Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9265 del 17/04/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 9265 Anno 2013
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: VALITUTTI ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 24598-2007 proposto da:
AGENZIA DELLE DOGANE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

ROITZ SRL, AGROFOREST SRL;
– intimati –

sul ricorso 29418-2007 proposto da:
ROITZ SRL in persona del Presidente

del C.d.A. e

legale rappresentante pro tempore, elettivamente

Data pubblicazione: 17/04/2013

domiciliato in ROMA VIA GERMANICO 146, presso lo
studio dell’avvocato MOCCI ERNESTO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato LEONE
GREGORIO giusta delega a margine;
– controricorrente e ricorrente incidentale –

AGENZIA DELLE DOGANE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente a ricorso incidentale nonchè contro

AGROFOREST SRL;
– intimato –

sul ricorso 29434-2007 proposto da:
AGROFOREST SRL in persona dell’Amministratore unico,
elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA DI PRISCILLA
4, presso lo studio dell’avvocato COEN STEFANO, che
lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati
SANCIN BORIS, STERN PAOLO giusta delega a margine;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE DOGANE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

contro

- controricorrente nonchè contro

ROITZ SRL;
– intimato –

avverso la sentenza n. 101/2006 della COMM.TRIB.REG.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 25/02/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
VALITUTTI;
udito per il ricorrente l’Avvocato ALBENZIO che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato LEONE che ha
chiesto il rigetto;
è comparso l’Avvocato STERN difensore del resistente
che ribadisce le conclusioni rassegnate;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso principale e il
rigetto dei ricorsi incidentali.

di TRIESTE, depositata il 25/10/2006;

PREMESSO IN FATTO.
1. Con sentenza n. 101/08/06, depositata il 25.10.06, la
Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia accoglieva l’appello proposto dalla Roitz s.r.l. avverso la decisione della CTP di Gorizia n. 153/01/2005,
con la quale era stato rigettato il ricorso proposto dalla contribuente nei confronti dell’avviso di accertamento
e di rettifica, relativo al pagamento dei dazi doganali
afferenti ad importazioni di zucchero proveniente dalla
Croazia, effettuate dal 7.8.02 al 21.8.02.
2. La CTR – in riforma della decisione di prime cure riteneva, invero, che lo spedizioniere doganale – qualità
rivestita dalla Roitz s.r.1., rappresentante indiretto
della società importatrice Agroforest s.r.l. – fosse
esente da responsabilità in ordine all’obbligazione daziaria gravante sulla ditta importatrice della merce, e
che, in ogni caso, a favore del medesimo dovesse operare
l’esimente comunitaria della buona fede, ai sensi
dell’art. 220, n. 2, lett. b) del Regolamento CE n.
2913/92.
2.1. Con
la medesima sentenza, la CTR affermava, per
contro, la sussistenza dei presupposti per l’imposizione
daziaria a carico dell’effettiva importatrice, Agroforest
s.r.1., a favore della quale escludeva, altresì,
l’operatività della menzionata esimente comunitaria. Il
giudice di appello rigettava – di conseguenza – il gravame proposto dall’Agroforest avverso la decisione della
CTP di Gorizia n. 95/01/05.
3. Per la cassazione della sentenza n. 101/08/06 ha proposto ricorso la l’Agenzia delle Dogane articolando due
motivi, ai quali entrambe le società intimate hanno replicato con controricorso, contenente, altresì, ricorso
incidentale affidato ad otto motivi, quello proposto dalla Agroforest s.r.1., ed a quattro motivi quello proposto
dalla Roitz s.r.1., ed ai quali l’Amministrazione ha, a
sua volta, replicato con controricorso ex art. 371, co. 4
c.p.c. Le parti hanno depositato memorie, ai sensi
dell’art. 378 c.p.c.
OSSERVA IN DIRITTO.
1. La vicenda processuale trae origine da talune operazioni di importazione di zucchero, dichiarato originario
della Croazia, effettuate presso la Dogana di Gorizia
dalla Roitz s.r.1., in qualità di rappresentante indiretto della società importatrice Agroforest s.r.1., tra il
7.2.02 ed il 21.8.02. La merce veniva presentata
all’autorità doganale italiana con il corredo, oltre che
della documentazione commerciale e di trasporto, dei certificati EUR l, rilasciati dalle autorità doganali croate
su richiesta della ditta esportatrice IPK Tvornica, al
fine di comprovare l’origine e la provenienza croata della merce, indispensabile per fruire dell’esenzione daziaria prevista dal Protocollo IV dell’Accordo interinale
sugli scambi e sulle questioni commerciali tra la Comunità Europea e la Repubblica di Croazia, pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea n. 330 del
14.12.01.

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In data 264.02, peraltro, era stato pubblicato sulla
stessa Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea (in prosieguo G. U. C.E.) uno specifico avviso agli importatori,
mediante il quale questi ultimi venivano resi edotti del
fatto che sussisteva un “ragionevole dubbio” in ordine
alla corretta applicazione degli accordi preferenziali
relativi allo zucchero proveniente dai Paesi Balcanici, e
segnatamente – per quel che interessa in questa sede dalla Croazia. I dubbi in parola derivavano dall’anomala
alterazione, riscontrata dagli organismi comunitari, dei
flussi di zucchero in entrata ed in uscita da tali Paesi,
che induceva nella Commissione Europea il sospetto di
possibili frodi nell’ applicazione del regime di esenzione daziaria della merce in questione.
In conseguenza di siffatta pubblicazione, e nell’ incertezza circa l’origine effettiva della merce, le autorità
doganali italiane disponevano, pertanto, che le importazioni di zucchero aventi l’origine suindicata avvenissero, nel caso concreto, con le modalità del cd. “daziato
sospeso”, ai sensi dell’art. 164 del r. d. n. 65/1896,
ovverosia con l’immissione della merce in libera pratica
nel territorio comunitario, contro prestazione di idonee
garanzie (cauzioni o fideiussioni bancarie o assicurative). Queste ultime venivano, peraltro, svincolate a seguito del controllo a posteriori, ex art. 78 del Codice
Doganale Comunitario di cui al Regolamento CE n. 2913/92
(in prosieguo CDC), operato dalle autorità croate – su
richiesta della Dogana italiana – sulle certificazioni
EUR l, a suo tempo emesse a comprova dell’origine preferenziale dello zucchero importato; controllo che – tuttavia – confermava, almeno in quella fase, l’autenticità
di tali documenti.
Senonchè, a seguito di successive indagini, espletate dagli Organismi comunitari antifrode, e di ulteriori controlli delle autorità dello Stato di esportazione, le autorità croate comunicavano l’avvenuta “revoca” di alcuni
certificati EUR l, concernenti proprio le importazioni in
discussione.
1.1. L’autorità doganale italiana avviava, pertanto, le
procedure di contabilizzazione e riscossione a posteriori
dei maggiori diritti dovuti, in conseguenza del ritiro
dei suddetti certificati di origine preferenziale della
merce importata, essendo – in tal modo – venuto meno il
regime daziario preferenziale. E tali operazioni si concludevano con l’emissione, nei confronti della Agroforest
s.r.1., quale società importatrice, e della Roitz s.r.1.,
quale società coobbligata in solido con l’altra, ai sensi
dell’art. 201 CDC, in quanto dichiarante doganale operante in regime di rappresentanza indiretta, di un avviso di
accertamento suppletivo e di rettifica, con il quale
l’Amministrazione doganale provvedeva alla riliquidazione
dei diritti di confine e relativi interessi, in relazione
a ciascuna delle operazioni di importazioni effettuate, e
con avviso di irrogazione delle connesse sanzioni.
1.2. L’atto impositivo veniva, quindi, impugnato dalla
Roitz s.r.1., la quale deduceva l’insussistenza di una
sua responsabilità solidale, quale rappresentante indi-

