Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9265 del 06/04/2021

Cassazione civile sez. I, 06/04/2021, (ud. 29/10/2020, dep. 06/04/2021), n.9265

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 6746/2018 proposto da:

C.M.R., – ved. M. -, elett.te domic. presso gli

avvocati Pittalis Pietro, Solinas Claudio, Trubbas Simonetta, dai

quali è rappres. e difesa, con procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di Siniscola, in persona del sindaco pro-tempore, elett.te

domic. presso domiciliato presso gli avvocati Masala Loreta, e

Canalis Antonio, che lo rappres. e difendono, con procura speciale

in calce al controricorso e in virtù della Delib. G.M. 21 marzo

2018, n. 57;

A.R.E.A. – Azienda Regionale per l’Edilizia Abitativa, già I.A.c.p.-

per la provincia di Nuoro, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, in via Monte Zebio n.

19, presso lo studio dell’avvocato Deiana Giovanni Maria,

rappresentata e difesa dagli avvocati Sanna Pietro Antonio, e Sanna

Giampietro, con procura speciale in calce al controricorso, in

virtù di Delib. presidenziale 14 marzo 2018, n. 967;

– controricorrenti –

B.E., + ALTRI OMESSI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 31/2017 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 23/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/10/2020 dal Cons. rel., Dott. CAIAZZO ROSARIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

NARDECCHIA GIOVANNI BATTISTA, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

udito, per la controricorrente A.R.E.A., l’Avvocato De Porcellinis,

con delega scritta, che si riporta agli atti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con citazione notificata il 2.1.87, M.R., Ma., B., A. e C.F. convennero innanzi al Tribunale di Nuoro il Comune di Siniscola e lo IACP per la provincia di Nuoro, e assumendo di essere proprietari di un’area di terreno sita in (OMISSIS), parzialmente occupata dai convenuti per realizzare alloggi d’edilizia economico-popolare, senza l’emanazione del decreto d’esproprio, chiesero la restituzione del terreno o, in subordine, la condanna dei convenuti al pagamento di una somma, da rivalutarsi, pari al valore venale del bene, oltre all’indennità per l’occupazione abusiva e al risarcimento dei danni per il mancato godimento di esso, con rivalutazione ed interessi legali.

Si costituirono gli enti convenuti resistendo alla domanda.

Intervennero in giudizio altri soggetti, quali intestatari catastali del terreno o eredi di tali soggetti, i quali aderirono alla domanda degli attori.

Con sentenza emessa nel 2006, il Tribunale rigettò la domanda, ritenendo che gli attori, come eccepito dai convenuti, essendo risultati intestatari del terreno unitamente ad altri soggetti – solo in parte intervenuti – non avessero provato di essere gli unici comproprietari dell’area occupata ed interessata dai lavori eseguiti degli enti convenuti, non sussistendo elementi che consentissero di escludere la contitolarità della proprietà in capo ai soggetti non intervenuti, contitolari catastali, mentre l’atto di cessione, cui anche il Comune aveva fatto riferimento, era stato sottoscritto in qualità di proprietari da persone, intestatarie catastali, diverse dagli attori.

Inoltre, il Tribunale rigettò l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dall’IACP, affermando che, trattandosi di risarcimento dei danni per attività illegittime, era configurabile la responsabilità concorrente dell’ente eccipiente in quanto tenuto a verificare che l’atto al quale dava esecuzione non fosse privo di effetti giuridici.

Avverso tale sentenza proposero appello C.M.R., + ALTRI OMESSI, quest’ultimi nella qualità di eredi di C.A., criticando la decisione di primo grado in quanto: il Tribunale non avrebbe potuto pronunciare sull’eccezione di difetto di legittimazione poichè tardiva (sollevata dopo che il Comune si era dichiarato disponibile a pagare le somme di cui alla scrittura privata, ovvero quale risultante dalla c.t.u., con espresso loro diniego di accettazione del contraddittorio); i cointestatari intervenuti avevano ammesso che il fondo era di proprietà degli stessi attori; altri cointestatari avevano rilasciato dichiarazioni sostitutive di notorietà, mentre i rimanenti non avevano reclamato diritti in relazione al terreno occupato; la sentenza impugnata aveva rigettato la domanda, pur affermando il principio della risarcibilità pro-quota.

Si costituirono gli appellati.

