronti dell’avviso di irrogazione sanzioni, relativo al pagamento dei dazi doganali
afferenti ad importazioni di zucchero proveniente dalla
Croazia, effettuate negli anni 2001 e 2002
4. La CTR – confermando la decisione di prime cure – riteneva, invero, sussistente l’elemento soggettivo per
l’irrogazione delle sanzioni, ai sensi dell’art. 5 d.lgs.
472/97, dovendo reputarsi non operante – nel caso di specie, con riferimento alle importazioni effettuate dopo il
26.6.02 – l’esimente comunitaria della buona fede, ai
sensi dell’art. 220, n. 2, lett. b) del Regolamento CE n.
2913/92, essendo stato pubblicato, in tale data, sulla
Gazzetta Ufficiale della CE, un avviso con il quale gli
importatori venivano resi edotti del fatto che vi erano
ragionevoli dubbi sulla regolarità delle importazioni
preferenziali di zucchero provenienti dai Paesi balcanici
4.1. Il giudice di appello, riteneva, inoltre, applicabile, nel caso concreto, il disposto dell’art. 303 d.lgs.
43/73, benchè la difformità sanzionata riguardasse, non
la quantità, qualità e valore delle merci, bensì
l’origine del prodotto importato.
5. Per la cassazione della sentenza n. 153/10/06 ha proposto ricorso la Agrimpex s.a.s. affidato a cinque motivi, ai quali l’Agenzia delle Entrate ha replicato con
controricorso. La ricorrente ha depositato memoria ex
art. 378 c.p.c.
6. Per la cassazione della sentenza n. 55/11/11 la Agrimpex s.a.s. ha proposto, altresì, autonomo e successivo
ricorso, affidato a tre motivi, ai quali l’Agenzia delle
Entrate ha replicato con controricorso.

OSSERVA IN DIRITTO.
1. La vicenda processuale trae origine da talune operazioni di importazione di zucchero, dichiarato originario
della Croazia, effettuate presso la Dogana di Trieste
dalla Agrimpex s.a.s., tra il 5.9.01 ed il 23.7.02. La
merce veniva presentata all’autorità doganale italiana
con il corredo, oltre che della documentazione commerciale e di trasporto, dei certificati EUR l, rilasciati dalle autorità doganali croate su richiesta della ditta
esportatrice IPK Tvornica Secera di Osijek, al fine di
comprovare l’origine e la provenienza croata della merce,
indispensabile per fruire dell’esenzione daziaria prevista dal Protocollo IV dell’Accordo interinale sugli scambi e sulle questioni commerciali tra la Comunità Europea
e la Repubblica di Croazia, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea n. 330 del 14.12.01.
In data 26.2.02, peraltro, era stato pubblicato sulla
stessa Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea (in prosieguo G. U. C.E.) uno specifico avviso agli importatori,
mediante il quale questi ultimi venivano resi edotti del
fatto che sussisteva un “ragionevole dubbio” in ordine
alla corretta applicazione degli accordi preferenziali
relativi allo zucchero proveniente dai Paesi Balcanici, e
segnatamente – per quel che interessa in questa sede dalla Croazia. I dubbi in parola derivavano dall’anomala
alterazione, riscontrata dagli organismi comunitari, dei
flussi di zucchero in entrata ed in uscita da tali Paesi,
che induceva nella Commissione Europea il sospetto di
possibili frodi nell’applicazione del regime di esenzione
daziaria della merce in questione.
In conseguenza di siffatta pubblicazione, e nell’ incertezza circa l’origine effettiva della merce, le autorità
doganali italiane disponevano, pertanto, che le importazioni di zucchero aventi l’origine suindicata avvenissero, nel caso concreto, con le modalità del cd. “daziato
sospeso”, ai sensi dell’art. 164 del r. d. n. 65/1896,
ovverosia con l’immissione della merce in libera pratica
nel territorio comunitario, contro prestazione di idonee
garanzie (cauzioni o fideiussioni bancarie o assicurative). Queste ultime venivano, peraltro, svincolate a seguito del controllo a posteriori, ex art. 78 del Codice
Doganale Comunitario di cui al Regolamento CE n. 2913/92
(in prosieguo CDC), operato dalle autorità croate – su
richiesta della Dogana italiana – sulle certificazioni
EUR l, a suo tempo emesse a comprova dell’origine preferenziale dello zucchero importato; controllo che – invero – confermava, almeno in quella fase, l’autenticità di
tali documenti.
Senonchè, a seguito della nota dell’OLAF del 22.9.03,
nella quale l’Organismo comunitario antifrode riferiva di
indagini effettuate presso la ditta esportatrice IPK,
dalle quali era emerso che gran parte dello zucchero
esportato era stato fabbricato utilizzando un misto di
canna grezza brasiliana e barbabietola croata, le autorità dello Stato esportatore comunicavano – con nota del
25.5.04 – l’avvenuta “revoca” di alcuni certificati EUR
l, concernenti proprio le importazioni in discussione.