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retta della ditta importatrice, e chiedeva, in via subordinata, l’applicazione dell’esimente comunitaria della
buona fede, ai sensi dell’art. 220, part. II, lett. b)
CDC. Il ricorso veniva, peraltro, respinto dalla CTP di
Gorizia, con la decisione n. 153/01/05, con la quale la
Commissione di primo grado, nel confermare la responsabilità solidale del rappresentante indiretto dell’ importatore, già evidenziata dall’atto impositivo, escludeva
l’applicabilità della suindicata esimente, la cui dimostrazione sarebbe stata preclusa – ad avviso del giudice
di primo grado – dalla menzionata pubblicazione dell’ avviso agli importatori, avvenuta il 26.6.02.
1.3. Anche la Agroforest s.r.1., ditta importatrice dello
zucchero dalla Croazia, proponeva impugnazione avverso
l’avviso di accertamento e l’avviso di irrogazione delle
sanzioni, lamentando la carenza di motivazione del provvedimento e, comunque, il difetto di prova della fondatezza del recupero a tassazione, e contestando, altresì, /4///Y
la mancata applicazione, .cha. .Flailik ~4e 1–.1mirmia~..gk~,
dell’art. 220 CDC, in applicazione del più generale principio di tutela dell’affidamento incolpevole, immanente
nella formazione comunitaria.
La CTP di Gorizia, respingeva – tuttavia – il ricorso,
con la decisione n. 95/01/05, con la quale riteneva:
l’atto impositivo esaustivamente motivato; esclusa la
buona fede dell’importatore a seguito della pubblicazione
dell’ avviso suindicato; correttamente contestate le sanzioni irrogate alla società contribuente.
1.4. Entrambe le sentenze di prime cure venivano, quindi,
impugnate, sia dalla Roitz s.r.1.. che dalla Agroforest
s.r.1., dinanzi alla CTR del Friuli Venezia Giulia che,
dopo avere provveduto alla riunione dei ricorsi, con la
decisione n. 101/08/06, mentre confermava in toto la sentenza n. 95/01/05, disattendendo, dunque, le argomentazioni della Agroforest, in accoglimento dell’appello della Roitz, invece, riformava la sentenza n. 153/01/05. Tale ultima statuizione si fondava sulla considerazione che
lo spedizioniere doganale, qualità rivestita dalla Roitz
s.r.1., avesse operato esclusivamente nell’interesse
dell’effettiva importatrice della merce, senza intrattenere rapporto alcuno, di natura contrattuale o commerciale, con le ditte esportatrice. Sicchè neppure l’avviso
agli importatori, ancorchè dovesse ritenersi conosciuto
anche dallo spedizioniere, avrebbe potuto concedere al
medesimo – a parere della CTR – titolo alcuno ad intervenire direttamente sulla revoca dei certificati EUR l, da
parte delle autorità croate.
1.5. Avverso la sentenza di appello n. 101/08/06, ha proposto ricorso principale per cassazione l’Agenzia delle
Dogane, affidato a due motivi, diretti a contestare
l’avvenuta riforma della decisione di prime cure n.
153/01/05 e, quindi, l’esclusione della responsabilità,
nella vicenda de qua, della ditta Roitz s.r.l. nella sua
qualità di spedizioniere doganale.
La medesima sentenza è stata, peraltro, gravata anche da
ricorso incidentale, condizionato all’accoglimento del
ricorso principale, da parte della Roitz s.r.1., che ha

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riproposto – articolando quattro motivi – le questioni di
merito (inammissibilità di una seconda revisione a posteriori, a seguito dell’avvenuto svincolo delle garanzie
fideiussorie nel quadro della procedura del “daziato sospeso”, applicabilità dell’esimente comunitaria della
buona fede, violazione dell’obbligo di vigilanza a carico
della Commissione europea), ritenute assorbite dal giudice di seconde cure, nel ritenere non sussistente una sua
responsabilità solidale per i diritti doganali dovuti.
La decisione di appello è stata, infine, impugnata anche
dalla Agroforest s.r.1., con la formulazione di otto motivi, riproducenti – in buona sostanza – le stesse ragioni di merito dedotte dalla Roitz s.r.1., nonché questioni
attinenti alla pretesa illegittimità dell’irrogazione
delle sanzioni operata dall’Amministrazione doganale.
2. Premesso quanto precede, osserva la Corte che il ricorso principale proposto dell’Agenzia delle Dogane, e
che investe il ruolo rivestito dalla Roitz s.r.l. nella
vicenda, si palesa pienamente fondato.
2.1. Con i due motivi di ricorso – che, attesa la loro
evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente l’Amministrazione delle Dogane denuncia, invero, la violazione degli artt. 4, 5, 64, 201 e 220, par. Il, lett.
b) CDC, 38, 40 e 56 e ss. d.P.R. n. 43/73, 1388, 1704 e
1705 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
2.2. Deduce la ricorrente che lo spedizioniere, cui
l’importatore abbia conferito l’incarico di presentare in
Dogana per suo conto, ma in nome proprio, le merci da destinare all’importazione, presentando le relative dichiarazioni corredate dai certificati EUR l, in caso di revoca di dette certificazioni (necessarie per poter fruire
del trattamento daziario preferenziale) da parte dell’
autorità doganale straniera, sarebbe solidalmente obbligato con l’importatore al pagamento dei dazi doganali e,
quindi, passivamente legittimato a ricevere il relativo
avviso di accertamento.
Di più, la stessa qualità professionale rivestita dallo
spedizioniere doganale indurrebbe ad escludere – a parere
dell’Agenzia delle Dogane – che possa configurarsi in relazione a tale figura di operatore la buona fede prevista
dall’art. 220, par. II, lett b) CDC, in presenza della
pubblicazione, nella G.U.C.E., di un avviso agli importatori, nel quale si segnalavano fondati dubbi sulla corretta applicazione del regime preferenziale da parte del
Paese beneficiario.
2.3. Tali deduzioni dell’Amministrazione, del tutto corrette, non possono che essere condivise da questa Corte.
2.3.1. E’ noto, infatti, che il presupposto per
l’applicazione dei diritti di confine all’importazione è
costituito dalla destinazione al consumo della merce importata, che avviene – in via ordinaria – mediante la dichiarazione di importazione, nella quale l’importatore
manifesta la volontà di rendere liberamente commerciabile
la merce in un mercato diverso da quello di origine, avvantaggiandosi dei benefici connessi all’utilizzazione
dei prodotti nel mercato interno. Ed in tal caso, ai sensi dell’art. 220, co. 2, CDC, l’obbligazione doganale

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sorge al momento dell’accettazione stessa della dichiarazione da parte dell’autorità doganale (art. 201, co. 2
CDC).
In siffatta ipotesi – che potrebbe definirsi, “fisiologica” – di immissione dei beni importati in libera pratica,
secondo quanto prevede il CDC, debitore dei dazi
all’importazione è “il dichiarante”, ma “in caso di rappresentanza indiretta è parimenti debitrice la persona
per conto della quale è presentata la dichiarazione in
dogana” (art. 201, co. 3 CDC) Ne discende che viene a
configurarsi, in relazione all’obbligazione daziaria insorta in conseguenza della lecita introduzione di merci
nel territorio doganale, una responsabilità solidale di
entrambi i soggetti, proprietario della merce e rappresentante indiretto, entrambi tenuti, pertanto, al pagamento dei dazi doganali all’importazione.
Ma il presupposto dell’obbligazione in parola (la destinazione della merce al consumo) si verifica anche in caso
di introduzione dei beni nel territorio doganale in conseguenza di un fatto illecito, che può consistere
nell’irregolare importazione, o nella sottrazione al controllo dell’autorità doganale, o ancora nella falsità dei
certificati di origine dei beni importati. In tale ipotesi, pertanto, ai sensi dell’art. 202, co. 2 CDC,
“l’obbligazione doganale sorge al momento dell’ introduzione irregolare” delle merci nel territorio comunitario.
Orbene, anche nella fattispecie da ultimo menzionata ricorrente nel caso di specie – il CDC prevede un allargamento dei soggetti tenuti al pagamento
dell’obbligazione doganale. Ed infatti, oltre all’autore
della violazione, sono solidalmente responsabili dei dazi
doganali all’importazione anche le persone che hanno partecipato all’operazione “sapendo o dovendo, secondo ragione, sapere che essa era irregolare” (art. 202, co. 3).
2.3.2. Da quanto suesposto discende, dunque, che lo spedizioniere doganale il quale – come nel caso concreto abbia presentato merci in Dogana per conto terzi, ma in
nome proprio, risponde in via solidale, con il soggetto
per conto del quale la merce stessa è stata presentata
alle autorità doganali, di tutti i dazi, le imposte e gli
accessori, dovuti a qualsiasi titolo, in relazione
all’operazione di importazione irregolarmente effettuata.
Va, difatti, considerato, al riguardo, che – sul piano
generale – il rappresentante indiretto che, in quanto tale imputa a sé stesso le fattispecie degli atti giuridici
che compie, fatto salvo l’obbligo di ritrasferirle al
mandante (artt. 1705 e 1706 c.c.), a differenza del rappresentante diretto, è personalmente e direttamente obbligato, nei confronti dell’altra parte, come se l’affare
gestito fosse suo proprio, ed anche se il rapporto contrattuale involga interessi esclusivamente propri del
mandante (Cass. 18441/05, 22333/07). Il codice doganale,
pertanto, non fa che recepire siffatto schema di produzione degli effetti degli atti compiuti dal rappresentante indiretto, al quale riconosce comunque sul piano tributario, in quanto spedizioniere doganale, un interesse
all’importazione della merce, e quindi un sicuro indice