La Corte d’appello di Cagliari, con sentenza del 2010, in riforma della pronuncia impugnata, condannò il Comune convenuto e l’Area (costituitasi per lo Iacp) al pagamento, in solido, della somma di Euro di Euro 218.922,20, con rivalutazione monetaria dall’aprile del 1984 alla sentenza, oltre interessi legali. Al riguardo, il giudice di secondo grado osservò che: sulla premessa che nella fattispecie non occorreva la probatio diabolica, erano emersi plurimi elementi dimostrativi della titolarità della proprietà dell’area occupata in difetto di legittimo titolo, in capo agli attori originari (espressamente indicati: scrittura privata del 26.3.84 con dichiarazione di cessione; verbale di consegna all’Iacp del 28.3.83, sottoscritto dall’assessore comunale, in cui si dava atto della cessione bonaria del terreno in questione;

dichiarazione del sindaco di Siniscola del 5.7.84, relativa all’impegno dell’ente di corrispondere la somma di venti milioni di lire ai legittimi proprietari dell’area di mq 20.000; la mancata contestazione da parte del Comune circa i proprietari del terreno; il deposito di dichiarazioni sostitutive di notorietà nelle quali alcuni soggetti che avevano firmato il suddetto atto di cessione riconoscevano di non aver alcun diritto sui terreni); che era irrilevante l’atto di cessione bonaria non essendo possibile ravvisare nella dichiarazione di volontà dei soli cedenti un contratto di cessione, mancando la necessaria forma scritta; l’occupazione usurpativa legittimava il risarcimento dei danni quantificato nel valore venale del terreno occupato, come stimato dal c.t.u.

Avverso tale sentenza propose ricorso in cassazione l’Azienda Regionale per l’edilizia abitativa e, in via incidentale, il Comune di Siniscola; resistevano con controricorso C.M.R., ved. M., e P.A., quale erede di C.A. nelle more deceduta.

Con sentenza emessa nel 2012, la Corte di cassazione, riuniti i ricorsi, li accolse, e cassò la sentenza impugnata con rinvio alla Corte territoriale, osservando che: era infondata l’eccezione di tardività dell’eccezione sulla titolarità del rapporto sostanziale in capo agli attori, trattandosi di mera difesa nel merito non costituente eccezione in senso stretto; venendo in considerazione una pluralità di comproprietari, l’appartenenza del fondo illegittimamente occupato a più soggetti non implicava solidarietà attiva in un unico credito risarcitorio, ma l’insorgenza di un autonomo diritto di ciascuno dei comproprietari al risarcimento del pregiudizio sofferto; era dunque da determinare l’ammontare delle singole quote spettanti a coloro i quali avessero dimostrato di essere titolari del diritto di proprietà;

pertanto, il primo giudice non aveva pronunciato sulla suddetta questione, mentre la motivazione della Corte territoriale presentava aspetti contraddittori e lacunosi quali: non era stata giustificata la valorizzazione della scrittura del 26.3.84 e del successivo verbale di consegna, risultando il primo documento sottoscritto da soggetti che solo parzialmente corrispondevano a quelli che avevano proposto l’azione risarcitoria, divergenza di cui non era stata fornita adeguata spiegazione; la scrittura del 5.7.84, contenente l’impegno del Comune di pagare la somma prevista per la cessione dei beni, non presentava valore ricognitivo dell’altrui diritto di proprietà; che erano irrilevanti le dichiarazioni degli altri soggetti cointestatari catastali (peraltro contrastanti per alcuni soggetti con le loro dichiarazioni di successione).

La causa fu riassunta innanzi alla Corte d’appello di Cagliari da parte di C.M.R. e dai germani A., An. e P.G., quest’ultimi quali eredi di C.A. e di C.B. nelle more deceduta; si costituirono altresì in tale fase vari soggetto e per altri fu disposta l’integrazione del contraddittorio (come indicati a pag. 20 della sentenza impugnata).

Con sentenza emessa il 16.12.16, la Corte territoriale rigettò l’appello principale e quello incidentale avverso la sentenza di primo grado, osservando (dopo aver deciso su alcune questioni preliminari) che la censura sulla violazione dell’onere probatorio era infondata, in quanto: non era stata dimostrata, nè ciò era incontestato, l’esclusività della titolarità della proprietà in capo agli attori in riassunzione, o la contitolarità con terzi; infatti, il Comune, in primo grado, aveva precisato che la suddetta cessione dell’area non si era perfezionata perchè gli eredi di alcuni attori avevano prospettato, innanzi al notaio, varie difficoltà con altri eredi; la scrittura del marzo 1984 era stata sottoscritta solo da alcuni degli attori; non vi era prova della mancata realizzazione delle strade e dell’esclusività della proprietà, non specificamente individuate, dell’area destinata a sedime stradale in capo ad altri firmatari della scrittura privata; vi era divergenza tra il contenuto di tale scrittura e le dichiarazioni rese da alcuni firmatari in giudizio; le dichiarazioni delle parti non integravano un negozio d’accertamento; gli attori non avevano dunque dimostrato di essere gli unici comproprietari del terreno.