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1.1. L’autorità doganale italiana avviava, pertanto, le
procedure di contabilizzazione e riscossione a posteriori
dei maggiori diritti dovuti, in conseguenza del ritiro
dei suddetti certificati di origine preferenziale della
merce importata, essendo – in tal modo – venuto meno il
regime daziario preferenziale. E tali operazioni si concludevano con l’emissione, nei confronti della Agrimpex
s.a.s., quale società importatrice, di diversi avvisi di
accertamento suppletivo e di rettifica, con i quali
l’Amministrazione doganale provvedeva alla riliquidazione
dei diritti di confine e relativi interessi e sanzioni,
in relazione a ciascuna delle operazioni di importazioni
effettuate.
1.2. Gli atti impositivi venivano, quindi, impugnato dalla contribuente dinanzi alla CTP di Trieste, lamentando
la carenza di motivazione del provvedimento e, comunque,
il difetto di prova della fondatezza del recupero a tassazione, e contestando, altresì, la mancata applicazione,
da parte dell’Amministrazione, dell’art. 220 CDC, in applicazione del più generale principio di tutela
dell’affidamento incolpevole, immanente nella normazione
comunitaria. La CTP adita accoglieva il ricorso.
Sull’appello dell’Agenzia delle Dogane, la CTR del Friuli
Venezia Giulia – in parziale accoglimento del gravame riformava parzialmente la sentenza di prime cure, dichiarando dovuti dalla Agrimpex s.a.s. i diritti doganali per
le importazioni operate dopo il 26.6.02, data di pubblicazione del predetto avviso sulla G.U.C.E.
1.3. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la contribuente, articolando cinque motivi, ai
quali l’Amministrazione ha replicato con controricorso.
2. Successivamente alla notifica degli avvisi di accertamento summenzionati, l’Agenzia delle Dogane emetteva,
inoltre, un atto di irrogazione di sanzioni amministrative, per l’importo di
5.121.891,00, irrogate ai sensi
dell’art. 303 d.P.R. n. 43/73, e corrispondenti ai dazi
doganali risultati evasi.
2.1. Anche tale atto veniva, quindi, impugnato dalla contribuente presso la CTP di Trieste, contestando la sussistenza della violazione, per carenza dell’elemento psicologico, nonché per la ritenuta inapplicabilità del disposto del succitata art. 303, norma che – a parere della
Agrimpex – si riferirebbe alle violazioni concernenti
differenze di quantità, qualità e valore delle merci importate, ma non anche l’origine delle stesse. In via subordinata, la contribuente chiedeva l’applicazione
dell’esimente comunitaria della buona fede, ai sensi
dell’art. 220 CDC.
La CTP adita accoglieva parzialmente il ricorso, limitando le sanzioni alle importazioni operate in data successiva al 26.6.02, in conformità, dunque, alla decisione
emessa dalla CTR nella causa concernente la pretesa tributaria sostanziale.
2.2. L’appello proposto dalla Agrimpex s.a.s. – che ribadiva, nella sostanza, le difese svolte in prime cure veniva disatteso dalla CTR del Friuli Venezia Giulia, con

la sentenza n. 55/11/11, gravata da ricorso per cassazione della contribuente, affidato a tre motivi.
3. In via pregiudiziale, rileva la Corte che ricorre
l’evidente opportunità di procedere alla riunione dei due
ricorsi proposti dalla stessa Agrimpex s.a.s. avverso le
sentenze nn. 153/10/06 e 55/11/11, aventi ad oggetto, la
prima, la decisione di appello relativa agli avvisi di
accertamento e di rettifica attinenti al pagamento dei
dazi doganali afferenti ad importazioni di zucchero proveniente dalla Croazia, effettuate dalla ricorrente, la
seconda, la sentenza di appello concernente il successivo
avviso di irrogazione sanzioni, relativo al pagamento dei
dazi doganali accertati dall’Amministrazione.
3.1. Va – per vero – osservato, in proposito, che la riunione delle impugnazioni, che è obbligatoria, ai sensi
dell’art. 335 c.p.c., ove investano lo stesso provvedimento, può altresì essere facoltativamente disposta, anche in sede di legittimità, ove esse siano proposte contro provvedimenti diversi, ma fra loro connessi, quando
la loro trattazione separata prospetti l’eventualità di
soluzioni contrastanti, o siano ravvisabili ragioni di
economia processuale, ovvero siano configurabili profili
di unitarietà sostanziale e processuale delle controversie (cfr. Cass.S.U. 18050/10, 1521/13).
3.2. Nel caso concreto, i due giudizi – pervenuti separatamente, ma contestualmente, all’esame di questa Corte presentano evidenti profili di connessione soggettiva,
essendo pendenti tra le medesime parti, nonché oggettiva,
ponendosi il giudizio relativo alla pretesa sostanziale
dell’Agenzia delle Dogane in ordine ai dazi non riscossi,
in rapporto di pregiudizialità logico-giuridica con il
processo che ha ad oggetto le sanzioni per il mancato pagamento dei diritti doganali accertati.
Di conseguenza, i due ricorsi devono essere riuniti e
trattati congiuntamente.
4. Premesso quanto precede, e prendendo le mosse dal ricorso proposto avverso la sentenza n. 153/10/06, va rilevato che, con i cinque motivi di ricorso – che, attesa la
loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente
– la Agrimpex s.a.s. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 220 CDC, sotto diversi profili, in
relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché l’omessa e
contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.
4.1. Assume, invero, la ricorrente che la revisione a posteriori della dichiarazione di importazione, in un momento successivo alla concessione dello svincolo delle
merci da parte dell’autorità doganale, ai sensi dell’art.
78 CDC sarebbe possibile per una sola volta, dopo che il
controllo in Dogana della dichiarazione all’importazione
abbia dato esito positivo per il contribuente. Sarebbe,
invero, contrario ai principi di proporzionalità e di tutela del legittimo affidamento, dare corso a tale ulteriore revisione, a seguito della revoca dei certificati
EUR l, e perfino una volta svincolata la garanzia rilasciata dall’importatore, all’esito del suddetto controllo
a posteriori della dichiarazione, allorquando ogni obbli-