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di collegamento con il presupposto del tributo, idoneo a
fondarne – in coerenza con il principio costituzionale
della capacità contributiva – la sottoposizione ai dazi
doganali all’importazione, dei quali rende, in tal modo,
anche più certa e sicura la riscossione.
2.3.3. Ed è del tutto evidente che tale peculiare figura
di rappresentante indiretto, per la sua preparazione professionale e per l’abitualità dell’attività svolta, è ampiamente in grado di valutare la veridicità dei documenti
trasmessigli e, dunque, di rendersi pienamente conto
dell’irregolarità dell’introduzione delle merci nel territorio della Comunità, dovuta – nel caso di specie – a
certificati d’origine, poi accertati come contraffatti
dall’autorità dello Stato esportatore (cfr., in termini,
Cass. 9773/10, 11181/10). E ciò, in special modo, a seguito dell’avvenuta pubblicazione, nella Gazzetta Ufficiale della Comunità, di un avviso agli importatori, diretto a rendere questi ultimi edotti delle possibili frodi in materia di applicazione del trattamento daziario
preferenziale per gli zuccheri provenienti dal Paesi balcanici.
Non può revocarsi in dubbio, infatti, che tale avviso come meglio si vedrà in prosieguo – era certamente idoneo
a far insorgere in un operatore professionale del settore
accorto e diligente, quanto meno, legittimi e seri sospetti sulla regolarità delle operazioni di importazione
che andava ad effettuare, con riferimento all’origine
preferenziale della merce importata. Il che – contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di appello – induce,
di conseguenza, ad escludere che possa configurarsi nella
specie l’esimente comunitaria della buona fede dello spedizioniere (e degli altri soggetti ad esso equiparati,
sotto il profilo della responsabilità per l’obbligazione
doganale) atteso il disposto dell’art. 220, co. 5 CDC,
secondo il quale la buona fede dell’importatore non può
essere invocata in caso di pubblicazione nella G.U.C.E.
di un avviso di tal fatta.
2.3.4. Per tutte le ragioni esposte, pertanto, il ricorso
principale dell’Agenzia delle Dogane non può che essere
accolto. Il che determina, pertanto, la necessità di procedere all’esame del ricorso incidentale condizionato
della Roitz s.r.1., oltre che di quello proposto dalla
Agroforest s.r.1., rimasta totalmente soccombente nel
giudizio di appello.
3. Orbene, con i quattro motivi di ricorso incidentale
che, attesa la loro evidente connessione, vanno esaminati
congiuntamente – la Roitz s.r.l. denuncia la violazione e
falsa applicazione degli artt. 78, 199, 220 e 221 n. 3
CDC, 32 dell’Accordo CE-Croazia del 14.12.01, 111 Cost.
36 n. 4 d.lgs. 546/92, 211 del Trattato CE, in relazione
all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché l’omessa e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, in
relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.
3.1. Assume, invero, la ricorrente in via incidentale
che, a norma dell’art. 78 CDC e dello stesso Accordo CeCroazia, la revisione a posteriori della dichiarazione di
importazione, in un momento successivo alla concessione

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dello svincolo delle merci da parte dell’autorità doganale, sarebbe possibile per una sola volta, dopo che il
controllo in Dogana della dichiarazione doganale abbia
dato esito positivo per il contribuente; e l’esito di tale controllo sarebbe vincolante per l’autorità amministrativa, salva la verifica giudiziale ex art. 243 CDC.
Per di più, ai sensi dell’art. 199 CDC, una volta svincolata la garanzia rilasciata dall’importatore, all’esito
del suddetto controllo a posteriori della dichiarazione
ex art. 78 CDC, ogni obbligazione doganale dovrebbe ritenersi estinta.
3.2. Ad ogni buon conto, osserva la Roitz s.r.l. non potrebbe – in subordine – essere negata, nel caso concreto,
l’applicazione dell’esimente comunitaria della buona fede
ex art. 220, n. 2, lett. b), per avere l’importatore, e
per esso il suo rappresentante indiretto, confidato, senza sua colpa, nella validità dei certificati di origine
emessi dalle autorità doganali croate. Tale esimente, invero, non potrebbe comunque essere esclusa, a parere della società contribuente, per il solo fatto dell’avvenuta
pubblicazione – in data 2645.02 – dell’avviso agli importatori nella G.U.C.E., atteso che da tale pubblicazione
dovrebbe conseguire soltanto, ad avviso della Roitz
s.r.1., un’inversione dell’onere della prova a carico
dell’importatore, il quale non sarebbe più assistito dalla presunzione di buona fede prevista dalla disposizione
comunitaria succitata. Il che non escluderebbe, comunque,
che la comprovata diligenza nell’eseguire le operazioni,
e l’assenza di frode dell’interessato, debbano far concludere per l’esistenza della buona fede dello stesso importatore.
3.3. La sentenza della CTR andrebbe, infine, censurata secondo la ricorrente – per non avere il giudice di appello motivato in alcun modo sulla questione relativa
all’inosservanza dell’obbligo di vigilanza della Commissione CE, previsto dall’art. 211 del Trattato, il cui
inadempimento non potrebbe non avere inciso sulla possibilità per l’importatore, quand’anche diligente e attento, di valutare le eventuali illegittimità compiute dalle
autorità doganali dei Paesi terzi. La violazione di tale
norma del Trattato CE, da parte della CTR, sarebbe, dipoi, conclamata dall’omesso rilievo di tale inadempimento
del predetto organo comunitario, la cui condotta inerte
avrebbe, a parere della Roitz s.r.1., influito in maniera
decisiva nella vicenda in esame.
3.4. Il ricorso incidentale è infondato.
3.4.1. Va osservato, infatti, che, in materia di tributi
doganali, l’applicazione del regime di esenzione o riduzione daziaria presuppone la regolarità formale e sostanziale della documentazione relativa all’origine e/o alla
provenienza della merce che, in adempimento al principio
affermato dalla giurisprudenza comunitaria (C. Giust. CE,
14.5.96, C-153/94 e C- 204/94), può essere fornita unicamente attraverso il certificato EUR l, che è, tuttavia,
passibile di verifica da parte delle autorità doganali
dello Stato di destinazione. Con la conseguenza che, qualora le autorità doganali constatino la falsità dei cer-

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tificati di origine e provenienza, devono procedere alla
contabilizzazione a posteriori dei dazi doganali (Cass.
23985/08, 4997/09, 13496/12). Resta salva, tuttavia,
l’ipotesi nella quale venga in rilievo lo stato soggettivo di buona fede dell’importatore, richiesto dall’art
220, co. 2, lett. b) C.D.C., ai fini dell’esenzione dalla
contabilizzazione a posteriori; stato soggettivo che,
tuttavia, non ha valenza esimente in re ipsa, ma solo in
quanto sia riconducibile ad una delle situazioni fattuali
individuate dalla normativa comunitaria, tra le quali va
annoverato anche l’errore incolpevole, ossia non rilevabile dal debitore di buona fede, nonostante la sua esperienza e diligenza. Nondimeno, tale errore, per assumere
rilievo scriminante, deve essere in ogni caso imputabile
a “comportamento attivo” delle autorità doganali, non
rientrandovi quello indotto da dichiarazioni inesatte
dello stesso operatore o di altri soggetti (cfr. Cass.
15297/08, 13680/09, 7837/10, 7674/12; in tal senso, v.
pure C. Giust. CE, n. 348/89, causa Mecanarte).
L’errore attivo, purchè non ragionevolmente rilevabile
dal debitore, si verifica, in particolare, quando esso
non venga ad essere determinato da una situazione inesatta riferita dall’esportatore, essendo del tutto evidente
che, in siffatta ipotesi, l’errore è indotto dalla dichiarazione del terzo e non può, pertanto, essere imputato a comportamento attivo della stessa autorità doganale
(cfr. Cass. 13483/12, 7674/12, C. Giust. UE, 8.11.2012
n. 438, secondo la quale l’onere della prova che il certificato di origine si basa su una situazione fattuale
riferita in maniera esatta dall’esportatore grava sul debitore). Inoltre, poiché l’esimente comunitaria in esame
presuppone la genuinità delle certificazioni poste a fondamento della richiesta di esenzione, ossia la loro correttezza formale e sostanziale, incombe, in ogni caso,
all’importatore che voglia fruire di detta esenzione, dimostrare l’esistenza cumulativa di tutti i presupposti
indicati dall’art. 220 C.D.C., mentre all’autorità doganale incombe esclusivamente l’onere di allegare e dimostrare l’irregolarità delle certificazioni presentate,
atteso che qualsiasi certificato che risulti inesatto autorizza il recupero dell’imposta a posteriori (Cass.
15297/08, 13680/09, 15547/10, 1583/12, C. Giust. UE,
438/12).
3.4.2. Tanto premesso in via di principio, osserva, tuttavia, la Corte che lo stato soggettivo di buona fede
dell’importatore, ex art. 220, n. 2, lett. b) del CDC, ai
fini dell’esenzione dalla contabilizzazione a posteriori
dei dazi doganali – come sopra descritto – non può essere
invocato, a tenore del co. 5 della disposizione in esame,
“qualora la Commissione europea abbia pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee un avviso in
cui sono segnalati fondati dubbi circa la corretta applicazione del regime preferenziale da parte del Paese beneficiario”. A tal riguardo, va – difatti – osservato che,
ai sensi dell’undicesimo “considerando” del Regolamento
n. 2700/00, che modifica il CDC n. 2913/92, “il debitore
non dovrebbe essere responsabile di un cattivo funziona-

