Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9261 del 20/05/2020

Cassazione civile sez. III, 20/05/2020, (ud. 16/12/2019, dep. 20/05/2020), n.9261

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21514-2018 proposto da:

M.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ARNOBIO N

11, presso lo studio dell’avvocato LUCA ZONETTI STUDIO LEGALE,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIAMPIETRO RISIMINI;

– ricorrente –

contro

ME.RO., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PACUVIO, 34,

presso lo studio dell’avvocato CHIARA ROMANELLI, rappresentata e

difesa dagli avvocati FELICE FORMICA, ALBERTO SARDANO;

– controricorrente –

e contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 793/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 08/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/12/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore generale Dott. CARDINO Alberto, che ha chiesto

l’accoglimento del motivo 2 di ricorso.

Fatto

RITENUTO

che:

1. M.S. ricorre, affidandosi a tre motivi illustrati anche da memoria, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Bari che, riformando la pronuncia del Tribunale di Bari-Monopoli, aveva accolto la domanda proposta da Me.Ro. e S.M. per l’accertamento della sua responsabilità professionale in relazione alla controversia intentata inutilmente nei confronti dei promissari venditori di un appartamento per il quale era stato da loro saldato il prezzo prima della stipula del contratto di acquisto e che era risultato gravato da iscrizioni ipotecarie effettuate poco prima dell’inizio della lite, intentata ex art. 2932 c.c.

1.1. Per ciò che qui interessa, il Tribunale riconobbe soltanto l’inutilità della controversia, condannando il M. a restituire le somme pagate dai clienti a titolo di spese legali ed affermando che il danno dedotto era compensato dalla permanenza nell’immobile da parte degli attori per il periodo di circa 17 anni, in quanto la somma versata corrispondeva al valore locativo di esso.

1.2. La Corte d’appello ha riformato tale pronuncia, riscontrando l’esistenza del danno e respingendo l’eccezione di compensazione. Ha pure escluso che ricorresse la copertura assicurativa invocata in relazione alla condanna alla restituzione delle spese, in quanto tale statuizione non aveva natura risarcitoria.

2. Hanno resistito gli intimati.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in violazione dell’art. 111 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.

1.1. Assume, al riguardo, che non sarebbe stata esaminata la mancanza di prova relativa alle iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli a carico dell’immobile oggetto dell’azione proposta, ritenuta apoditticamente dannosa per i suoi clienti, in quanto solo avendo contezza dello stato dei gravami pendenti sull’immobile, si sarebbe potuto valutare se l’azione alternativa ex adverso ipotizzata – e cioè la domanda di risoluzione del contratto preliminare e la restituzione del prezzo già pagato – sarebbe davvero stata vantaggiosa per i clienti in luogo di quella esperita ex art. 2932 c.c..

1.2. Deduce che solo in tal modo si sarebbe potuto parlare dell’esistenza di un nesso eziologico fra l’iniziativa difensiva ed il danno subito come l’alternativa processuale possibile e più vantaggiosa per i suoi clienti.

1.3. Il motivo è inammissibile.

1.4. Si osserva, infatti, che non ricorre affatto l’omesso esame dedotto, in quanto la Corte d’Appello ha espressamente vagliato lo stato dei crediti azionati nella procedura esecutiva, ponendola a raffronto con il valore dell’immobile acquistato dai clienti dell’avvocato ricorrente (cfr. pag. 11 ultimo cpv sentenza impugnata): proprio dal suddetto confronto i giudici d’appello hanno tratto il motivato convincimento che la strada della risoluzione del contratto preliminare e della domanda di restituzione del prezzo versato sarebbe stata indubbiamente più fruttifera di quella dell’azione intentata ex art. 2932 c.c., in quanto la capienza del bene non era ancora saturata dagli interventi dei creditori in quella esecuzione forzata che avrebbe poi determinato l’evizione dei suoi clienti.