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gazione doganale dovrebbe ritenersi, invece, definitivamente estinta.
4.2. Ad ogni buon conto, osserva la Agrimpex s.a.s. non
potrebbe – in subordine – essere negata, nel caso concreto, l’applicazione dell’esimente comunitaria della buona
fede ex art. 220, n. 2, lett. b), per avere l’importatore
confidato, senza sua colpa, nella validità dei certificati di origine emessi dalle autorità doganali croate. Tale
esimente, invero, non potrebbe comunque essere esclusa, a
parere della società contribuente, per il solo fatto
dell’avvenuta pubblicazione
in data 26.2.02
dell’avviso agli importatori nella G.U.C.E., atteso che
tale pubblicazione, che – peraltro – si riferirebbe ad un
evento diverso da quello concernente i dubbi sull’origine
della merce importata, pur facendo venir meno la presunzione di buona fede dell’importatore, non escluderebbe,
comunque, che la comprovata diligenza nell’eseguire le
operazioni, e l’assenza di frode dell’interessato, debbano far concludere per l’esistenza della buona fede dello
stesso importatore. Tanto più che la ditta esportatrice
croata IPK era di proprietà statale, sicchè sarebbe stato
davvero arduo per la Agrimpex ipotizzare un suo coinvolgimento in possibili frodi alla Comunità Europea.
E, d’altro canto, l’avviso in questione, facendo un generico riferimento ad un “ragionevole dubbio”, in ordine
alla corretta applicazione del regime daziario preferenziale, non conterrebbe una disposizione riconducibile al
disposto dell’art. 220, co. 5 CDC, che fa riferimento a
“fondati dubbi” circa l’applicazione di tale regime daziario di favore.
4.3. La buona fede dell’importatore – a parere della ricorrente – dovrebbe, infine, sussistere al momento
dell’acquisto della merce, non potendo l’avviso agli importatori, pubblicato – come nel caso concreto – dopo
l’acquisto della massima parte dello zucchero, determinare il difetto di invocabilità della scriminante comunitaria in parola.
5. Il ricorso è infondato.
5.1. Va osservato, infatti, che, in materia di tributi
doganali, l’applicazione del regime di esenzione o riduzione daziaria presuppone la regolarità formale e sostanziale della documentazione relativa all’origine e/o alla
provenienza della merce che, in adempimento al principio
affermato dalla giurisprudenza comunitaria (C. Giust. CE,
14.5.96, C-153/94 e C- 204/94), può essere fornita unicamente attraverso il certificato EUR l, che è, tuttavia,
passibile di verifica da parte delle autorità doganali
dello Stato di destinazione. Con la conseguenza che, qualora le autorità doganali constatino la falsità dei certificati di origine e provenienza, devono procedere alla
contabilizzazione a posteriori dei dazi doganali (Cass.
23985/08, 4997/09, 13496/12). Resta salva, tuttavia,
l’ipotesi nella quale venga in rilievo lo stato soggettivo di buona fede dell’importatore, richiesto dall’art
220, co. 2, lett. b) C.D.C., ai fini dell’esenzione dalla
contabilizzazione a posteriori; stato soggettivo che,
tuttavia, non ha valenza esimente in re ipsa, ma solo in

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– 5 –

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quanto sia riconducibile ad una delle situazioni fattuali
individuate dalla normativa comunitaria, tra le quali va
annoverato anche l’errore incolpevole, ossia non rilevabile dal debitore di buona fede, nonostante la sua esperienza e diligenza. Nondimeno, tale errore, per assumere
rilievo scriminante, deve essere in ogni caso imputabile
a “comportamento attivo” delle autorità doganali, non
rientrandovi quello indotto da dichiarazioni inesatte
dello stesso operatore o di altri soggetti (cfr. Cass.
15297/08, 13680/09, 7837/10, 7674/12; in tal senso, v.
pure C. Giust. CE, n. 348/89, causa Mecanarte).
L’errore attivo, purchè non ragionevolmente rilevabile
dal debitore, si verifica, in particolare, quando esso
non venga ad essere determinato da una situazione inesatta riferita dall’esportatore, essendo del tutto evidente
che, in siffatta ipotesi, l’errore è indotto dalla dichiarazione del terzo e non può, pertanto, essere imputato a comportamento attivo della stessa autorità doganale
(cfr. Cass. 13483/12, 7674/12, C. Giust. UE, 8.11.2012
n. 438, secondo la quale l’onere della prova che il certificato di origine si basa su una situazione fattuale
riferita in maniera esatta dall’esportatore grava sul debitore). Inoltre, poiché l’esimente comunitaria in esame
presuppone la genuinità delle certificazioni poste a fondamento della richiesta di esenzione, ossia la loro correttezza formale e sostanziale, incombe, in ogni caso,
all’importatore che voglia fruire di detta esenzione, dimostrare l’esistenza cumulativa di tutti i presupposti
indicati dall’art. 220 C.D.C., mentre all’autorità doganale incombe esclusivamente l’onere di allegare e dimostrare l’irregolarità delle certificazioni presentate,
atteso che qualsiasi certificato che risulti inesatto autorizza, ed anzi impone, il recupero dell’imposta a posteriori (Cass. 15297/08, 13680/09, 15547/10, 1583/12, C.
Giust. UE, 438/12).
5.2. Tanto premesso in via di principio, osserva, tuttavia, la Corte che lo stato soggettivo di buona fede
dell’importatore, ex art. 220, n. 2, lett. b) del CDC, ai
fini dell’esenzione dalla contabilizzazione a posteriori
dei dazi doganali – come sopra descritto – non può essere
invocato, a tenore del co. 5 della disposizione in esame,
“qualora la Commissione europea abbia pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee un avviso in
cui sono segnalati fondati dubbi circa la corretta applicazione del regime preferenziale da parte del Paese beneficiario”. A tal riguardo, va – difatti – osservato che,
ai sensi dell’undicesimo “considerando” del Regolamento
n. 2700/00, che modifica il CDC n. 2913/92, “il debitore
non dovrebbe essere responsabile di un cattivo funzionamento del sistema dovuto ad un errore commesso dalle autorità di un Paese terzo”, allorquando detto errore sia
dovuto, non ad una richiesta contenente informazioni inesatte, bensì ad un errore attivo della stessa autorità
doganale. E, di conseguenza, secondo il “considerando” in
esame “il debitore può invocare la buona fede, se può dimostrare di avere dato prova di diligenza, a meno che non
sia stato pubblicato nella G.U.C.E. un avviso che segnala