mento del sistema dovuto ad un errore commesso dalle autorità di un Paese terzo”, allorquando detto errore sia
dovuto, non ad una richiesta contenente informazioni inesatte, bensì ad un errore attivo della stessa autorità
doganale. E, di conseguenza, secondo il “considerando” in
esame “il debitore può invocare la buona fede, se può dimostrare di avere dato prova di diligenza, a meno che non
sia stato pubblicato nella G.U.C.E. un avviso che segnala
fondati dubbi”. E’ fin troppo evidente, infatti, che in
tale ultima ipotesi la buona fede dell’importatore verrebbe ad essere elisa in radice, laddove il medesimo compia un’operazione di importazione, nonostante la pubblicazione di un avviso di tal fatta.
3.4.3. Ebbene, nel caso concreto, è del tutto incontroverso tra le parti che in data 26.6.02, sia stato pubblicato sulla G.U.C.E. un avviso agli importatori, con il
quale la Commissione Europea rendeva i medesimi edotti
del fatto che sussisteva un “ragionevole dubbio in ordine
alla corretta applicazione degli accordi preferenziali
relativi allo zucchero classificabile alle voci NC 1701 e
NC 1702” proveniente da diversi Paesi balcanici, tra i
quali la Croazia. Il sospetto degli organi comunitari esplicitato nell’avviso in discussione – traeva origine
dal constatato calo della produzione di zuccheri nei Paesi in questione, cui aveva fatto, nondimeno, riscontro un
“significativo e rapido aumento delle importazioni preferenziali di zucchero nella Comunità”, proveniente dai
Paesi balcanici, accompagnato, peraltro, da un aumento,
più o meno analogo, “delle esportazioni di zucchero dalla
Comunità verso i Paesi della regione”. Tale constatazione
aveva, pertanto, indotto la Comunità a concludere che
siffatto andamento dei “flussi commerciali in entrambe le
direzioni” fosse da considerarsi “altamente artificiale”;
tanto più che alcune indicazioni raccolte dagli organismi
comunitari avrebbero ulteriormente avvalorato “l’ipotesi
della frode”, con pregiudizio delle risorse della Comunità Europea.
Di tanto la Commissione dava, pertanto, comunicazione
agli importatori, invitandoli ad assumere “tutte le precauzioni necessarie”, rendendoli consapevoli del fatto di
non poter contare sull’applicazione del regime doganale
preferenziale, ben potendo l’immissione della merce in
origine “all’insorgere di
invero,
questione dare,
un’obbligazione doganale e dare luogo ad una frode ai
danni degli interessi finanziari della Comunità”.
3.4.4. Ciò posto, osserva la Corte che, già sulla scorta
del tenore letterale dell’avviso succitato, deve escludersi la fondatezza dell’assunto della Roitz s.r.1., ricorrente in via incidentale, secondo la quale l’avviso in
parola metterebbe “in guardia” gli importatori da una
“fattispecie diversa” da quella dell’effettiva origine
croata della merce, e precisamente “sul traffico artificioso di zucchero fra le due sponde dell’Adriatico”. E’,
per vero, di chiara evidenza che il riferimento – contenuto nell’avviso in questione – al rischio di insorgenza
di “un’obbligazione doganale”, in caso di immissione in
libera pratica di detto zucchero “dichiarato al momento

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9

10

dell’importazione come originario (…) della Croazia”,
sussistendo un “ragionevole dubbio in ordine alla corretta applicazione degli accordi preferenziali” in materia,
era chiaramente finalizzato a rendere edotti gli importatori proprio del pericolo che l’origine dello zucchero
non fosse quella attestata dai certificati di origine.
D’altro canto, in tal senso depongono, altresì, talune
Comunicazioni della Commissione Europea pubblicate – del
pari – sulla G.U.C.E. (Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea), l’ultima delle quali in data 30.12.12, n. 2012/C,
332/01, da cui si evince con evidenza che le misure che
la Commissione ha inteso adottare, in materia di importazioni soggette a regimi daziari preferenziali, “includono
l’uso più sistematico di un sistema di segnalazione tempestiva degli importatori qualora esista un dubbio fondato circa l’origine delle merci ammissibili ad un regime
tariffario preferenziale”. E tra gli avvisi agli importatori, pubblicati in passato sulla Gazzetta dell’Unione,
“in caso di dubbio fondato circa l’origine delle merci”,
è ricompreso, appunto, quello relativo alle “Importazioni
di zucchero nella Comunità originario dei paesi dei balcani occidentali”. Il fatto che l’avviso in parola mirasse a rendere edotti gli importatori circa i dubbi sussistenti in ordine all’origine dello zucchero importato dai
Balcani, non pare, pertanto, seriamente discutibile.
3.5. Sulla vicenda per cui è causa sono intervenute,
d’altro canto, anche importanti precisazioni, sia della
giurisprudenza Comunitaria che di quella nazionale.
3.5.1. Con specifico riferimento ad importazioni di zucchero dalla Croazia – come tali sottoposte al regime daziario preferenziale, ai sensi dell’Accordo CE-Croazia
summenzionato – effettuate dopo la pubblicazione del citato avviso del 26.6.02, ha avuto modo, invero, di pronunciarsi il Trib. Primo Grado CE, con la decisione
dell’8.10.08, T- 51/07, confermata in appello dalla decisione C. Giust. CE, 1.10.09 n. 552, C-552/08.
Nella vicenda oggetto di esame da parte del Tribunale, a
seguito di indagini esperite dall’OLAF sullo zucchero di
asserita provenienza croata, emergeva che doveva essere
radicalmente esclusa l’origine e la provenienza dai Balcani di tale prodotto, con la conseguenza che le autorità
croate provvedevano a “revocare” tutti i certificati EUR
l, rilasciati in ordine allo zucchero in questione.
Orbene, il Tribunale muove – al riguardo – dalla considerazione del tenore “chiaro ed inequivocabile” del disposto dell’art. 220, n. 2, lett. b), co. 5 CDC, a norma del
quale la pubblicazione dell’avviso agli importatori, nella G.U.C.E., “non consente la possibilità che il debitore
dimostri la propria buona fede adottando misure supplementari al fine di assicurare l’autenticità e l’esattezza
dei certificati per l’applicazione del regime preferenziale”. Per il che, l'”effetto assoluto”, che lo stesso
.11’avviso agli importatori, in punto
Tribunale ascrive
esclusione della rilevanza della buona fede
dell’importatore, potrebbe essere temperato, “in circostanze eccezionali”, solo nel caso in cui l’operatore
economico alleghi di avere proceduto “in seguito alla

