Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9263 del 17/04/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 9263 Anno 2013
Presidente: VIRGILIO BIAGIO
Relatore: BRUSCHETTA ERNESTINO LUIGI

SENTENZA
sul ricorso n. 32051/07 proposto da:
Moragex di Gerbi Ascer e C. S.a.s., in persona del suo
legale rappresentante

pro tempore,

Ascer Gerbi,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Giuseppe Ferrari
n. 12, presso lo Studio dell’Avv. Giancarlo Pizzoli,
che la rappresenta e difende, giusta delega in calce al
ricorso;

Data pubblicazione: 17/04/2013

– ricorrente contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore
Generale

pro tempore,

elettivamente domiciliata in

Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura
Generale dello Stato, che la rappresenta e difende

ope

gq,

legis;
– controricorrente avverso la sentenza n. 302/34/06 della Commissione
Tributaria Regionale del Lazio, depositata il 7
novembre 2006;

udienza del 20 febbraio 2013, dal Consigliere Dott.
Ernestino Bruschetta;
udito l’Avv. Giuseppe Catinelli Guglielminetti, per
delega dell’Avv. Giancarlo Pizzoli, per la ricorrente;
udito l’Avv. dello Stato Gianna Galluzzo, per la
controricorrente;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Sergio Del Core, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.
Fatto

Con l’impugnata sentenza n. 302/34/06, depositata il 7
novembre 2006, la Commissione Tributaria Regionale del
Lazio, rigettato l’appello proposto da Moragex di Gerbi
Ascer e C. S.a.s., esercente un’attività di vendita al
dettaglio di abbigliamento, confermava la decisione n.
260/06/04 della Commissione Tributaria Provinciale di
Roma che aveva rigettato il ricorso della contribuente
avverso l’avviso di accertamento n. RCB2000592 IRPEF
ILOR 1997 col quale veniva recuperato a tassazione il
maggior reddito di £ 235.650.000, in luogo di quello
negativo dichiarato di meno £ 4.883.000, mediante

2

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

l’applicazione di superiori percentuali di ricarico,
dal 7,06% al 140% e ricavate dallo “studio di settore”
della specifica attività.
Secondo la CTR, così era detto in motivazione, la
contribuente “non aveva dato alcuna prova per superare
le presunzioni statistiche formate dagli studi di

statuiva l’inapplicabilità, al caso di specie,
dell’art. 115, comma 2, lett. e), d.p.r. 22 dicembre
1986, n. 917, nel testo vigente

ratione temporis,

che

escludeva dall’ILOR i redditi sociali conseguiti con il
prevalente lavoro proprio e dei familiari, ma a
condizione che gli addetti non fossero più di tre,
esclusi dal computo gli apprendisti, ma compreso il
titolare; questo perché, riteneva la CTR, “da quanto
affermato dalla contribuente nel Mod. 770”, il numero
degli addetti era invece superiore.
Contro la sentenza della CTR, la contribuente proponeva
ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
L’Agenzia delle Entrate resisteva con controricorso.
Diritto
1.

Col primo motivo di ricorso, la sentenza veniva

censurata a’ sensi dell’art. 360, comma l, n. 3 c.p.c.,
deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 39
d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, oltreché degli artt.
62 bis e 62 sexies d.l. 30 agosto 1993, n. 331, conv.
con modif. in l. 29 ottobre 1993, n. 427 e infine degli
artt. 2727 e 2729 c.c., in quanto, a giudizio della
contribuente, l’esito dello “studio di settore” non

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settore e dai parametri ministeriali”. La CTR, poi,

poteva, da solo, fondare l’accertamento; questo perché,
continuava la ricorrente, l’art. 39, coma l, lett. d),
d.p.r. n. 600 del 1973, ai fini della prova presuntiva
della ripresa a tassazione, prescriveva, invece, una
pluralità di fatti gravi, precisi e concordanti, che,
nella specie, l’Amministrazione non aveva offerto. La

d’imposta in discussione, cioè il 1996, erano
“applicabili i parametri presuntivi di ricavi e
compensi ex art. 3, comma 181/189 1. 28 dicembre 1995,
n. 549 fino all’entrata in vigore degli studi di
settore 1998”, laddove, invece, illegittimamente
dall’Ufficio era stato “applicato lo studio di settore
SMO5A, poi evoluto nello studio TMO5U a decorrere dal
periodo d’imposta 2003”; evoluzione, peraltro, resasi
necessaria per l’imperfezione del primo strumento,
tanto che l’Amministrazione stessa aveva raccomandato,
con sua Circolare, che, nell’uso degli studi di
settore, si dovesse però tener conto dell’esistenza di
specifiche circostanze idonee a giustificare
dichiarazioni di redditi inferiori rispetto a quelle
risultanti dalle statistiche. L’argomentazione del
motivo, si concludeva coi seguenti plurimi quesiti: “1.
L’accertamento induttivo fondato sull’applicazione di
percentuali di ricarico determinate sulla base di di
dati provenienti da uno studio dell’Ispettorato
Compartimentale delle Imposte Dirette, deve ritenersi
illegittimo sia per l’inidoneità di tali risultati a
costituire il fondamento delle presunzioni di cui