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fondati dubbi”. E’ fin troppo evidente, infatti, che in
tale ultima ipotesi la buona fede dell’importatore verrebbe ad essere elisa in radice, laddove il medesimo compia un’operazione di importazione, nonostante la pubblicazione di un avviso di tal fatta.
5.3. Ebbene, nel caso concreto, è del tutto incontroverso
tra le parti che in data 26.6.02, sia stato pubblicato
sulla G.U.C.E. un avviso agli importatori, con il quale
la Commissione Europea rendeva i medesimi edotti del fatto che sussisteva un “ragionevole dubbio in ordine alla
corretta applicazione degli accordi preferenziali relativi allo zucchero classificabile alle voci NC 1701 e NC
1702” proveniente da diversi Paesi balcanici, tra i quali
la Croazia. Il sospetto degli organi comunitari – esplicitato nell’avviso in discussione – traeva origine dal
constatato calo della produzione di zuccheri nei Paesi in
questione, cui aveva fatto, nondimeno, riscontro un “significativo e rapido aumento delle importazioni preferenziali di zucchero nella Comunità”, proveniente dai Paesi
balcanici, accompagnato, peraltro, da un aumento, più o
meno analogo, “delle esportazioni di zucchero dalla Comunità verso i Paesi della regione”. Tale constatazione
aveva, pertanto, indotto la Comunità a concludere che
siffatto andamento dei “flussi commerciali in entrambe le
direzioni” fosse da considerarsi “altamente artificiale”;
tanto più che alcune indicazioni raccolte dagli organismi
comunitari avrebbero ulteriormente avvalorato “l’ipotesi
della frode”, con pregiudizio delle risorse della Comunità Europea.
Di tanto la Commissione dava, pertanto, comunicazione
agli importatori, invitandoli ad assumere “tutte le precauzioni necessarie”, rendendoli consapevoli del fatto di
non poter contare sull’applicazione del regime doganale
preferenziale, ben potendo l’immissione della merce in
questione dare,
invero,
origine “all’insorgere di
un’obbligazione doganale e dare luogo ad una frode ai
danni degli interessi finanziari della Comunità”.
5.4. Ciò posto, osserva la Corte che, già sulla scorta
del tenore letterale dell’avviso succitato, deve escludersi la fondatezza dell’assunto della Agrimpex s.a.s.,
secondo la quale l’avviso in parola metterebbe “in guardia” gli importatori da una fattispecie diversa da quella
dell’effettiva origine croata della merce, consistente,
precisamente, nel traffico artificioso di zucchero, in
entrata ed in uscita dai Paesi balcanici. E’, per vero,
di chiara evidenza che il riferimento – contenuto
nell’avviso in questione – al rischio di insorgenza di
“un’obbligazione doganale”, in caso di immissione in libera pratica di detto zucchero “dichiarato al momento
dell’importazione come originario (…) della Croazia”,
sussistendo un “ragionevole dubbio in ordine alla corretta applicazione degli accordi preferenziali” in materia,
era chiaramente finalizzato a rendere edotti gli importatori proprio del pericolo che l’origine dello zucchero
non fosse quella attestata dai certificati di origine.
D’altro canto, in tal senso depongono, altresì, talune
Comunicazioni della Commissione Europea pubblicate – del

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pari – sulla G.U.JST.E. (Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea), l’ultima delle quali in data 30.12.12, n. 2012/C,
332/01, da cui si evince con evidenza che le misure che
la Commissione ha inteso adottare, in materia di importazioni soggette a regimi daziari preferenziali, “includono
l’uso più sistematico di un sistema di segnalazione tempestiva degli importatori qualora esista un dubbio fondato circa l’origine delle merci ammissibili ad un regime
tariffario preferenziale”. E tra gli avvisi agli importatori, pubblicati in passato sulla Gazzetta dell’Unione,
“in caso di dubbio fondato circa l’origine delle merci”,
è ricompreso, appunto, quello relativo alle “Importazioni
di zucchero nella Comunità originario dei paesi dei balcani occidentali”. Il fatto che l’avviso in parola mirasse a rendere edotti gli importatori circa i dubbi sussistenti in ordine all’origine dello zucchero importato dai
Balcani, non pare, pertanto, seriamente discutibile.
5.5. Sulla vicenda per cui è causa sono intervenute,
d’altro canto, anche importanti precisazioni, sia della
giurisprudenza Comunitaria che di quella nazionale.
5.5.1. Con specifico riferimento ad importazioni di zucchero dalla Croazia – come tali sottoposte al regime daziario preferenziale, ai sensi dell’Accordo CE-Croazia
summenzionato – effettuate dopo la pubblicazione del citato avviso del 26.6.02, ha avuto modo, invero, di pronunciarsi il Trib. Primo Grado CE, con la decisione
dell’8.10.08, T- 51/07, confermata in appello dalla decisione C. Giust. CE, 1.10.09 n. 552, 0-552/08.
Nella vicenda oggetto di esame da parte del Tribunale, a
seguito di indagini esperite dall’OLAF sullo zucchero di
asserita provenienza croata, emergeva che doveva essere
radicalmente esclusa l’origine e la provenienza dai Balcani di tale prodotto, con la conseguenza che le autorità
croate provvedevano a “revocare” tutti i certificati EUR
l, rilasciati in ordine allo zucchero in questione.
Orbene, il Tribunale muove – al riguardo – dalla considerazione del tenore “chiaro ed inequivocabile” del disposto dell’art. 220, n. 2, lett. b), co. 5 CDC, a norma del
quale la pubblicazione dell’avviso agli importatori, nella G.U.C.E., “non consente la possibilità che il debitore
dimostri la propria buona fede adottando misure supplementari al fine di assicurare l’autenticità e l’esattezza
dei certificati per l’applicazione del regime preferenziale”. Per il che, l'”effetto assoluto”, che lo stesso
Tribunale ascrive dell’avviso agli importatori, in punto
buona
fede
della
della
rilevanza
esclusione
dell’importatore, potrebbe essere temperato, “in circostanze eccezionali”, solo nel caso in cui l’operatore
economico alleghi di avere proceduto “in seguito alla
pubblicazione di un tale avviso, ma precedentemente
all’importazione, a misure supplementari di verifica che
hanno confermato l’origine delle merci”.
Ma nulla di tutto questo si è verificato nel caso di specie, nel quale – a ben vedere – la buona fede della
Agrimpex s.a.s. è ancorata dalla ricorrente piuttosto al
fatto che, per ogni singola operazione di importazione,
eseguita ad onta dell’ avvenuta pubblicazione dell’avviso