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pubblicazione di un tale avviso, ma precedentemente
all’importazione, a misure supplementari di verifica che
hanno confermato l’origine delle merci”.
Ma nulla di tutto questo si è verificato nel caso di specie, nel quale – a ben vedere – la buona fede della Roitz
s.r.l. (ed anche dell’importatore Agroforest s.r.1.) è
ancorata dalla ricorrente piuttosto al fatto che, per
ogni singola operazione di importazione, eseguita ad onta
dell’ avvenuta pubblicazione dell’avviso sulla Gazzetta
ufficiale, i certificati EUR l erano stati rimandati dalla Dogana di Gorizia a quella di Osijek, che ne aveva
confermato l’autenticità, salvo, poi, provvedere – a seguito di ulteriori accertamenti – alla loro revoca.
In altri termini, il fatto che la Dogana croata abbia, in
sede di prima revisione dei certificati, confermato la
loto autenticità, comporterebbe il permanere, o – quanto
meno – una sorta di reviviscenza della buona fede
dell’importatore e del di lui rappresentante, per il sopravvenuto comportamento confermativo dell’autorità doganale emittente i certificati di origine della merce importata. La ricorrente in via incidentale fa leva, inoltre, sulla circostanza che, essendo la ditta esportatrice, IPK Tvornica, un’azienda di Stato, la regolarità dei
certificati di origine emessi dalle autorità croate su
richiesta di quest’ultima non avrebbe potuto essere ragionevolmente posta in discussione da parte dell’ importatore.
3.5.2. Tali assunti della Roitz s.r.l. sono, tuttavia,
palesemente privi di fondamento. La giurisprudenza comunitaria è – per vero – del tutto pacifica nell’affermare
che il debitore dei dazi doganali non può nutrire un “legittimo affidamento” quanto alla validità dei certificati
EUR l, per il fatto che essi siano stati ritenuti inizialmente veritieri e autentici da parte delle autorità
doganali dello Stato di esportazione, dovendo considerarsi, al riguardo, che le operazioni effettuate dagli uffici in questione, in relazione all’accettazione iniziale
delle dichiarazioni all’importazione, non ostano affatto
all’esercizio di controlli successivi da parte delle medesime autorità (cfr., in tal senso, Trib. Primo Grado
CE, 9.6.98, T-10/97 e T-11/97, C. Giust. CE, 9.3.06, C293/04).
D’altra parte, il co. 4 dell’art. 220 CDC prevede espressamente che la buona fede del debitore possa essere invocata “qualora questi possa dimostrare che, per la durata
delle operazioni commerciali in questione, ha agito con
diligenza per assicurarsi che sono state rispettate tutte
le condizioni per il trattamento preferenziale”. Ebbene,
la disposizione – nell’inequivoca lettura datane dalla
giurisprudenza comunitaria – non può che essere intesa
nel senso che il debitore deve essere in buona fede durante l’intera fase di compimento delle operazioni commerciali; il che equivale a dire che “la data determinante quando si prende in considerazione la buona fede del
debitore è quella dell’importazione” (Trib. Primo Grado,
8.10.08, cit., C. Giust. CE, 1.10.09, cit.).

Nel caso di specie, pertanto, durante le operazioni di
importazione, per il corso delle quali l’importatore deve
mantenere un comportamento accorto e diligente, la Roitz
s.r.l. era certamente del tutto consapevole, stante
l’avvenuta pubblicazione del menzionato avviso del
26.6.02, del rischio che correva ponendo in essere – sia
pure per conto della mandante Agroforest – operazioni di
importazione controverse quanto all’origine della merce,
ai fini dell’applicazione del trattamento daziario preferenziale; e dunque – stante l’inequivoco disposto del co.
5 dell’art. 220 CDC – la medesima non poteva, in alcun
modo, essere considerata in buona fede.
Ed è di tutta evidenza che la conferma dei certificati
EUR l, da parte dell’autorità doganale croata in sede di
prima revisione, non avrebbe potuto far sorgere
nell’importatore, e nel di lui rappresentante indiretto,
la buona fede esclusa all’atto delle importazioni, a meno
di non voler privare del tutto di significato il disposto
dell’art. 220, co. 4 e 5 CDC (così Trib. Primo Grado,
8.10.08, cit., C. Giust. CE, 1.10.09, cit.).
3.5.3. Né può in alcun modo rilevare, a giudizio della
Corte, il fatto che la ditta esportatrice, IPK Tvornica
fosse un’azienda di Stato, per cui la regolarità dei certificati di origine emessi dalle autorità croate su richiesta di quest’ultima non avrebbe potuto essere, di
certo, posta in discussione da parte dell’importatore.
Per le ragioni suesposte, infatti, non può revocarsi in
dubbio che il solo elemento decisivo, ai fini della rilevanza della buona fede dell’importatore, sia l’avvenuta
pubblicazione dell’ avviso suddetto sulla G.U.C.E., suscettibile di per sé – per il rilievo che deve attribuirsi alla diligenza dell’operatore commerciale durante
l’intera fase delle operazioni di importazione – di elidere la buona fede dell’importatore medesimo, senza che
possa avere rilievo alcuna la natura pubblica o privata
del soggetto esportatore, la cui trasparenza, in ordine
alla richiesta dei certificati d’origine all’autorità doganale, sia messa in dubbio dagli organi comunitari con
l’avviso in discussione.
D’altro canto, dalla succitata decisione del Trib. Primo
Grado CE, 8.10.08 si evince, altresì, che – a seguito di
indagini dell’Olaf esperite nel giugno 2003 – era emerso
che i dubbi della Comunità, sulla stessa ditta IPK Tvornica di Osijek erano risultati pienamente fondati, essendo emerso che la medesima “utilizzava per la sua produzione anche zucchero di canna importato” e, quindi, non
dell’origine preferenziale croata, “senza che fosse possibile distinguere i vari lotti di zucchero gli uni dagli
altri”.
3.5.4. Alla stregua di tutti i rilievi che precedono,
dunque, del tutto infondata si palesa, altresì,
l’ulteriore censura della società ricorrente incidentale,
secondo la quale il giudice di appello non avrebbe in alcun modo motivato sulla questione relativa all’ inosservanza dell’obbligo di vigilanza della Commissione CE,
previsto dall’art. 211 del Trattato, il cui inadempimento
non potrebbe non avere inciso sulla possibilità per

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– 12 –

l’importatore, quand’anche diligente e attento, di valutare le eventuali illegittimità compiute dalle autorità
doganali dei Paesi terzi. Con la conseguenza che ricorrerebbe, a parere della Roitz s.r.1., anche una palese violazione della succitata disposizione da parte della CTR,
non avendo la medesima tenuto in alcun conto la rilevanza
di tale comportamento inattivo dell’organo comunitario,
nella vicenda processuale in esame.
Senonchè, a giudizio della Corte, non può ritenersi sussistente, nella specie, né la dedotta nullità
dell’impugnata sentenza per totale carenza di motivazione
sul punto, né – tanto meno – la violazione dell’art. 211
del Trattato CE, secondo il quale la Commissione “vigila”
sull’applicazione delle disposizioni del Trattato istitutivo della CE. Ed invero, l’impugnata sentenza ha dato
adeguatamente conto del fatto che la finalità dell’avviso
agli importatori, del 26.6.02, era stata proprio quella
di mettere questi ultimi “in guardia” da possibili ipotesi di commercializzazione fraudolenta dello zucchero proveniente dai Balcani, per i consistenti dubbi nutriti
dalla Commissione circa la provenienza effettiva di tali
tipo di merce dai Paesi balcanici. Per il che, è evidente
che la Commissione di secondo grado ha, quanto meno implicitamente, escluso – a cagione dell’adozione di siffatto rimedio – un’inadempienza della Commissione Europea
agli obblighi sulla stessa incombenti, avendo rilevato,
altresì, che grava sull’operatore – in caso di pubblicazione di un avviso di tal fatta – l’onere di “cautelarsi
sia sul piano civilistico nei confronti dell’esportatore
sia con il ricorso agli strumenti amministrativi o giurisdizionali”.
D’altra parte, ad escludere la violazione del menzionato
art. 211 del Trattato CE, concorre la considerazione che
la pubblicazione di detti avvisi agli importatori costituisce proprio la misura cui la Commissione Europea – come si evince dalla menzionata Comunicazione del 30.10.12
– ha fatto ricorso, fin dal 2000, per informare gli operatori economici e le Amministrazioni degli Stati membri
dell’esistenza di fondati dubbi “circa l’origine delle
merci ammissibili ad un regime tariffario preferenziale”.
Ed, a fronte di tale iniziativa comunitaria, non può revocarsi in dubbio che incomba sugli operatori economici,
in caso di dubbi sull’origine dei prodotti importati,
adottare, nell’ambito dei loro rapporti contrattuali, i
provvedimenti necessari per premunirsi contro i rischi di
un’azione di recupero a posteriori da parte della autorità doganali degli Stati di importazione (cfr. C. Giust.
CE, 9.3.06, C-293/04).
3.5.5. Tutte le considerazioni che precedono inducono,
pertanto, la Corte a ribadire il principio – già affermato in una vicenda del tutto analoga alla presente (cfr.
Cass. 5387/12) – secondo cui, in tema di tributi doganali, lo stato soggettivo di buona fede dell’importatore
richiesto dall’art. 220, n. 2, lett. b), del Regolamento
CEE n. 2913/1992, ai fini dell’esenzione della contabilizzazione “a posteriori”, non può essere invocato qualora la Commissione abbia pubblicato nella Gazzetta Uffi-

