Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9264 del 03/04/2019

Cassazione civile sez. lav., 03/04/2019, (ud. 29/03/2018, dep. 03/04/2019), n.9264

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3562/2015 proposto da:

C.P., Z.O., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA PRINCIPE AMEDEO N. 221, presso la SEGRETERIA NAZIONALE

CONFSAL-COMUNICAZIONI, rappresentati e difesi dall’avvocato GIOVANNA

COGO, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

EUROPA 190, presso lo studio dell’Avvocato ANNA TERESA LAURORA

dell’AREA LEGALE TERRITORIALE CENTRO DI POSTE ITALIANE,

rappresentata e difesa dall’avvocato FORTUNATA CIRINO, giusta delega

in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5670/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/07/2014 R.G.N. 7524/2012.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza depositata in data 15.7.2014, la Corte di Appello di Roma ha respinto il gravame interposto da C.P. ed Z.O. avverso la pronunzia del Tribunale della stessa sede, con la quale erano state rigettate le domande dei medesimi dirette ad ottenere la dichiarazione di nullità del termine apposto ai contratti stipulati con Poste Italiane S.p.A., ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1-bis, così come modificato dalla L. n. 266 del 2005, relativamente al periodo 7.2.2007-31.3.2007, nonchè la riassunzione in servizio ed il diritto al risarcimento del danno pari alle retribuzioni medio tempore maturate;

che avverso tale decisione i lavoratori hanno proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo contenente due censure;

che Poste Italiane S.p.A. ha resistito con controricorso;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che con il ricorso per cassazione si censura, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1-bis e si lamenta che la Corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto che la verifica del rispetto della percentuale del 15% delle assunzioni con contratto a termine, da parte della società datrice di lavoro, andasse effettuata con riguardo all’intero organico aziendale e, quindi, su base nazionale, anzichè con riferimento al personale in servizio presso la provincia di appartenenza della sede lavorativa degli assunti a termine; dalla qual cosa, sarebbe derivata, a parere dei ricorrenti, l’erroneo assunto dei giudici di merito che il testo del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1-bis, non contenga alcuna indicazione in senso limitativo e che, anzi, l’ipotesi aggiunta dal comma 1-bis della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 558, relativa alle imprese concessionarie del servizio postale, concorra proprio ad affermare che vada preso come parametro l’intero organico aziendale e non solo gli addetti al servizio postale in senso stretto, apparendo intenzione del legislatore quella di facilitare l’attività delle imprese concessionarie del servizio postale nel loro complessivo funzionamento; i ricorrenti deducono, inoltre, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, perchè i giudici di seconda istanza avrebbero omesso di pronunciarsi sulla contestazione dei lavoratori relativa al fatto che “l’ambito territoriale cui fare riferimento per il calcolo della percentuale doveva essere quello provinciale e non quello nazionale”, ed avrebbero erroneamente affermato che “i ricorrenti hanno lamentato il mancato rispetto della clausola di contingentamento, stante la necessità di prendere in considerazione ai fini del computo dell’organico aziendale soltanto i dipendenti addetti al servizio postale e secondo il criterio del Full Time Equivalent”;

che il motivo non è fondato: è assorbente, al riguardo, il richiamo a Cass. n. 13609/2015 (v., pure, in termini, Cass. n. 6765/2017), per la quale “in tema di contratto di lavoro a tempo determinato, il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1-bis, fa riferimento esclusivamente alla tipologia di imprese presso cui avviene l’assunzione – quelle concessionarie di servizi e settori delle poste – e non anche alle mansioni del lavoratore assunto, in coerenza con la ratio della disposizione, ritenuta legittima dalla Corte costituzionale con sentenza n. 214 del 2009, individuata nella possibilità di assicurare al meglio lo svolgimento del c.d. servizio universale postale, ai sensi del D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 1, comma 1, di attuazione della direttiva 1997/67/CE, mediante il riconoscimento di una certa flessibilità nel ricorso allo strumento del contratto a tempo determinato, pur sempre nel rispetto delle condizioni inderogabilmente fissate dal legislatore. Ne consegue che, al fine di fissare la legittimità del termine apposto alla prestazione di lavoro, si deve tenere conto unicamente dei profili temporali e percentuali (sull’organico aziendale) previsti dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1-bis”, trattandosi, appunto, di ambito nel quale la valutazione della sussistenza della giustificazione è stata operata ex ante direttamente dal legislatore (v. Cass., S.U., n. 11374/2016);

che la sentenza oggetto del presente giudizio risulta del tutto in linea con l’esplicitato orientamento, ormai consolidato e del tutto condiviso da questo Collegio, poichè la norma impone il rispetto “della percentuale non superiore al 15% dell’organico aziendale, riferito gennaio dell’anno cui le assunzioni si riferiscono”, senza alcuna distinzione per area di applicazione o di suddivisione per settore di occupazione;

che tale circostanza è particolarmente significativa, poichè, nello stesso articolo, per quanto invece attiene al trasporto aereo, si specifica che la percentuale vada riferita solo al personale addetto a servizi specifici: e, dunque, il fatto che una precisazione analoga, o altra limitazione, non sia stata introdotta per Poste Italiane S.p.A. dimostra, all’evidenza, l’intento del legislatore di considerare l’organico postale in modo unitario;

che, pertanto, non appare corretta ogni altra interpretazione che miri a ridurre la base di computo della percentuale di cui si tratta;

che, per quanto attiene al dedotto vizio di motivazione, premesso che il motivo presenta profili di inammissibilità per la formulazione non più consona con le modifiche introdotte dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile al caso di specie, ratione temporis, poichè la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata pubblicata, come innanzi riferito, il 15.7.2014, va ancora sottolineato che, correttamente, la Corte di merito ha affermato che il limite percentuale non superiore al 15%, individuato dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1-bis, fosse da calcolare sull’intero organico aziendale, con riferimento, quindi all’intera impresa, anzichè soltanto al settore postale oggetto della concessione; e ciò, in considerazione “degli elementi di natura sistematica e ricostruttiva e della finalità della norma antiabusiva del 2005 che ha stabilito il limite percentuale del 15%” (cfr., ex multis, Cass. nn. 753/2018; 6765/2017; 3031/2014);

che va, altresì, sottolineato, che i giudici di secondo grado, ricavando la delibazione del rispetto del limite percentuale dalle produzioni effettuate dalla società, hanno accertato che quest’ultima avesse fornito adeguata prova del rispetto, nell’anno 2007, del limite percentuale del 15% (anche applicando il criterio del full time equivalent: v. pag. 3 della sentenza impugnata), previa verifica della ritualità della produzione documentale e della pertinenza rispetto alla questione da decidere;

che, pertanto, il ricorso va respinto;

che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate complessivamente in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 29 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2019

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