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contribuente, inoltre, rilevava che per l’anno

all’art. 39 co. l lett. d) d.p.r. 600/73 posto che
l’accertamento ex art. 39 d.p.r. 600/73 deve basarsi su
una pluralità di fatti certi la cui valenza probatoria
è stata esaminata con adeguata motivazione priva di
errori logici e giuridici; sia perché sconosciuto al
contribuente che non può contestarne l’inapplicabilità

tributario deve pronunciarsi con motivazione analitica
non potendo limitarsi ad affermazioni generiche dalle
quali non si evinca con precisione la coerenza logica e
correttezza giuridica del ragionamento perseguito. 3.
E/o se la percentuale di ricarico media del settore non
costituisce, in relazione alla singola impresa, un
elemento certo e preciso dal quale si possa validamente
provare, a fronte di scritture contabili regolarmente
tenute, l’omessa contabilizzazioni di ricavi. 4. E/o se
la percentuale di ricarico, ancorché frutto di uno
studio di settore, costituisca un dato che richiede il
conforto di elementi ulteriori per giustificare
l’attribuzione di un maggior reddito. 5. E/o se in tema
di accertamento delle imposte sui rediti e con
riferimento all’accertamento analitico-induttivo del
reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 39, comma l,
lett. d), d.p.r. 600/73, i valori percentuali medi del
settore non rappresentano un “fatto noto” storicamente
verificato, sul quale è possibile fondare una
2727 c.c.,

presunzione di reddito ex art.
piuttosto,

il

risultato

di

una

ma,

estrapolazione

statistica di una pluralità di dati disomogenei, che

5

al proprio caso di specie. 2. E/o se il giudice

fissa soltanto una regola di esperienza. Pertanto tali
valori, se non confortati da altre risultane sono
inidonei ad integrare i presupposti di cui all’art. 39
non costituendo presunzioni <>, in
quanto indicano, diversamente dai risultati valutativi
emergenti da medie elaborate con riferimento

interessata, solo in via ipotetica la redditività
dell’impresa (cfr. sentenza cass. n. 10960 del 27
febbraio 2007). 6. E/o se l’attività di accertamento ex
art. 39 d.p.r. 600/73 può fondarsi anche sull’esistenza
di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i
corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente
desumibili dalle caratteristiche e condizioni di
esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli
studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62-bis
d.l. 331/93. A tal fine, il giudice del merito non può
limitarsi ad affermazioni apodittiche circa
l’insussistenza di prove delle predette gravi
incongruenze bensì deve fornire adeguata motivazione in
punto di fatto affinché sia identificabile con
precisione la

ratio decidendi

(cfr, sentenza Cass. n.

9449 del 9 marzo 2006)”.
Il

motivo

è

inammissibile,

non

solo,

preliminarmente, per violazione dell’art. 366

ma
bis

c.p.c., giacché, con esso, non viene precisamente
circoscritto l’errore interpretativo addebitato al
giudice a quo;

bensì, si mescolano, in modo del tutto

eterogeneo e inscindibile, sia doglianze che riguardano

6

all’andamento economico della specifica impresa

error in iudicando,

tra l’altro differenti tra loro,

come in effetti sono per es. la lamentata impossibilità
di basare la prova presuntiva della ripresa analitico
induttiva sui soli studi di settore e l’uso illegittimo
dello studio di settore in luogo di altro e la
necessità di allegare all’avviso lo studio di settore

questo, tra l’altro, che, pur denunciato col quesito,
non trova corrispondenza nel titolo della censura e
nell’illustrazione del motivo; sia vizi motivazionali,
che, in effetti, avrebbero dovuto esser denunciati, ma
non lo sono stati, a’ sensi dell’art. 360, comma l, n.
5, c.p.c., laddove, in particolare, il giudice

a quo

vien censurato per le sue “affermazioni apodittiche”,
quindi, per aver mancato di “fornire adeguata
motivazione in punto di fatto” circa la dimostrazione
dei maggiori redditi; sia vizi di motivazione
giuridica, laddove, per es. si addebita alla CTR la
mancanza di “coerenza logica e correttezza giuridica
del ragionamento perseguito”, vizi, questi ultimi,
se

ex

non censurabili, perché eventualmente semplice

oggetto di correzione a’ sensi dell’art. 384, ultimo
comma, c.p.c. La formulazione del quesito, pertanto,
impedisce a questa Corte di impegnare in modo esatto il
proprio esercizio nomofilattico, non essendo chiaro che
cosa la ricorrente abbia realmente censurato e chiesto
(Cass. sez. II n. 22205 del 2010; Cass. sez. trib. n.
8487 del 2009).