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– 13 –

ciale delle Comunità Europee, “anteriormente alle operazioni di importazione” (come è accaduto nel caso concreto), un avviso in cui sono segnalati fondati dubbi circa
la corretta applicazione del regime preferenziale da parte del paese beneficiario. A tanto induce, invero, – come
dianzi rilevato – la considerazione del chiaro ed inequivoco disposto del co. 5 del citato art. 220, n. 2, lett.
b), come novellato dal Regolamento CEE n. 2700 del 2000
adottato dal Consiglio in data 16.11.00, anche alla luce
della suesposta interpretazione fornita nell’undicesimo
“considerando” del medesimo Regolamento.
3.6. Ma la conclusione cui si è pervenuti, circa
l’infondatezza delle ragioni fatte valere dalla Roitz
s.r.l. in via di ricorso incidentale, si fonda anche su
altri ordini di considerazioni, implicati dalle ulteriori
doglianze proposte dalla stessa contribuente.
3.6.1. Ci si duole, invero, da parte della ricorrente,
anche del fatto che l’autorità del Paese esportatore abbia emesso un provvedimento di revoca dei certificati EUR
l solo successivamente alla revisione a posteriori delle
dichiarazioni doganali ex art. 78 CDC e 32 dell’Accordo
CE-Croazia, e perfino allo svincolo delle garanzie fideiussorie consegnate in esecuzione del cd. regime del
“daziato sospeso” ex art. 164 del r. d. n. 65/1896, in
forza del quale le merci vengono immesse in libera pratica in sospensione dei dazi doganali, ma su garanzia concessa dall’importatore. Tale condotta dell’ amministrazione doganale costituirebbe, per vero, ad avviso della
Roitz s.r.1., una palese violazione del disposto
dell’art. 199 CDC, in forza del quale, una volta svincolata la garanzia rilasciata dall’importatore a seguito di
controllo a posteriori del documento di origine, favorevole all’operatore, ogni obbligazione doganale dovrebbe
ritenersi definitivamente estinta.
3.6.2. Senonchè – contrariamente a quanto sostenuto dalla
ricorrente incidentale – deve ritenersi, a giudizio della
Corte, che l’Amministrazione ben possa procedere a controllo “a posteriori” delle dichiarazioni, anche dopo lo
svincolo della garanzia fideiussoria relativa alle merci
interessate. Dal combinato disposto degli artt. 78, n. 3,
201, n. l, lett. a), 217, n. l, co. l, 220, n. 1, e 221,
nn. l e 3, del Regolamento CEE n. 2913/1992, si evince,
infatti, che l’unico limite a tale potere è costituito
dal termine triennale di prescrizione per la comunicazione della contabilizzazione di un diverso importo dei dazi
(Cass. 5387/12), non essendo l’Amministrazione di certo
vincolata alla prima valutazione di autenticità dei certificati di origine EUR 1, effettuata in sede di revisione ex art. 78 CDC (cfr. C. Giust. CE, 9.3.06, cit., che
fa riferimento, al riguardo, all’esercizio di “controlli
successivi” da parte dell’Amministrazione, dopo
l’accettazione iniziale delle dichiarazioni all’ importazione).
E neppure l’estinzione dell’obbligazione doganale, le cui
cause sono espressamente enunciate negli artt. 233 e 234
del citato Regolamento CE, potrebbe farsi in alcun modo
discendere, in via interpretativa, dalla tutela dell’af-

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– 14 –

fidamento dell’operatore economico – la cui sussistenza
è, peraltro, per le ragioni esposte, da escludersi nel
caso concreto – o dal disposto dell’art. 199 del medesimo
atto normativo. La norma da ultimo citata si limita, invero, a prevedere che “la garanzia non può essere svincolata finchè l’obbligazione doganale per la quale è stata
costituita non si è estinta o non può più sorgere. La garanzia deve essere svincolata non appena l’obbligazione
doganale è estinta o non può più sorgere”. Com’è del tutto evidente, pertanto, il disposto dell’art. 199 CDC non
fa che disciplinare un obbligo di restituzione della garanzia – che va, invece, mantenuta fino a quel momento non appena l’obbligazione doganale si sia estinta per una
delle cause previste dagli artt. 233 e 234 dello stesso
codice. Tale previsione integra, pertanto, una norma di
azione, tendente a regolare il comportamento della p.a.,
in caso di estinzione dell’obbligazione doganale (Cass.
5387/12), per una qualsiasi delle rqgioni elencate dal
CDC, non potendo da essa farsi, di contro, scaturire una
preclusione per l’Amministrazione doganale ad effettuare
– nel termine prescrizionale suindicato, il cui rispetto,
nel caso di specie, è incontroverso – successivi controlli sull’autenticità dei certificati EUR l, in un primo
tempo ritenuti autentici.
3.6.3. Né può in alcun modo rilevare il fatto che le merci importate siano state, nella specie, immesse in libera
pratica con svincolo delle garanzie, a seguito della procedura cd. del “daziato sospeso” ex art. 164 del r. d. n.
65/1896. Ed invero, tale procedura – la quale nei casi di
obiettiva incertezza circa il regime daziario applicabile
consente il rilascio “previo deposito a garanzia” della
merce sottoposta a vincolo doganale, prescindendo dal definitivo accertamento dell’obbligazione all’ importazione, nonché dalla sua puntuale liquidazione con relativa
riscossione – non attiene alla “fase genetica” del rapporto obbligatorio, che si realizza comunque con
l’introduzione nel territorio comunitario di merce proveniente da Paesi terzi, e con la destinazione al consumo
impressa dall’importatore mediante la dichiarazione doganale. La procedura in parola pertiene, invece, alla “fase
attuativa” di tale rapporto, che si instaura, in ogni caso, al momento di immissione delle merci in libera pratica con l’ accettazione della dichiarazione doganale (e
non al momento successivo della definitiva liquidazione
del tributo; sicchè essa non può in alcun modo incidere
sul diritto dell’ Amministrazione all’esazione del tributo, che permane fino alla prescrizione o all’estinzione
dell’obbligazione doganale in tal modo insorta (Cass.
21227/06, 25604/10).
Non giova – di conseguenza – al ricorrente in via incidentale neanche la considerazione che lo svincolo delle
garanzie fideiussorie sia avvenuto, nel caso concreto, in
osservanza della procedura del cd. “daziato sospeso”, imposta, nella specie, dalle obiettive incertezze sussistenti circa il regime daziario applicabile alle importazioni in discussione, non essendo il compimento di tale
procedura idoneo – per le ragioni suesposte – ad esaurire

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– 15 –

la vicenda concernente la riscossione dei diritti doganali che risultino, successivamente, dovuti dall’ importatore.
3.7. A tutto quanto precede, va – tuttavia – ancora soggiunto che un rilievo decisivo, ai fini del riscontro
della legittimità dell’atto impositivo emesso dall’ Agenzia delle Dogane nel caso concreto, assume altresì la
circostanza, del tutto pacifica nel giudizio, che i certificati EUR l, a suo tempo rilasciati dall’autorità doganale croata, siano stati successivamente da questa “revocati”, con nota del 25.5.04.
3.7.1. Secondo quanto si è in precedenza rilevato, invero, la prova della provenienza della merce, ai fini dell’
applicazione del regime di agevolazioni tariffarie concesse in base ad un regime preferenziale convenzionale,
fondato sull’origine dei beni importati, postula la prova
certa di tale origine, che può essere fornita solo attraverso il certificato EUR l. In un sistema di cooperazione
tra Stati membri, quale è quello del regime preferenziale
basato sulla ripartizione di competenze tra Stato
d’esportazione e Stato di importazione, qualsiasi anomalia tale da potere determinare l’invalidazione di detti
certificati, segnalata dal primo al secondo Stato, non
potrà, pertanto, che comportare la promozione, da parte
dello Stato di importazione, di un’azione di recupero dei
dazi doganali non riscossi, sull’erroneo presupposto
dell’applicabilità del regime daziario preferenziale.
3.7.2. In tal senso è, in verità, univocamente orientata
la giurisprudenza comunitaria.
Per vero, si è affermato, al riguardo, che perfino la comunicazione, inviata alle autorità dello Stato di importazione da quelle dello Stato di esportazione, a seguito
di un controllo a posteriori dei certificati di origine,
con la quale le autorità del suddetto Stato “si limitino
a constatare che il certificato di cui trattasi è stato
emesso irregolarmente e dev’essere, pertanto, annullato,
senza precisare i motivi dell’annullamento”, va considerato come un risultato del controllo che legittima le autorità dello Stato di importazione a procedere al recupero dei dazi doganali non riscossi. D’altro canto, a giudizio della Corte Europea, l’imposizione all’importatore,
sebbene non abbia preso parte ad alcun titolo alla commissione di un illecito doganale, del pagamento dei dazi
doganali, in caso di falsità dei certificati di origine
della merce importata, non è in contrasto con i principi
generali del diritto comunitario, di cui la Corte di Lussemburgo garantisce il pieno rispetto (C. Giust. CE,
17.7.97, C-97/95).
A fortiori, dunque, l’importatore non potrà opporsi com’è del tutto evidente – al recupero a posteriori dei
dazi all’importazione, laddove – come nel caso concreto i certificati EUR 1, rilasciati per l’importazione di
merci nell’Unione Europea, siano stati, addirittura, successivamente “annullati, in quanto il loro rilascio è viziato da irregolarità e l’origine preferenziale indicata
su di essi non ha potuto essere confermata all’atto di un

