Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9263 del 21/04/2011

Cassazione civile sez. I, 21/04/2011, (ud. 22/02/2011, dep. 21/04/2011), n.9263

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – rel. Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 17679/2006 proposto da:

S.V. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA DARDANELLI 37, presso l’avvocato CAMPANELLI Giuseppe,

che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA NAZIONALE DEL LAVORO S.P.A. (c.f. (OMISSIS) – p.i.

(OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA XXIV MAGGIO 43, presso lo

STUDIO LEGALE CHIOMENTI, rappresentata e difesa dagli avvocati

CURCURUTO Monica, GIARDINA ANDREA, giusta procura speciale per Notaio

Dott. MARIO LIGUORI di ROMA – Rep. n. 145972 del 22.6.06;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1688/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/04/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/02/2011 dal Consigliere Dott. RENATO BERNABAI;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato FLOCCO MARINA, per delega, che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato CURCURUTO che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

lette le conclusioni scritte del Cons. Deleg. BERNABAI: che il

ricorso possa essere deciso in Camera di consiglio, ricorrendo la

fattispecie di cui all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5; il P.G. Dott.

CICCOLO nulla osserva.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 6 marzo 1998 la signora S. V. conveniva dinanzi al Tribunale di Roma la Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. per sentire dichiarare, in principalità, la risoluzione, per eccessiva onerosità sopravvenuta, del contratto di mutuo in e.c.u., per l’ammontare di L. 100 milioni, da lei stipulato con la sezione autonoma del credito fondiario del predetto istituto;

con riduzione dell’ipoteca per le somme già pagate e la ripetizione dell’indebito per effetto del rischio di cambio, oltre al risarcimento dei danni. In subordine, chiedeva la riduzione ad equità della prestazione, ex art. 1468 cod. civ..

Costituitasi ritualmente, la Banca Nazionale del Lavoro chiedeva il rigetto delle domande e, in via riconvenzionale subordinata, l’accertamento dell’obbligazione del capitale e degli interessi residui, alle condizioni previste per i contratti di mutuo in Lire italiane a tasso variabile; o, in alternativa, l’applicazione delle clausole contrattuali sull’estinzione anticipata dei contratti di mutuo.

Con sentenza 5 marzo 2001 il Tribunale di Roma rigettava le domande attrici, con compensazione integrale delle spese di giudizio.

Il successivo gravame della signora S. era respinto dalla Corte d’appello di Roma con sentenza 14 aprile 2005, con la conseguente condanna alla rifusione delle spese del grado.

La corte territoriale, premessa l’inammissibilità, ex art. 345 cod. proc. civ., sia della domanda di nullità del contratto, sia della domanda di accertamento dell’inefficacia di clausole pretesamente abusive, formulate per la prima volta con l’atto di appello, motivava che il contratto di mutuo indicizzato in e.c.u. aveva natura aleatoria e non era quindi suscettibile di risoluzione per eccessiva onerosità, così come di riduzione ad equità.

Avverso la sentenza proponeva ricorso per cassazione, articolato in sette motivi e notificato il 29 maggio 2006, la signora S., deducendo:

1) la carenza di motivazione in ordine alla ritenuta preclusione, per novità, delle domande di nullità (art. 345 cod. proc. civ.);

2) la violazione del R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375, art. 117, (T.U. bancario) e la carenza di motivazione nel rigetto dell’eccezione di nullità del contratto;

3) la violazione degli artt. 1467 e 1469 cod. civ.;

4) la violazione dell’art. 1469 bis cod. civ., nell’erronea preclusione, per novità, della domanda di accertamento della vessatorietà di clausole, in realtà introdotta ritualmente sin dal primo grado;

5) la carenza di motivazione circa la violazione della L. 7 marzo 1996, n. 108, art. 1815, in ordine all’omessa dichiarazione di nullità degli interessi superiori al tasso legale;

6) la carenza di motivazione in ordine alla violazione del D.L. n. 385 del 1993, art. 39, per omessa pronunzia la richiesta di riduzione dell’ipoteca iscritta dalla Banca Nazionale del Lavoro sull’immobile offerto in garanzia;

7) la carenza di motivazione circa la violazione del divieto di anatocismo.

Resisteva con controricorso la Banca Nazionale del Lavoro. Depositata la relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ., cui faceva seguito una memoria illustrativa dalla ricorrente, il P.G. e i difensori delle parti precisavano le rispettive conclusioni all’adunanza del 22 febbraio 2011 in Camera di consiglio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la ricorrente deduce la carenza di motivazione in ordine alla ritenuta preclusione, per novità, delle domande di nullità.

Il motivo è infondato.