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ti

sulla Gazzetta ufficiale, i certificati EUR l erano stati
rimandati dalla Dogana di Trieste a quella di Osijek, che
ne aveva confermato l’autenticità, salvo, poi, provvedere
– a seguito di ulteriori accertamenti dell’OLAF – alla
loro revoca.
In altri termini, il fatto che la Dogana croata abbia, in
sede di prima revisione dei certificati, confermato la
loto autenticità, comporterebbe il permanere, o – quanto
meno – una sorta di reviviscenza della buona fede
dell’importatore, per il sopravvenuto comportamento confermativo dell’autorità doganale emittente i certificati
di origine della merce importata. La ricorrente fa leva,
inoltre, sulla circostanza che, essendo la ditta esportatrice, IPK Tvornica, un’azienda di Stato, la regolarità
dei certificati di origine emessi dalle autorità croate
su richiesta di quest’ultima non avrebbe potuto essere
ragionevolmente posta in discussione da parte dell’ importatore.
5.5.2. Tali assunti della Agrimpex s.a.s. sono, tuttavia,
palesemente privi di fondamento. La giurisprudenza comunitaria è – per vero – del tutto pacifica nell’affermare
che il debitore dei dazi doganali non può nutrire un “legittimo affidamento” quanto alla validità dei certificati
EUR l, per il fatto che essi siano stati ritenuti inizialmente veritieri e autentici da parte delle autorità
doganali dello Stato di esportazione, dovendo considerarsi, al riguardo, che le operazioni effettuate dagli uffici in questione, in relazione all’accettazione iniziale
delle dichiarazioni all’importazione, non ostano affatto
all’esercizio di controlli successivi da parte delle medesime autorità (cfr., in tal senso, Trib. Primo Grado
CE, 9.6.98, T-10/97 e T-11/97, C. Giust. CE, 9.3.06, C293/04).
D’altra parte, il co. 4 dell’art. 220 CDC prevede espressamente che la buona fede del debitore possa essere invocata “qualora questi possa dimostrare che, per la durata
delle operazioni commerciali in questione, ha agito con
diligenza per assicurarsi che sono state rispettate tutte
le condizioni per il trattamento preferenziale”. Ebbene,
la disposizione – nell’inequivoca lettura datane dalla
giurisprudenza comunitaria – non può che essere intesa
nel senso che il debitore deve essere in buona fede durante l’intera fase di compimento delle operazioni commerciali; il che equivale a dire che “la data determinante quando si prende in considerazione la buona fede del
debitore è quella dell’importazione” (Trib. Primo Grado,
8.10.08, cit., C. Giust. CE, 1.10.09, cit.).
Non rileva, pertanto, in alcun modo al riguardo – contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente – il fatto che
la merce fosse stata già in massima parte acquistata dalla Agrimpex al momento della pubblicazione del predetto
avviso agli importatori, atteso che è nel momento
dell’importazione, e non in quello dell’acquisto, e per
tutta la durata delle relative operazioni, che la buona
fede dell’operatore deve sussistere e permanere, per le
ragioni suindicate.

Nel caso di specie, pertanto, durante le operazioni di
importazione, per il corso delle quali l’importatore deve
mantenere un comportamento accorto e diligente, la Agrimpex s.a.s. – quanto meno per le importazioni in discussione, successive al 264.02 – era certamente del tutto
consapevole, stante l’avvenuta pubblicazione del menzionato avviso in tale data, del rischio che correva ponendo
in essere operazioni di importazione controverse quanto
all’origine della merce, ai fini dell’applicazione del
trattamento daziario preferenziale; e dunque – stante
l’inequivoco disposto del co. 5 dell’art. 220 CDC – la
medesima non poteva, in alcun modo, essere considerata in
buona fede.
Ed è di tutta evidenza che la conferma dei certificati
EUR l, da parte dell’autorità doganale croata in sede di
prima revisione, non avrebbe potuto far sorgere
nell’importatore la buona fede esclusa all’atto delle importazioni, a meno di non voler privare del tutto di significato il disposto dell’art. 220, co. 4 e 5 CDC (così
Trib. Primo Grado, 8.10.08, cit., C. Giust. CE, 1.10.09,
cit.).
5.5.3. Né può in alcun modo rilevare, a giudizio della
Corte, il fatto che la ditta esportatrice, IPK Tvornica
fosse un’azienda di Stato, per cui la regolarità dei certificati di origine emessi dalle autorità croate su richiesta di quest’ultima non avrebbe potuto essere, di
certo, posta in discussione da parte dell’importatore.
Per le ragioni suesposte, infatti, non può revocarsi in
dubbio che il solo elemento decisivo, ai fini della rilevanza della buona fede dell’importatore, sia l’avvenuta
pubblicazione dell’ avviso suddetto sulla G.U.C.E., suscettibile di per sé – per il rilievo che deve attribuirsi alla diligenza dell’operatore commerciale durante
l’intera fase delle operazioni di importazione – di elidere la buona fede dell’importatore medesimo, senza che
possa avere rilievo alcuna la natura pubblica o privata
del soggetto esportatore, la cui trasparenza, in ordine
alla richiesta dei certificati d’origine all’autorità doganale, sia messa in dubbio dagli organi comunitari con
l’avviso in discussione.
D’altro canto, dalla succitata decisione del Trib. Primo
Grado CE, 8.10.08 si evince, altresì, che – a seguito di
indagini dell’Olaf esperite nel giugno 2003 – era emerso
che i dubbi della Comunità, sulla stessa ditta IPK Tvornica di Osijek erano risultati pienamente fondati, essendo emerso che la medesima “utilizzava per la sua produzione anche zucchero di canna importato” e, quindi, non
dell’origine preferenziale croata, “senza che fosse possibile distinguere i vari lotti di zucchero gli uni dagli
altri”.
5.5.4. La sentenza in questione, inoltre, – dando, in tal
modo, risposta ad un ulteriore rilievo della ricorrente contiene una chiara ed inequivoca equiparazione del “ragionevole dubbio” di cui all’avviso del 26.6.02, ai “fondati dubbi” di cui all’art. 220, co. 5 CDC, laddove riconduce al mero fatto della pubblicazione dell’avviso
agli importatori l'”effetto assoluto” di escludere