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-16 –

controllo a posteriori” (cfr., in tal senso, C. Giust.
UE, 15.12.11, C-409/10).
3.7.3. D’altra parte, va altresì osservato, al riguardo,
che dei suddetti certificati d’origine, indispensabili ai
fini di consentire l’applicazione del trattamento tariffario preferenziale, deve ritenersi l’inesattezza non solo quando risulti positivamente accertato che i prodotti
non soddisfano il requisito essenziale dell’origine, ma
anche ove all’esito delle indagini espletate non sia possibile disporre di elementi sufficienti per confermare
l’origine degli stessi, giacché – diversamente opinandosi
– si finirebbe con l’ammettere al beneficio dell’esenzione doganale merce di origine ignota. Di conseguenza, dal
momento che un certificato di origine “ignota” – per le
ragioni suesposte – va considerato come “inesatto”, le
autorità doganali, qualora accertino la falsità dei certificati di origine delle merci importate, e procedano ad
“invalidarli”, rectius a destituirli di efficacia probatoria, non hanno altra alternativa che procedere alla
contabilizzazione a posteriori dei dazi doganali, ai sensi dell’art. 78 del Regolamento CE 2913/92 (Cass.
14036/12, 13496/12).
In altri termini, qualora un controllo a posteriori non
consenta di confermare l’origine della merce indicata nel
certificato EUR l, si deve ritenere che essa sia di origine “ignota” e che, di conseguenza, il certificato EUR l
e la tariffa preferenziale siano stati concessi indebitamente (C. Giust. CE, 9.3.06, cit.).
3.8. Per tutte le ragioni che precedono, pertanto, il ricorso incidentale proposto, avverso la decisione di appello, dalla Roitz s.r.1., non può che essere rigettato.
4. Passando, quindi, all’esame del ricorso incidentale
proposto dalla Agroforest s.r.1., va rilevato che con i
primi tre motivi di ricorso – che, per la loro evidente
connessione, vanno esaminati congiuntamente – la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 78 e 220 CDC,
2697 c.c. e 7 1. 212/00, in relazione all’art. 360 n. 3
c.p.c., nonché la contraddittorietà della motivazione, in
relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.
4.1. Avrebbe, invero, errato la CTR – a parere della
Agroforest – anzitutto nel ritenere che non incombesse
sull’Amministrazione l’onere di provare gli elementi costitutivi della pretesa tributaria azionata, consistenti,
nella specie, nella dimostrazione che non sussistevano i
presupposti per il diritto all’esenzione daziaria in discussione.
Dipoi, il provvedimento impositivo impugnato dalla contribuente sarebbe, a parere della ricorrente, del tutto
privo di motivazione, non essendo sufficiente il richiamo
all’avvenuta revoca dei certificati di origine della merce importata.
Ed infine, totalmente illegittimo sarebbe, secondo la
Agroforest s.r.1., il recupero a posteriori dei dazi
all’importazione, operato in violazione degli artt. 78,
199 e 220 CDC, dopo che una prima revisione aveva data
esito favorevole nel senso dell’autenticità dei certificati EUR l, con conferma del regime di esenzione daziaria

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– 17 –

e svincolo delle garanzie, nel contesto dell’importazione
1 a “daziato sospeso”. La concessione dell’esimente della
buona fede, ai sensi dell’art. 220 CDC, in una situazione
di tal fatta, ad avviso della Agroforest, sarebbe stata,
v
di conseguenza, del tutto doverosa.
4.2. I motivi sono infondati, per tutte le ragioni già
ampiamente svolte a proposito del ricorso incidentale
della Roitz s.r.l.
4.2.1. Deve, invero, in sintesi, ribadirsi che, in via di
principio, poiché l’esimente comunitaria in esame presuppone la genuinità delle certificazioni poste a fondamento
della richiesta di esenzione, ossia la loro correttezza
formale e sostanziale, incombe, in ogni caso,
all’importatore che voglia fruire di detta esenzione, dimostrare l’esistenza cumulativa di tutti i presupposti
indicati dall’art. 220 C.D.C., mentre all’autorità doganale incombe esclusivamente l’onere di allegare e dimostrare l’irregolarità delle certificazioni presentate,
atteso che qualsiasi certificato che risulti inesatto autorizza il recupero dell’imposta a posteriori (Cass.
15297/08, 13680/09, 15547/10, 1583/12, C. Giust. UE,
438/12). Per il che, a fronte dell’accertata – con gli
strumenti di cooperazione e di indagine amministrativa
dell’Unione Europea – falsità del certificato di origine
della merce, resta del tutto irrilevante che il dichiarante abbia agito in buona fede ed in modo diligente,
ignorando un’irregolarità che abbia comportato la mancata
riscossione dei dazi, che il medesimo avrebbe dovuto altrimenti pagare. E’ chiaro, infatti, che la Comunità Europea non può essere tenuta a sopportare le conseguenze
di comportamenti scorretti dei fornitori dei suoi cittadini rientranti nel rischio dell’attività commerciale, e
contro i quali gli operatori economici ben possono premunirsi nell’ambito dei loro rapporti negoziali (C. Giust.
CE, 17.7.97, causa C-97/95, Cass. 1583/12, 13483/12,
15758/12). Ne discende che la buona fede dell’importatore
non lo esime da responsabilità per l’adempimento dell’
obbligazione doganale, essendo egli il dichiarante della
merce importata, quand’anche scortata da certificati inesatti o falsificati a sua insaputa (Cass. 14509/08,
15758/12).
Sotto i profili suesposti, pertanto, la censura della
Agroforest, concernente l’onere della prova, si paleserebbe già del tutto infondata.
Ad ogni buon conto, nel caso concreto – come si è in precedenza ampiamente osservato – siffatta problematica appare addirittura superata dal rilievo dell’avvenuta pubblicazione, sulla G.U.C.E., di un avviso agli importatori, idonea ad elidere in radice la rilevanza
dell’esimente in parola, ai sensi dell’art. 220, co. 5
CDC.
4.2.2. Per quanto concerne, poi, la motivazione dell’atto
impositivo, basti rilevare che il riferimento
all’avvenuta “revoca” dei certificati EUR l da parte
dell’autorità dello Stato di esportazione deve ritenersi
certamente idonea a supportare l’avviso di accertamento
emesso dall’Amministrazione nel caso di specie, tenuto