Anche a prescindere dall’erronea prospettazione (reiterata anche in successive censure) come vizio di motivazione della violazione di una norma processuale (art. 112 cod. proc. civ.), la novità della domanda di nullità non è certo esclusa, come sostiene la parte, dalla richiesta, già con l’atto introduttivo in primo grado, di un atto istruttorio come la consulenza tecnica d’ufficio, che non presupponeva necessariamente la domanda in oggetto.

Al riguardo, va notato che l’invalidità della clausola di determinazione degli interessi e dello stesso contratto, per indeterminatezza dell’oggetto (artt. 1346 e 1418 cod. civ.) nel contesto argomentativo del ricorso integrano l’oggetto di una domanda, e non di un’eccezione: onde non sarebbe, neppure in astratto, ammissibile una prospettazione implicita, desumibile – come scrive in memoria la ricorrente – dalle difese e deduzioni svolte nel corso del giudizio di primo grado, nè tanto meno il suo rilievo d’ufficio.

Il secondo motivo resta assorbito dalla statuizione che precede.

Anche se è vero che la corte territoriale ha ritenuto di scendere egualmente all’esame della clausola di rinvio agli usi per la determinazione del tasso di interesse, precisando che la sua validità sarebbe venuta meno solo a seguito dell’entrata in vigore del Testo unico bancario (D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385), tale pronunzia, aggiuntiva rispetto alla dichiarazione di inammissibilità della domanda, riveste valore di mero obiter dictum e non è quindi impugnabile autonomamente (Cass., sez. 3^ 9 aprile 2009, n. 8676;

Cass. sez. 3^, 19 febbraio 2009, n. 4053; Cass., Sez. 3, 5 giugno 2007 n. 13068).

Il terzo motivo appare manifestamente infondato.

L’alea di un contratto che, a norma dell’art. 1467 cod. civ., comma 2, non legittima la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, comprende anche le oscillazioni di valore delle prestazioni originate dalle regolari normali fluttuazioni del mercato qualora il contratto sia espresso in valuta estera (Cass., sez. 3^, 25 novembre 2002, n. 16.568; Cass., sez. 3^, 17 luglio 2003, n. 11200). In tale ipotesi, infatti, le parti, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, hanno assunto un rischio futuro, estraneo al tipo contrattuale prescelto, rendendo il contratto di mutuo, sotto tale profilo, aleatorio in senso giuridico, e non solo economico (sotto il profilo della convenienza).

Anche il quarto motivo, con cui si denunzia la violazione dell’art. 1469 bis cod. civ., si palesa manifestamente infondato.

La parte ricorrente contesta la novità della domanda – ritenuta dalla corte territoriale causa di inammissibilità, ex art. 345 cod. proc civ. – riproducendo un breve stralcio dell’atto di citazione notificato il 6 marzo 1998, in cui del tutto genericamente si allega “che nel contratto di mutuo, insieme ad altri, sono stati violati i diritti dell’attrice, in contrasto con la L. n. 52 del 1996, art. 25, di attuazione della direttiva 93/13 Cee, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori e l’art. 1469 bis cod. civ., commi 7, 10, 11, 18 e 19”.

Ma, a prescindere dal rilievo meramente incidentale di tale affermazione – che, come la stessa ricorrente riconosce, non si è tradotta in un petitum finale, in sede di conclusioni – si osserva come la normativa richiamata non sia applicabile ratione temporis ad un contratto stipulato anteriormente all’entrata in vigore della legge invocata. E’ infatti giurisprudenza consolidata di questa corte regolatrice che la validità, o no, di un contratto o di una clausola, in difetto di un’eventuale norma espressamente dichiarata retroattiva, dev’essere sempre riferita alla disciplina in vigore all’epoca della stipulazione; e non a quello della sua applicazione o della sua verifica giudiziale (Cass., sez. 6 luglio 2010 n. 15871;

Cass., sez. 3^, 17 luglio 2003, n. 11200; Cass., sez. 3^, 29 novembre 1999, n. 13339); salvo che per disposizioni di natura processuale (Cass. sez. unite, 1 ottobre 2003, n. 14669; Cass., sez. 1^, 28 agosto 2001, n. 11282).

Si tratta di un indirizzo fondato sull’impostazione tradizionale che considera il vincolo negoziale refrattario ad ogni sopravvenuta modifica normativa incidente sulla validità del rapporto: così riecheggiando la c.d. teoria del fatto compiuto; che, in sostanziale continuità con il principio del diritto quesito, esclude che una legge sopravvenuta possa modificare il regolamento di interessi voluto dalle parti al momento della conclusione del contratto.