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l’invocabilità dell’esimente comunitaria della buona fede. In altri termini, è la misura adottata, a prescindere
da eventuali imprecisioni linguistiche o di espressione,
a costituire – anche per la sua obiettiva conoscibilità
da parte degli operatori del settore – uno sbarramento
all’invocabilità della buona fede da parte degli operatori medesimi, in tal modo resi edotti dei dubbi esistenti
circa l’origine preferenziale dei prodotti importati.
5.5.5. Tutte le considerazioni che precedono inducono,
pertanto, la Corte a ribadire il principio – già affermato in una vicenda del tutto analoga alla presente (cfr.
Cass. 5387/12) – secondo cui, in tema di tributi doganali, lo stato soggettivo di buona fede dell’importatore
richiesto dall’art. 220, n. 2, lett. b), del Regolamento
CEE n. 2913/1992, ai fini dell’esenzione della contabilizzazione “a posteriori”, non può essere invocato qualora la Commissione abbia pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee, “anteriormente alle operazioni di importazione” (come è accaduto nel caso concreto), un avviso in cui sono segnalati fondati dubbi circa
la corretta applicazione del regime preferenziale da parte del paese beneficiario. A tanto induce, invero, – come
dianzi rilevato – la considerazione del chiaro ed inequivoco disposto del co. 5 del citato art. 220, n. 2, lett.
b), come novellato dal Regolamento CEE n. 2700 del 2000
adottato dal Consiglio in data 16.11.00, anche alla luce
della suesposta interpretazione fornita nell’undicesimo
“considerando” del medesimo Regolamento.
6. Ma la conclusione cui si è pervenuti, circa
l’infondatezza delle ragioni fatte valere dalla Agrimpex
s.a.s. si fonda anche su altri ordini di considerazioni,
implicati dalle ulteriori doglianze proposte dalla stessa
contribuente.
6.1. Ci si duole, invero, da parte della ricorrente, anche del fatto che l’autorità del Paese esportatore abbia
emesso un provvedimento di revoca dei certificati EUR l
solo successivamente alla revisione a posteriori delle
dichiarazioni doganali ex art. 78 CDC, e perfino allo
svincolo delle garanzie fideiussorie consegnate
dall’importatore, prima dell’immissione delle merci in
libera pratica in sospensione dei dazi doganali. Tale
condotta dell’ amministrazione doganale costituirebbe,
per vero, ad avviso della Agrimpex s.a.s. una palese violazione dei principi di tutela del legittimo affidamento
e di proporzionalità, atteso che, una volta svincolata la
garanzia rilasciata dall’importatore a seguito di controllo a posteriori del documento di origine, favorevole
all’operatore, ogni obbligazione doganale dovrebbe ritenersi definitivamente estinta.
6.2. Senonchè – contrariamente a quanto sostenuto dalla
ricorrente – deve ritenersi che l’Amministrazione ben
possa procedere a controllo “a posteriori” delle dichiarazioni, anche dopo lo svincolo della garanzia fideiussoria relativa alle merci interessate. Dal combinato disposto degli artt. 78, n. 3, 201, n. l, lett. a), 217, n. l,
co. l, 220, n. l, e 221, nn. l e 3, del Regolamento CEE
n. 2913/1992, si evince, infatti, che l’unico limite a