-18 –

conto del fatto che – come dianzi detto – tale invalidazione dei certificati di origine della merce importata è,
di per sé, sufficiente a determinare il dovere
dell’autorità doganale di recuperare i dazi all’ importazione non riscossi.
4.2.3. Quanto alla pretesa illegittimità del recupero a
posteriori dei dazi all’importazione, operato in violazione degli artt. 78, 199 e 220 CDC, dopo che una prima
revisione aveva data esito favorevole nel senso
dell’autenticità dei certificati EUR l, e dopo lo svincolo delle garanzie, non può che rinviarsi a quanto già ampiamente rilevato, sul punto, a proposito del ricorso incidentale proposto dalla Roitz s.r.1., dovendo ribadirsi
l’infondatezza di tale argomentazione, anche alla luce di
quanto già rilevato, in argomento, da questa Corte in una
vicenda del tutto analoga (Cass. 5387/12).
4.3. Con il quarto, quinto, sesto, settimo ed ottavo motivo di ricorso – che, per la loro intima connessione,
trattandosi di censure concernenti tutte l’irrogazione
delle sanzioni, vanno esaminati congiuntamente – la Agroforest s.r.l. denuncia la violazione degli artt. 16
d.lgs. n. 472/97, 7 1. n. 212/00 e 303 d.P.R. n. 43/73,
in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché l’omessa o
insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.
4.3.1. Si duole, invero, la ricorrente in via incidentale
del fatto che la CTR abbia escluso la violazione, da parte dell’Agenzia delle Dogane, del disposto dell’art. 16
d.lgs. 472/97, che disciplinerebbe – a parere dell’ Agroforest – una sequenza procedimentale ben precisa ed inderogabile, composta dall’atto di contestazione e dal susseguente atto di irrogazione delle sanzioni. Di contro,
l’Amministrazione avrebbe – a fronte delle commesse violazioni in materia di dazi doganali – emesso un unico atto, con il quale avrebbe, al contempo, contestato ed irrogato le sanzioni amministrative tributarie alla contribuente.
4.3.2. Inoltre, l’impugnato avviso di irrogazione delle
sanzioni sarebbe del tutto privo di motivazione, essendo
motivato per relationem con il richiamo del precedente
atto impositivo, con il quale l’Amministrazione aveva recuperato a tassazione i diritti doganali dovuti per
l’indebita applicazione del regime tariffario preferenziale sulle importazioni per cui è causa. E tuttavia,
l’atto in parola non era stato allegato all’avviso di irrogazione delle sanzioni, in violazione al disposto
dell’art. 7 1. 212/00.
4.3.3. L’impugnata sentenza, poi, avrebbe del tutto illegittimamente, a parere della Agroforest s.r.1., ritenuto
configurabile l’illecito amministrativo di cui all’art.
303 d.P.R. 43/73, anche nel caso di specie, nel quale la
contestazione non cadeva sulla quantità, qualità e valore
della merce importata, bensì sull’origine dello zucchero
introdotto nella Comunità dai Paesi balcanici.
E, per di più, tale impostazione avrebbe finito con il
pretermettere la natura sussidiaria della disposizione
succitata, avendone fatto applicazione, ancorchè fosse

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4

configurabile – nel caso concreto – la ben più grave fattispecie di contrabbando aggravato, ex artt. 282 e 295
d.P.R. 43/73.
4.3.4. del tutto carente sarebbe, infine, la motivazione
della sentenza di appello, laddove la CTR avrebbe ritenuto in alcun modo provata la buona fede dell’importatore,
anche ai fini dell’integrazione della fattispecie sanzionatoria amministrativa in capo alla società contribuente.
4.4. Le censure suesposte sono infondate.
4.4.1. Per quanto concerne, invero, la contestuale contestazione ed irrogazione delle sanzioni, deve ritenersi
che alcuna illegittimità derivi dal fatto che
l’Amministrazione doganale abbia emesso, nei confronti
della contribuente, un unico atto di contestazione ed irrogazione delle sanzioni. Ed invero, premesso che l’atto
impugnabile, ai sensi dell’art. 19, co. l, lett. c) del
d.lgs. n. 546/92, è costituito dal “provvedimento che irroga le sanzioni”, è evidente che l’omessa notifica
dell’atto presupposto, ovverosia dell’atto di contestazione ex art. 16 d.lgs. 472/97, non potrà che comportare
l’effetto di rendere impugnabile l’avviso di irrogazione
anche per contestare la stessa debenza delle sanzioni, e
non soltanto la loro misura (cfr. Cass. 21082/11).
Il momento di garanzia attinente alla possibilità di controdedurre all’avviso di contestazione delle violazioni,
non potrà, per vero, che essere recuperato consentendo al
contribuente di ricorrere avverso l’atto di esazione, facendo valere – il che è accaduto nel caso di specie, come
si evince dai motivi suesposti- anche ragioni attinenté
alla debenza stessa delle sanzioni, senza che ciò possa,
di per sé, comportare la nullità dell’atto irrogativo.
4.4.2. Del tutto infondata è, dipoi, anche la censura
concernente la motivazione dell’avviso di irrogazione
delle sanzioni. Ed invero, non può revocarsi in dubbio contrariamente a quanto sostenuto dalla contribuente che qualsiasi atto tributario possa essere motivato per
relationem ad un altro atto, laddove questo, oltre ad essere espressamente richiamato dal primo, sia ad esso allegato, ovvero trascritto nelle sue parti essenziali, o
già conosciuto dal contribuente per effetto di precedente
notificazione(cfr. ex plurimis, Cass. 6914/11, 13110/12).
Ebbene, nel caso concreto, che l’avviso di accertamento
suppletivo e di rettifica, richiamato dall’atto di contestazione ed irrogazione delle sanzioni, fosse noto alla
Agroforest s.r.1., poiché ad essa notificato in data
2.8.04, è conclamato dallo stesso tenore letterale del
controricorso della contribuente, che – oltre ad avere
espressamente dato atto della notifica dell’atto impositivo nella data suindicata – ha anche, con i primi tre
motivi di ricorso, provveduto ad impugnarlo.
La censura, dunque, non può che essere disattesa.
4.4.3. Del pari destituito di fondamento è, peraltro, anche il motivo di ricorso concernente la pretesa illegittima configurazione, da parte della CTR, dell’illecito
amministrativo di cui all’art. 303 d.P.R. 43/73, anche
nel caso di specie, nel quale la contestazione non cadeva
sulla quantità, qualità e valore della merce importata,

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bensì sull’origine dello zucchero introdotto nella Comunità dai Paesi balcanici.
Va osservato, infatti, che – in tema di sanzioni per le
violazioni delle disposizioni in materia doganale – costituisce illecito amministrativo a norma dell’art. 303
del d.P.R. n. 43/73, che punisce “le dichiarazioni relative alla qualità, alla quantità ed al valore delle merci
destinate alla importazione definitiva” non corrispondenti all’accertamento degli Uffici finanziari, anche la
falsa o difforme dichiarazione sull’origine, la provenienza e la destinazione delle merci. Per vero, in forza
di un’interpretazione estensiva della fattispecie, ancorata alla considerazione che l’elemento della “origine”
della merce assume rilevanza determinante nel diritto doganale ai fini dell’applicazione di norme “antidumping” e
di norme esonerative o agevolative, la sottrazione di tale condotta all’area della sanzione sarebbe in contrasto
con il principio costituzionale di ragionevolezza e con
la normativa comunitaria, secondo la quale – come da ultimo indicato nella citata sentenza della Corte di Giustizia UE del 15.12.11, C-409/10 – il certificato di origine è condizione per l’ottenimento del beneficio daziario (cfr. Cass. 13489/12, 14030/12).
Ne discende che la decisione di seconde cure, nella parte
in cui ha ritenuto legittima l’irrogazione delle sanzioni, sulla base di un’interpretazione estensiva della norma succitata, deve ritenersi del tutto corretta.
Né l’impostazione del giudice di appello appare in contrasto con la pretesa natura sussidiaria della disposizione succitata, atteso che – come questa Corte ha rilevato da tempo risalente – anche nell’ipotesi di reato di
contrabbando, il diritto alla riscossione del tributo,
degli interessi e delle relative sanzioni amministrative,
resta invariato, nonostante l’irrogazione della sanzione
penale, in quanto si ricollega alla responsabilità civile
e amministrativa nascenti dal reato commesso (Cass.
3136/62).
4.4.4. Per quanto attiene, infine, all’omessa motivazione
della sentenza di appello, in relazione alla prova della
buona fede dell’importatore, anche ai fini dell’ integrazione della fattispecie sanzionatoria amministrativa in
capo alla società contribuente, va rilevato che il vizio
in parola non è in alcun modo ravvisabile nell’impugnata
sentenza. La CTR ha, difatti, adeguatamente esposto il
suo convincimento circa l’esclusione di tale requisito,
anche in relazione al trattamento sanzionatorio, ancorando il suo convincimento alla vista esclusione di tale
presupposto, in conseguenza della – più volte menzionata
– pubblicazione nella G.U.C.E. dell’avviso agli importatori, idoneo a rendere i medesimi edotti, attesa anche la
loro qualità professionale, dei fondati dubbi esistenti
circa l’origine dei prodotti importati dai Paesi balcanici
4.4.5. Per tutte le ragioni che precedono, pertanto, anche il ricorso incidentale proposto dalla Agroforest
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5. L’accoglimento del ricorso principale comporta la cassazione dell’impugnata sentenza. Non essendo necessari
ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, nell’esercizio
del potere di decisione nel merito di cui all’art. 384,
co. l c.p.c., rigetta il ricorso introduttivo delle società contribuenti.
6. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno
poste a carico delle resistenti, nella misura di cui in
dispositivo. Concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei giudizi di
merito.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
accoglie il ricorso principale; rigetta i ricorsi incidentali; cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo delle società contribuenti; condanna le resistenti alle spese del presente
giudizio, che liquida in 10.000,00, oltre alle spese
prenotate a debito; dichiara compensate tra le parti le
spese dei giudizi di merito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 25.2.13.

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