C.M.R., vedova M., ricorre in cassazione nei confronti del Comune di Siniscola, l’Area e degli altri appellati e intervenuti in riassunzione, con due motivi, illustrati con memoria. Resistono il Comune di Siniscola e l’A.R.E.A. con controricorsi; quest’ultima ha depositato memoria. Non si sono costituiti gli altri intimati.

Il Procuratore Generale ha depositato relazione, chiedendo il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, in quanto la Corte d’appello, quale giudice di rinvio, non uniformandosi alla pronuncia della Cassazione del 2012, avrebbe erroneamente affermato che quest’ultima si fosse limitata a rilevare i vizi della motivazione della sentenza di primo grado, prescindendo da ogni considerazione sull’avvenuto accertamento della titolarità del diritto di comproprietà in capo agli attori, avendo invece la Cassazione inteso affermare il diritto al risarcimento pro-quota da parte dei singoli comproprietari del terreno in questione.

Il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., artt. 324,346 c.p.c., art. 384 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, avendo il giudice del rinvio esclusa la formazione del giudicato interno riguardo alla prova della contitolarità della proprietà, dato che i convenuti avevano riproposto davanti al giudice d’appello l’eccezione della mancanza della prova della contitolarità. In particolare, i ricorrenti assumono che, poichè il rigetto della domanda risarcitoria, preceduto dal riconoscimento del diritto di comproprietà in capo agli attori, anche se non in via esclusiva, aveva reso i convenuti soccombenti virtuali, essi avrebbero dovuto specificamente censurare la sentenza impugnata con appello incidentale. Ne conseguirebbe, secondo la ricorrente, che la decisione del giudice del rinvio avrebbe negato il giudicato interno.

Il ricorso non merita accoglimento.

Il primo motivo è infondato. Invero, la Corte d’appello, quale giudice di rinvio a seguito della cassazione della precedente sentenza d’appello, si è attenuta ai principi di diritto affermati dalla Corte Suprema che aveva accertato un vizio di motivazione, ravvisando una illogica contraddizione del giudice d’appello secondo il quale, “essendo evidente la necessità, in relazione all’accertata presenza di comproprietari che non abbiano esercitato l’azione risarcitoria, di determinare l’ammontare della somma spettante a quelle parti che abbiano dimostrato di essere titolari del diritto di proprietà sul bene occupato, nei limiti delle quote ad esse spettanti. Sotto questo profilo non può non rilevarsi come il rigetto della domanda da parte del giudice di primo grado, in considerazione del fatto che non era stato provato che gli attori fossero gli unici proprietari dell’area, si risolve in un inammissibile non liquet”. Al riguardo, la Corte territoriale, muovendo dal rilievo che tale sentenza della cassazione non contenesse nessun accertamento della contitolarità del diritto di proprietà in capo agli attori – avendo appunto essa, come detto, evidenziato una contraddizione logica della motivazione che imponeva un necessario chiarimento in sede di merito – ha compiuto un nuovo accertamento dei fatti di causa, fondato anche sull’esame dei documenti prodotti, pervenendo al convincimento che, in effetti, non era stato dimostrato che gli attori – e gli intervenuti in adesione allo loro posizione- fossero gli unici comproprietari del fondo, mancando altresì la prova della misura della stessa quota di comproprietà.

La Corte di merito ha dunque rilevato che l’esame complessivo di tutti gli elementi probatori acquisiti inducesse ad escludere la dimostrazione della suddetta comproprietà e della relativa misura Pertanto, il motivo tende a riesaminare di nuovo i fatti, non essendo possibile invocare la violazione dell’art. 384 c.p.c.

Il secondo motivo appare assorbito dal rigetto del primo, dato che tale censura è fondata esclusivamente sull’interpretazione secondo la quale la Cassazione avrebbe accertato la comproprietà invocata dagli attori. Il motivo è comunque infondato in quanto la Corte territoriale ha ineccepibilmente affermato che, quantunque s’intendesse aderire all’interpretazione della sentenza di primo grado predicata nell’atto d’impugnazione, non potrebbe ritenersi formato il giudicato interno sulla prova della suddetta contitolarità poichè i convenuti avevano riproposto in appello l’eccezione relativa alla mancanza di tale prova, essendo essi totalmente vittoriosi in primo grado. Sul punto, il giudice di secondo grado ha correttamente fatto applicazione del consolidato orientamento – cui questa Corte intende dare continuità – per cui soltanto la parte vittoriosa in primo grado non ha l’onere di proporre appello incidentale per far valere le domande e le eccezioni non accolte e, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia ex art. 346 c.p.c., può limitarsi a riproporle, mentre la parte rimasta parzialmente soccombente in relazione ad una domanda od eccezione, di cui intende ottenere l’accoglimento, ha l’onere di proporre appello incidentale, pena il formarsi del giudicato sul rigetto della stessa (Cass., n. 9889/16).

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore di ciascuna parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida nella somma di Euro 6200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 29 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2021

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