7

utilizzato, “per conoscenza” del contribuente, vizio,

2. Col secondo motivo, la sentenza veniva censurata,
unitariamente, a’ sensi dell’art. 360, comma l, n. 3 e
5 c.p.c., dapprima per violazione e falsa applicazione
del “combinato disposto” di cui agli artt. 7, comma l,
1. 27 luglio 2000, n. 212 e 3 1. 7 agosto 1990, n. 241,
postea per omessa, insufficiente o contraddittoria

la decisione. A riguardo, innanzitutto, veniva dedotto
che la CTR, oltreché la CTP, avevano fondato le
decisioni “sulla efficacia probatoria o comparativa, di
un documento non nella disponibilità della
contribuente”, cioè lo studio di settore del “Centro
Informativo del Dipartimento delle Entrate”,
violazione delle disposizioni già indicate,

in
con

conseguente nullità dell’impugnato avviso. Il quesito
era il seguente: “se nel richiamare un documento
probante l’Ufficio sia tenuto a allegarne o riportarne
integralmente il contenuto nell’atto a norma degli
artt. 7, comma 1, l. 27 luglio 2000, n. 212 e 3 1. 7
agosto 1990, n. 241. Conseguentemente è nullo per vizio
di motivazione e violazione di legge il provvedimento
preso in mancanza di siffatta allegazione”.
Il motivo è inammissibile, per violazione dell’art.
366, comma l, n. 4, c.p.c.; oltreché, dell’art. 366

bis

c.p.c., in primo luogo perché il motivo e il quesito
non contengono alcuna minima traccia di una sintesi del
fatto decisivo e controverso denunciato col vizio
motivazionale; poi, perché il motivo e il quesito si
presentano come del tutto generici, non individuando in

8

motivazione circa un fatto controverso e decisivo per

alcun modo l’errore interpretativo addebitabile alla
CTR, con ciò mancando di individuare la regola di
diritto che questa Corte dovrebbe essere chiamata ad
affermare (Cass. sez. 11 n. 1063 del 2005; Cass. sez.
II n. 1317 del 2004).
3. Col terzo motivo, la sentenza veniva censurata a’

violazione e falsa applicazione dell’art. 115 d.p.r. 22
dicembre 1986, n. 917, applicabile

ratione temporis,

oltreché dell’art. 3, comma 5, d.p.c.m. 18 dicembre
1992, deducendosi, a riguardo, che la CTR era incorsa
in errore, laddove aveva ritenuto che il numero delle
persone addette che, ai fini dell’esenzione ILOR,
doveva esser inferiore a tre, era invece superiore.
Secondo la contribuente, al contrario, incontestata la
prevalenza del lavoro proprio dei soci e familiari,
siccome uno dei soci lavorava nella Società senza
carattere prevalente, al fine del computo ostativo del
beneficio, il socio in discorso doveva esser
considerato al 50%, come del resto dovevano esser
considerati al 50% gli altri due dipendenti, in quanto
impiegati a tempo parziale. Il quesito era: “se, pur
mancando nell’art. 115 comma 2 e bis, una esplicita
precisazione delle modalità con cui deve esser
verificato il rispetto del limite dimensionale, è
possibile adottare il criterio degli addetti presenti
in media nel corso dell’anno, già utilizzato
dall’Amministrazione in relazione ad altre disposizioni
normative per le quali è fatto riferimento al numero

9

sensi dell’art. 360, comma l, n. 3 c.p.c. per

dei dipendenti o di altri addetti (vedi art. 3, comma
5, d.p.c.m. 18.12.1992 concernente la determinazione
del contributo diretto lavorativo e la circolare n.
110/e del 1994 riguardante la sospensione dei termini a
favore delle imprese creditrici dell’ente Efim). La
predetta media andrà determinata sommando le giornate

d’imposta di riferimento, e dividendo il risultato per
312. Per l’individuazione del numero delle giornate dei
lavoratori dipendenti, si deve far riferimento alle
giornate retribuite risultanti dai modelli DM10 o, per
i lavoratori dipendenti a tempo parziale, dai modelli
01M. Per il titolare ed i soci che non apportano
esclusivamente capitale si presumono lavorate 312
giornate, da ragguagliare al periodo di effettivo
esercizio dell’attività se questa è iniziata o cessata
nel corso dell’anno. Qualora il socio partecipi a più
società e/o eserciti direttamente l’attività, il numero
delle giornate lavorative si presume pari a quello che
si ottiene dividendo 312 per il numero delle attività
esercitate in forma individuale e collettiva”.
Il mezzo è inammissibile per violazione dell’art. 366
bis c.p.c., poiché lo stesso non indica con precisione
la cosiddetta

regula iuris che l’adita Corte dovrebbe

essere chiamata statuire in luogo di quella adottata
dal giudice a quo che si assume erronea, bensì appare
meramente ripetitivo del contenuto argomentativo del
motivo (Cass. sez. un. n. 12339 del 2010; Cass. sez.
un. n. 16092 del 2009; Cass. sez. I n. 14682 del 2007).

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di lavoro riferibili a tutti gli addetti, nel periodo

ESENTE DA P.7177TONE
AI SPNS
– N.
N. 131 TAD.
MATERIA TR-b3uTAluia,
4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate

come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso,
condanna la ricorrente Moragex di Gerbi Ascer e C.
S.a.s. a rimborsare alla resistente Agenzia delle

per compensi, oltre a spese prenotate.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del
giorno 20 febbraio 2013

Entrate le spese processuali, liquidate in C 5.000,00

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