1.5. L’inutilità dell’azione proposta e la ricorrenza dei presupposti per l’azione di responsabilità professionale è stata fondata dalla Corte su un percorso argomentativo logico ed al di sopra della sufficienza costituzionale, essendo stato, in sintesi, evidenziato che una semplice visura ipotecaria avrebbe potuto rendere manifesta l’inutilità pratica della scelta di ricorrere all’azione di cui all’art. 2932 c.c. e far ritenere, perciò solo, più conveniente l’azione di risoluzione contrattuale e di restituzione del prezzo.

1.6. E, tanto premesso, la censura si risolve in una richiesta di rivalutazione di merito delle emergenze processuali, non consentita in sede di legittimità (cfr. Cass.18721/2018; Cass. 31546/2019).

2. Con il secondo motivo, lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 1241 c.c. nonchè l’omesso esame di punti decisivi della controversia.

2.1. Assume che la Corte d’Appello aveva erroneamente escluso la ricorrenza della compensatio lucri cum damno affermando che il vantaggio patrimoniale ottenuto dai suoi clienti e cioè il prolungato possesso dell’immobile compromesso in vendita non era idonea ad elidere il danno per l’evizione patita, in quanto non era dipendente dal medesimo fatto: deduceva che, invece, il danno ed il vantaggio erano derivati, entrambi, dalla strategia processuale, sia pure errata, e che l’azione di risoluzione per l’inadempimento dei promittenti venditori rispetto all’obbligo assunto con il contratto preliminare avrebbe comportato la restituzione del bene stesso e conseguentemente la perdita del vantaggio ottenuto coltivando l’azione di cui all’art. 2932 c.c..

Lamenta pertanto che erroneamente la Corte aveva escluso il diffalco che era stato riconosciuto dal primo giudice.

2.2. La censura è infondata.

Non sussiste, infatti, nel caso in esame quella identica fonte fra vantaggio e danno che tradizionalmente è considerata la principale condizione per l’operatività del principio invocato.

2.3. Infatti il vantaggio di cui i coniugi Me. S. hanno goduto, rappresentato dal godimento dell’immobile per numerosi anni, non è scaturito direttamente dall’esito delle azione di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. intrapresa dal ricorrente, ma dalla stipula del contratto di opzione con consegna anticipata dell’immobile e dal successivo inadempimento contrattuale messo in atto dai promittenti venditori che, una volta incamerato il prezzo pattuito, non avevano provveduto a trasferire la titolarità della proprietà del bene in capo ai promissari acquirenti, il cui vantaggio, dunque, si è concretizzato ancor prima che l’odierno ricorrente fosse stato incaricato di agire nei confronti dei promittenti venditori inadempienti e per ragioni diverse dalla lite intrapresa.

2.4. Non ricorrono, pertanto, i presupposti che costituiscono il principio cardine ormai consolidato dell’istituto della compensatio lucri cum danno (cfr. Cass. SUU 12564/2018)

3. Con il terzo motivo, infine, si deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione a falsa applicazione dell’art. 1917 c.c. nonchè l’omesso esame di fatti decisivi.

3.1. Il ricorrente lamenta, al riguardo, che la Corte territoriale aveva disconosciuto l’operatività della polizza stipulata per la responsabilità professionale in relazione alla restituzione del compenso percepito dal professionista, escludendone la natura risarcitoria ed affermando quella restitutoria.

3.2. La censura è inammissibile sotto entrambi i profili dedotti.

Si osserva, infatti, che quello ricondotto all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 è del tutto carente dell’indicazione del fatto storico, in tesi, non esaminato dalla Corte territoriale (cfr. ex multis Cass. SU 8053/2014).

3.3. Il profilo ricondotto, invece, alla violazione dell’art. 1917 c.c. non può trovare ingresso in questa sede perchè critica una valutazione della Corte d’Appello che involge l’interpretazione del contratto di assicurazione e che deve ritenersi insindacabile ove sia sostenuta, come nel caso in esame, da una motivazione congrua e logica.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte,

rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 7200,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione terza civile, il 16 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2020

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