Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9266 del 11/04/2017


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Cassazione civile, sez. III, 11/04/2017, (ud. 02/02/2017, dep.11/04/2017),  n. 9266

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10469-2015 proposto da:

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CHIUSI

31, presso lo studio dell’avvocato FABIO SEVERINI, che lo

rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.M.T., elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO DI

VILLA BIANCA 9 INT. 1, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO

PASQUAZI, che la rappresenta e difende giusta procura in calce al

controricorso;

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CASTROVILLARI 4, presso lo studio dell’avvocato LUIGI DE VITIS, che

lo rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

C.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 943/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 12/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

2/02/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato NICOLETTA LALLI per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

P.A. convenne in giudizio, innanzi al Tribunale di Roma, M.T., G. e Ch.Gi., quali eredi di C.E., deducendo che: 1) suo padre era stato condannato per il delitto di bancarotta fraudolenta nonchè al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, in relazione alla gestione della Villanova Edilizia e Commerciale S.r.l., in concorso con altri soci, tra cui C.E., deceduto e del quale i convenuti erano eredi; 2) con sentenza della Corte di appello di Roma del 13 maggio 2002, l’attore, quale unico erede di P.Q., era stato condannato al pagamento di Euro 363.024,87 a titolo di risarcimento dei danni; 3) in data 18 luglio 2002 l’attore aveva stipulato un atto di transazione con la curatela del fallimento della Villanova Edilizia e Commerciale S.r.l., versando l’importo di euro 64.724,41; 4) in data imprecisata P.Q. ed C.E. avevano stipulato una scrittura privata con la quale avevano concordato di sopportare tutte le eventuali spese della predetta società nella misura del 50%.

Tanto premesso, P.A. chiese la condanna dei convenuti a rimborsargli la metà dell’importo corrisposto alla curatela.

Si costituirono M.T. e C.G., chiedendo il rigetto della domanda; restò, invece, contumace Ch.Gi..

Il Tribunale adito, con sentenza depositata il 2 settembre 2008, rigettò la domanda e condannò l’attore alle spese di lite. Avverso tale decisione il P. propose appello, cui resistettero M.T. e C.G..

La Corte di appello di Roma, con sentenza depositata il 12 febbraio 2014, rigettò il gravame e rigettò la domanda di risarcimento dei danni per lite temeraria ex art. 96 c.p.c. proposta dall’appellato C.G. e condannò l’appellante alle spese di quel grado di giudizio.

Avverso la sentenza della Corte di merito P.A. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

Hanno resistito con distinti controricorsi M.T. e C.G..

Ch.Gi. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, rubricato “Violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 5 errore in procedendo su fatto controverso decisivo per il giudizio”, il P. sostiene che la Corte di merito avrebbe “travisato” il significato sia della scrittura privata che della sentenza di condanna per bancarotta fraudolenta e censura, pertanto, la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui si afferma che, “posto che la somma reclamata dall’attore costituisce il risarcimento del danno dovuto in favore della curatela a seguito di condanna per il reato di bancarotta fraudolenta subita dal proprio padre, P.Q., ne deriva che nulla può essere preteso da soggetti totalmente estranei alla vicenda penale, non avendo mai il loro dante causa subito alcuna condanna nè in sede penale nè in sede civile”.

Ad avviso del ricorrente, pur se C.E. non è stato condannato nè in sede civile nè in sede penale, perchè già deceduto alla data di emissione sia della sentenza di fallimento sia di quella relativa alla condanna per bancarotta fraudolenta, dalla lettura di quest’ultimo provvedimento emergerebbe il coinvolgimento di C.E., il quale avrebbe agito in concorso con gli imputati. Inoltre, secondo il P., dalla lettura della scrittura privata di cui si discute in causa risulterebbe che la stessa sia riferita ad “ogni procedimento relativo alla Villanova Edilizia e Commerciale S.r.l.”, pertanto non sarebbe “equo nè aderente al contenuto della scrittura privata subordinare l’efficacia della stessa scrittura al rinvio a giudizio di uno dei soci amministratori”.

1.1. Il motivo non può essere accolto.

1.1.1. Con il mezzo all’esame si lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile, ratione temporis, nel caso di specie nella formulazione novellata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134. Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8053 del 7/04/2014, hanno affermato il principio secondo cui la già richiamata riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia – nella specie all’esame non sussistente – si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Le Sezioni Unite, con la richiamata pronuncia, hanno pure precisato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come da ultimo riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Nella specie, con le censure formulate nell’illustrazione del motivo all’esame, il ricorrente non propone doglianze motivazionali nel rispetto del paradigma legale di cui al novellato n. 5 dell’art. 360 del codice di rito nè, in particolare, può ravvisarsi nella specie un omesso esame di fatti decisivi, evidenziandosi che, comunque, la sentenza penale e la scrittura privata di cui si discute in causa sono state esaminate e l’interpretazione di tali atti operata dalla Corte di merito non risulta idoneamente censurata in questa sede.