tale potere è costituito dal termine triennale di prescrizione per la comunicazione della contabilizzazione di
un diverso importo dei dazi (Cass. 5387/12), non essendo
l’Amministrazione di certo vincolata alla prima valutazione di autenticità dei certificati di origine EUR l,
effettuata in sede di revisione ex art. 78 CDC (cfr. C.
Giust. CE, 9.3.06, cit., che fa riferimento, al riguardo,
all’esercizio di “controlli successivi” da parte
dell’Amministrazione, dopo l’accettazione iniziale delle
dichiarazioni all’ importazione).
E neppure l’estinzione dell’obbligazione doganale, le cui
cause sono espressamente enunciate negli artt. 233 e 234
del citato Regolamento CE, potrebbe farsi in alcun modo
discendere, in via interpretativa, dalla tutela dell’affidamento dell’operatore economico – la cui sussistenza
è, peraltro, per le ragioni esposte, da escludersi nel
caso concreto – o dal disposto dell’art. 199 del medesimo
atto normativo. La norma da ultimo citata si limita, invero, a prevedere che “la garanzia non può essere svincolata finchè l’obbligazione doganale per la quale è stata
costituita non si è estinta o non può più sorgere. La garanzia deve essere svincolata non appena l’obbligazione
doganale è estinta o non può più sorgere”. Com’è del tutto evidente, pertanto, il disposto dell’art. 199 CDC non
fa che disciplinare un obbligo di restituzione della garanzia – che va, invece, mantenuta fino a quel momento non appena l’obbligazione doganale si sia estinta per una
delle cause previste dagli artt. 233 e 234 dello stesso
codice. Tale previsione integra, pertanto, una norma di
azione, tendente a regolare il comportamento della p.a.,
in caso di estinzione dell’obbligazione doganale (Cass.
5387/12), per una qualsiasi delle regioni elencate dal
CDC, non potendo da essa farsi, di contro, scaturire una
preclusione per l’Amministrazione doganale ad effettuare
– nel termine prescrizionale suindicato, il cui rispetto,
nel caso di specie, è incontroverso – successivi controlli sull’autenticità dei certificati EUR l, in un primo
tempo ritenuti autentici.
7. A tutto quanto precede, va – tuttavia – ancora soggiunto che un rilievo decisivo, ai fini del riscontro
della legittimità dell’atto impositivo emesso dall’ Agenzia delle Dogane nel caso concreto, assume altresì la
circostanza, del tutto pacifica nel giudizio, che i certificati EUR l, a suo tempo rilasciati dall’autorità doganale croata, siano stati successivamente da questa “revocati”, con nota del 25.5.04.
7.1. Secondo quanto si è in precedenza rilevato, invero,
la prova della provenienza della merce, ai fini dell’ applicazione del regime di agevolazioni tariffarie concesse
in base ad un regime preferenziale convenzionale, fondato
sull’origine dei beni importati, postula la prova certa
di tale origine, che può essere fornita solo attraverso
il certificato EUR 1. In un sistema di cooperazione tra
Stati membri, quale è quello del regime preferenziale basato sulla ripartizione di competenze tra Stato
d’esportazione e Stato di importazione, qualsiasi anomalia tale da potere determinare l’invalidazione di detti

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-12-

certificati, segnalata dal primo al secondo Stato, non
potrà, pertanto, che comportare la promozione, da parte
dello Stato di importazione, di un’azione di recupero dei
dazi doganali non riscossi, sull’erroneo presupposto
dell’applicabilità del regime daziario preferenziale.
7.2. In tal senso è, in verità, univocamente orientata la
giurisprudenza comunitaria.
Per vero, si è affermato, al riguardo, che perfino la comunicazione, inviata alle autorità dello Stato di importazione da quelle dello Stato di esportazione, a seguito
di un controllo a posteriori dei certificati di origine,
con la quale le autorità del suddetto Stato “si limitino
a constatare che il certificato di cui trattasi è stato
emesso irregolarmente e dev’essere, pertanto, annullato,
senza precisare i motivi dell’annullamento”, va considerato come un risultato del controllo che legittima le autorità dello Stato di importazione a procedere al recupero dei dazi doganali non riscossi. D’altro canto, a giudizio della Corte Europea, l’imposizione all’importatore,
sebbene non abbia preso parte ad alcun titolo alla commissione di un illecito doganale, del pagamento dei dazi
doganali, in caso di falsità dei certificati di origine
della merce importata, non è in contrasto con i principi
generali del diritto comunitario, di cui la Corte di Lussemburgo garantisce il pieno rispetto (C. Giust. CE,
17.7.97, C-97/95).
A fortiori, dunque, l’importatore non potrà opporsi com’è del tutto evidente – al recupero a posteriori dei
dazi all’importazione, laddove – come nel caso concreto i certificati EUR l, rilasciati per l’importazione di
merci nell’Unione Europea, siano stati, addirittura, successivamente “annullati, in quanto il loro rilascio è viziato da irregolarità e l’origine preferenziale indicata
su di essi non ha potuto essere confermata all’atto di un
controllo a posteriori” (cfr., in tal senso, C. Gíust.
UE, 15.12.11, C-409/10).
7.3. D’altra parte, va altresì osservato, al riguardo,
che dei suddetti certificati d’origine, indispensabili ai
fini di consentire l’applicazione del trattamento tariffario preferenziale, deve ritenersi l’inesattezza non solo quando risulti positivamente accertato che i prodotti
non soddisfano il requisito essenziale dell’origine, ma
anche ove all’esito delle indagini espletate non sia possibile disporre di elementi sufficienti per confermare
l’origine degli stessi, giacchè – diversamente opinandosi
– si finirebbe con l’ammettere al beneficio dell’esenzione doganale merce di origine ignota. Di conseguenza, dal
momento che un certificato di origine “ignota” – per le
ragioni suesposte – va considerato come “inesatto”, le
autorità doganali, qualora accertino la falsità dei certificati di origine delle merci importate, e procedano ad
“invalidarli”, rectius a destituirli di efficacia probatoria, non hanno altra alternativa che procedere alla
contabilizzazione a posteriori dei dazi doganali, ai sensi dell’art. 78 del Regolamento CE 2913/92 (Cass.
14036/12, 13496/12).