E’ doveroso riconoscere che il quadro giurisprudenziale non appare sempre univoco in tema di nullità sopravvenuta di clausole originariamente valide nel momento genetico, in presenza di arresti che hanno invece affermato l’immediata vincolatività, anche in ordine ai rapporti in corso, delle nuove regole invalidanti: pur se con efficacia ex nunc, limitata alle prestazioni ancora da eseguire.

Ciò è però avvenuto, in tema di nullità assolute comminate ex novo da norme imperative, come in tema di usura (Cass., sez. 3^, 22 agosto 2007, n. 17854; Cass. sez. 3^, 31 gennaio 2006, n. 2140) ed antitrust (Cass., sez. 1^, 1 febbraio 1999, n. 827). Laddove la sanzione prevista per le clausole abusive dalla disciplina consumeristica, a tutela del contraente più debole, è solo l’inefficacia relativa (sia pur potenziata con la rilevabilità d’ufficio): per la quale la connotazione in termini di ordine pubblico, che ne avrebbe giustificato l’immediata applicazione ai rapporti in corso, talvolta suggerita in dottrina, non ha trovato seguito nella giurisprudenza di legittimità.

Del pari manifestamente infondato appare il quinto motivo, con cui si censura l’omessa dichiarazione di nullità degli interessi superiori al tasso legale.

Anche in questo caso, la statuizione di inammissibilità, per novità (art. 345 cod. proc. civ.), della domanda di accertamento della nullità – corredata del richiamo, in motivazione, delle conclusioni precisate dalla S., in primo grado, in ordine alla sola risoluzione per eccessiva onerosità del contratto di mutuo ed alla sua riduzione ad equità, ex art. 1468 cod. civ. – non appare contrastata, in punto di fatto, dalla ricorrente, che riconosce di non averla espressamente formulata in sede di edictio actionis.

Nè vale richiamare il principio della rilevabilità di ufficio della nullità (art. 1421 cod. civ.): da correlare sempre con il principio della domanda e con quello della corrispondenza tra chiesto e pronunciato (artt. 99 e 112 cod. proc. civ.). Al riguardo, a prescindere dalla vexata quaestio se il rilievo officioso trovi applicazione nella sola ipotesi in cui la nullità si ponga come ragione di rigetto di una domanda di condanna all’adempimento, in forza di un titolo la cui validità il giudice è tenuto sempre a verificare; o anche in presenza di domande aventi un oggetto diverso, come l’annullamento, la risoluzione, la rescissione (in senso restrittivo: Cass., sez. 2^, 6 ottobre 2006 n. 21632; per l’opinione possibilista: Cass., sez. 3^, 20 Agosto 2009, n. 18540; Cass., sez. 3^, 15 settembre 2008, n. 23674), e perfino l’accertamento di nullità per vizio diverso da quello astrattamente pertinente (in senso negativo: Cass., sez. lavoro, 26 giugno 2009, n. 15.093; Cass., sez. lavoro, 14 gennaio 2003, n. 435), è fuori discussione l’inapplicabilità dell’art. 1421 cod. civ., nell’ipotesi di difetto assoluto di domanda della parte direttamente interessata a far valere la nullità.

Sotto questo profilo, la tesi della rilevabilità d’ufficio finisce perfino con l’essere controproducente per la parte che la sostiene, perchè porterebbe al rigetto della domanda di risoluzione per eccessiva onerosità da essa svolta; senza dar luogo, peraltro, alla dichiarazione di nullità del contratto, o della clausola viziata.

Nel contesto dell’art. 1421 cod. civ., “rilevare” non significa, infatti, “dichiarare”, attenendo ad un’attività di verifica dei presupposti per l’accoglimento di una domanda ritualmente formulata e non certo ad una sentenza d’ufficio.

Non senza aggiungere che solo in memoria di replica, e comunque in modo generico e privo di autosufficienza, il ricorrente ha invocato l’inefficacia ex nunc della clausola di determinazione degli interessi ultralegali per sopravvenuta contrarietà a norme imperative (L. 7 marzo 1996, n. 108), senza neppure precisarne l’incidenza concreta sugli interessi addebitati e pagati, come puntualmente messo in evidenza dalla corte territoriale.

Il sesto motivo, con cui si denunzia la violazione del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 39 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) per omessa riduzione dell’ipoteca, è assorbito dalla precedente disamina della censura riguardante l’eccessiva onerosità del contratto.

L’ultimo motivo si palesa, infine, inammissibile, non avendo la parte allegato di aver formulato, al riguardo, uno specifico motivo di appello.

Il ricorso dev’essere dunque rigettato, con la conseguente condanna alla rifusione delle spese processuali, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità delle questioni trattate.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre le spese generali e gli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2011

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