1.1.2. Inoltre, con il motivo all’esame si tende espressamente (v. ricorso p. 5) ad una rivalutazione dei fatti non consentita in questa sede.

2. Con il secondo motivo, rubricato “Violazione di legge ex art. 360, n. 3 in relazione agli artt. 2702, 1321 e 1173 c.c. e art. 216 c.p.c.”, il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui “non riconosce alcuna efficacia vincolante alla scrittura in esame ed omette ogni indagine sulla sua veridicità, frustrando l’azione della parte attrice”.

2.2. Il motivo è inammissibile.

La Corte di merito ha evidenziato che: 1) in sede penale era stato condannato per il reato di bancarotta fraudolenta in relazione alla gestione della già indicata società ed al conseguente risarcimento del danno P.Q. e non anche C.E.; 2) con sentenza della Corte di appello di Roma del 3 maggio 2002 l’attuale ricorrente, quale erede di P.Q., era stato condannato al pagamento in favore della curatela a titolo di risarcimento del danno; 3) poichè la somma reclamata dall’attuale ricorrente costituiva il risarcimento del danno dovuto in favore della curatela a seguito della condanna, nulla poteva essere preteso dai Cherubini, non avendo il loro dante causa subito alcuna condanna, nè in sede civile, nè in sede penale; 4) la scrittura privata con cui C.E. e P.Q. avevano concordato di “sopportare tutte le eventuali spese nella misura del 50% ciascuno” aveva ad oggetto solo quelle spese “dovute a procedimenti giudiziari già in corso o ad altri che potrebbero sorgere, nonchè ad imposte e tasse e contributi, eventualmente da pagare”, ma non anche il risarcimento del danno conseguente al reato di bancarotta fraudolenta, in relazione al quale era stata pronunciata condanna solo nei confronti del padre dell’attore, “ben diverso dalle semplici spese, imposte e tasse ivi contemplate”; 5) conseguentemente la richiesta di verificazione era irrilevante, atteso che dalla detta scrittura non emergeva alcuna obbligazione avente attinenza con quella dedotta in causa.

Tale ratio decidendi non risulta essere stata colta e adeguatamente censurata con il motivo all’esame.

3. Con il terzo motivo, rubricato “Violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 115 c.p.c. Error in judicando”, il ricorrente sostiene che la Corte di merito avrebbe violato la predetta norma per aver, senza accogliere alcuna istanza istruttoria, “dato per certo che la scrittura non avesse alcun valore impegnativo e che le sentenze di fallimento e di bancarotta della Villanova Edilizia S.r.l. non riguardassero anche il Sig. C.E.” ed avrebbe, “in spregio all’art. 115 c.p.c…. posto alla base della propria decisione fatti tutt’altro che pacifici e tutt’altro che provati, e certamente fatti che assolutamente neppure possono farsi rientrare nella comune esperienza”.

3.1. Il motivo è inammissibile.

Anzitutto il mezzo all’esame risulta genericamente formulato, non essendo state neppure riportate le circostanze oggetto della richiesta prova testimoniale non ammessa e non essendo stato indicato il nesso di causalità tra la mancata ammissione dei mezzi istruttori richiesti e la decisione al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo sulla decisività delle prove non ammesse, evidenziandosi, peraltro, che la Corte di merito ha motivatamente ritenuto irrilevanti sia la richiesta di verificazione della scrittura privata sia i capitoli di prova articolati.

Inoltre, la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità non in riferimento all’apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito – come in sostanza avvenuto con il motivo all’esame -, ma solo sotto due profili: qualora il medesimo giudice, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo – come avvenuto nella specie – escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza; ovvero quando egli ponga alla base della decisione o fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale, il che non si è verificato nel caso all’esame (Cass. 11/10/2016, n. 20382; v. pure Cass. 10/06/2016, n. 11892).

4. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

5. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza tra le parti costituite, mentre non vi è luogo a provvedere per dette spese nei confronti dell’intimato, non avendo lo stesso svolto attività difensiva in questa sede.

6. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso principale/ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore di ciascun controricorrente, in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 2 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2017

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