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– 13 –

o

In altri termini, qualora un controllo a posteriori non
consenta – come nel caso di specie – di confermare
l’origine della merce indicata nel certificato EUR l, si
deve ritenere che essa sia di origine “ignota” e che, di
conseguenza, il certificato EUR 1 e la tariffa preferenziale siano stati concessi indebitamente (C. Giust. CE,
9.3.06, cit.).
8. Per tutte le ragioni che precedono, pertanto, il ricorso proposto, avverso la decisione di appello n.
153/10/06, dalla Agrimpex s.a.s., non può che essere rigettato.
9. Passando, quindi, all’esame del ricorso proposto dalla
contribuente avverso la sentenza n. 55/11/11, va rilevato
che, con il primo motivo di ricorso, la Agrimpex s.a.s.
denuncia la violazione dell’art. 295 c.p.c., in relazione
all’art. 360 n. 4 c.p.c.
9.1. La mancata sospensione, da parte della CTR, del giudizio concernente le sanzioni, in attesa della definizione del processo avente ad oggetto l’accertamento dei diritti doganali, avrebbe, difatti, determinato – ad avviso
della ricorrente – la nullità dell’impugnata sentenza,
atteso che tale ultima controversia si porrebbe in rapporto di pregiudizialità logico-giuridica con l’alta,
vertente sulle sanzioni, la cui irrogazione non potrebbe
prescindere dall’accertamento della debenza del tributo.
9.2. Il motivo è, peraltro, assorbito dalla disposta riunione dei ricorsi, che ha consentito alla Corte di esaminare, dapprima l’impugnazione che ad oggetto la pretesa
sostanziale dell’Amministrazione per i dazi doganali non
riscossi, dipoi, le questioni concernenti l’irrogazione
delle sanzioni conseguenti alle violazioni accertate.
10. Con il secondo e terzo motivo di ricorso – che, per
la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente – la Agrimpex s.a.s. denuncia la violazione e falsa
applicazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 472/97, nonché
dell’art. 303 del d.P.R. n. 43/73, in relazione all’art.
360 n. 3 c.p.c.
10.1. Il giudice di appello avrebbe, invero, illegittimamente disatteso – a parere della ricorrente, i motivi di
appello concernenti la richiesta di annullamento delle
sanzioni, irrogate dall’Agenzia delle Dogane, per carenza
di coscienza e volontà nel commettere la violazione accertata, nonché per l’inapplicabilità, al caso concreto,
del disposto dell’art. 303 d.P.R. 43/73, atteso che la
difformità sanzionata riguardava, nella specie, non la
quantità, qualità e valore delle merci, bensì l’origine
del prodotto importato.
11. Le censure suesposte sono infondate.
11.1. Per quanto attiene alla coscienza e volontà nella
commissione delle violazioni in discussione, va osservato, infatti, che – secondo l’insegnamento costante di
questa Corte – in tema di sanzioni amministrative per
violazione di norme tributarie, ai fini dell’affermazione
di responsabilità del contribuente, ai sensi dell’art. 5
del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, occorre che l’azione
od omissione causativa della violazione sia volontaria,
ossia compiuta con coscienza e volontà, e colpevole, os-

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– 14 –

- 15 –

sia compiuta con dolo o negligenza, e la prova dell’assenza di colpa grava sul contribuente. Per il che va
senz’altro esclusa la rilevabilità d’ufficio di una presunta carenza dell’elemento soggettivo, sotto il profilo
della mancanza assoluta di colpa (cfr. Cass. 13068/11,
14030/12, 13494/12).
11.2. Ciò posto, è di tutta evidenza – a giudizio della
Corte – che nel caso di specie, la Agrimpex non abbia
fornito prova alcuna circa la sua mancanza di colpa nella
commissione delle violazioni contestatele dall’ Amministrazione doganale. Ben al contrario, le considerazioni
ampiamente svolte in precedenza, circa l’impossibilità
per la contribuente – sancita da disposizione cogente di
rango comunitario – di invocare la sua buona fede, conseguente alla pubblicazione del succitato avviso agli importatori del 26.6.02, rendono del tutto palese che alla
medesima sia imputabile, quanto meno, una negligenza rilevante, quale atteggiamento antidoveroso della volontà
suscettibile di integrare l’elemento soggettivo
dell’illecito amministrativo previsto dall’art. 303
d.P.R. 43/73, anche ai fini dell’irrogazione delle sanzioni contestate.
11.3. Quanto alla pretesa inapplicabilità della disposizione da ultimo menzionata, osserva la Corte che del tutto condivisibile si palesa l’assunto del giudice di appello, secondo il quale l’origine della merce “è un elemento di fatto che costituisce una qualità del prodotto
stesso, sì da rientrare nella previsione sanzionatoria
del comma l dell’art. 303 del t. u. del 23.1.73 n. 43”.
Va osservato, infatti, che – in tema di sanzioni per le
violazioni delle disposizioni in materia doganale – costituisce illecito amministrativo a norma dell’art. 303
del d.P.R. n. 43/73, che punisce “le dichiarazioni relative alla qualità, alla quantità ed al valore delle merci
destinate alla importazione definitiva” non corrispondenti all’accertamento degli Uffici finanziari, anche la
falsa o difforme dichiarazione sull’origine, la provenienza e la destinazione delle merci. Per vero, in forza
di un’interpretazione estensiva della fattispecie, ancorata alla considerazione che l’elemento della “origine”
della merce assume rilevanza determinante nel diritto doganale ai fini dell’applicazione di norme “antidumping” e
di norme esonerative o agevolative, la sottrazione di tale condotta all’area della sanzione sarebbe in contrasto
con il principio costituzionale di ragionevolezza e con
la normativa comunitaria, secondo la quale – come da ultimo indicato nella sentenza della Corte di Giustizia UE
del 15.12.11, C-409/10 – il certificato di origine è condizione per l’ottenimento del beneficio daziario (cfr.
Cass. 13489/12, 14030/12).
Ne discende che la decisione di seconde cure, nella parte
in cui ha ritenuto legittima l’irrogazione delle sanzioni, sulla base di un’interpretazione estensiva della norma succitata, deve ritenersi del tutto corretta.
12. Per tali ragioni, pertanto, anche il ricorso proposto
dalla Agrimpex s.a.s. avverso la sentenza n. 55/11/11,
non può che essere rigettato.

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ESENTE DA RECIITTAZIONF.
.
SF,SI
N. 131
MATElOik

13. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, nella misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
riunisce il ricorso proposto avverso la sentenza n.
153/10/06 a quello proposto avverso la sentenza n.
55/11/11; rigetta entrambi i ricorsi; condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio, che liquida in
22.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seziiie Tribut ria, il 25.2.2013.

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