Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9261 del 06/04/2021

Cassazione civile sez. I, 06/04/2021, (ud. 14/10/2020, dep. 06/04/2021), n.9261

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina Anna R. – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16197/2019 proposto da:

K.P., elettivamente domiciliato in Isernia, Via XXIV Maggio,

n. 33, presso lo studio dell’avv. Paolo Sassi, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositato il

4/4/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/10/2020 dal Cons. Dott. GIUSEPPINA ANNA ROSARIA PACILLI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto in data 28 marzo 2019 il tribunale di Campobasso ha rigettato il ricorso proposto da K.P. avverso il provvedimento, emesso dalla locale Commissione territoriale, di diniego della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o del diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14 o alla protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. In estrema sintesi, il tribunale molisano ha osservato che neppure sul piano delle allegazioni il ricorrente aveva prospettato gli elementi costitutivi del diritto di protezione, avendo il predetto dichiarato di essere venuto in Italia perchè aveva perso i genitori e la sorella e perchè non voluto bene dalla famiglia dell’uomo che la madre aveva sposato in seconde nozze. Il tribunale ha rilevato poi che nel (OMISSIS) non era in atto una violenza diffusa ed indiscriminata, rilevante D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c); ha constatato come non risultassero nemmeno dedotti fattori di vulnerabilità e, di conseguenza, ha rigettato le domande proposte, revocando nel contempo l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

2. K.P. ricorre per cassazione avverso questa pronuncia mentre il Ministero dell’Interno non si è costituito nei termini.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso è inammissibile.

3.1 Con il primo motivo il ricorrente lamenta congiuntamente la violazione di plurimi articoli del D.Lgs. n. 25 del 2008 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, l’omesso esame di fatto decisivo “in relazione alla mancata valutazione della vicenda personale del richiedente e della situazione, esistente in (OMISSIS), sulla base della documentazione allegata e dell’omessa attività istruttoria” e la “mancanza totale di motivazione” con riguardo allo status di rifugiato e alla protezione sussidiaria. Secondo il ricorrente, il tribunale avrebbe ritenuto che il richiedente aveva prospettato motivi di allontanamento di natura privata senza una vera motivazione, ricalcando di fatto la motivazione resa dalla Commissione territoriale senza alcuna confutazione delle critiche mosse dal ricorrente alla decisione della Commissione. Il tribunale, inoltre, avrebbe dovuto disporre l’audizione del richiedente, al fine di vagliarne la credibilità e avrebbe violato l’obbligo di cooperazione istruttoria. Il medesimo Tribunale, inoltre, avrebbe omesso qualsivoglia valutazione in merito ai presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, trascurando di considerare la vicenda personale del richiedente in relazione all’attuale sussistenza della violenza indiscriminata e diffusa, che coinvolge il (OMISSIS).

Le doglianze sono inammissibili.

Questa Corte ha più volte affermato che la domanda di protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli di ufficio (Cass., 29 ottobre 2018, n. 27336; 28 settembre 2015, n. 19197).

Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 infatti, stabilisce che il richiedente “è tenuto a presentare… tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la medesima domanda”. Il richiedente, quindi, non gode di alcuna agevolazione rispetto alle regole ordinarie del giudizio civile, tale da giustificare un quadro assertivo non adeguatamente circostanziato.

Una volta allegati, i fatti, posti a sostegno della domanda di protezione internazionale, vanno provati dal richiedente, sia pure entro speciali limiti e con peculiari agevolazioni. Si è, in particolare, affermato (Cass., 12 giugno 2019 n. 15794) che la già citata previsione, che sollecita il richiedente a depositare la documentazione necessaria, rende evidente che, in linea di principio, il giudizio, volto al riconoscimento della protezione internazionale, è governato dalle regole generali dettate in ordine al riparto dell’onere probatorio dall’art. 2697 c.c., comma 1 con la conseguenza che, se la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale non è provata, la domanda è da rigettare.

Se il richiedente, però, proprio a cagione delle persecuzioni o danni gravi subiti nel Paese di provenienza, o anche solo paventati, non è in grado di offrire la prova delle circostanze allegate, il principio dispositivo è attenuato e sorge il dovere c.d. di cooperazione istruttoria. Stabilisce, difatti, il menzionato art. 3, comma 5 che, qualora taluni elementi, posti a sostegno della domanda di protezione internazionale, non siano suffragati da prove (prove che dunque la norma ribadisce di porre di regola a carico dell’interessato), essi sono considerati veritieri, ove possa ritenersi che il richiedente, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda:

1) abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla e, così, abbia offerto tutti gli elementi pertinenti in suo possesso e fornito un’idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; 2) abbia fornito dichiarazioni coerenti e plausibili e non in contraddizione con le informazioni generali e specifiche, pertinenti al suo caso, e risulti altresì, in generale credibile.

Il dovere di cooperazione istruttoria, collocato esclusivamente sul versante probatorio, trova, quindi, “per espressa previsione normativa, un preciso limite tanto nella reticenza del richiedente (in ciò risolvendosi l’omissione di uno sforzo ragionevole per circostanziare i fatti) quanto nella non credibilità delle circostanze che egli pone a sostegno della domanda. Si tratta quindi di deficienze, reticenza e non credibilità, parimenti riferibili al quadro delle allegazioni, di guisa che, intanto si concretizza il dovere di cooperazione istruttoria, in quanto si sia in presenza di allegazioni precise, complete, circostanziate e credibili, e non invece generiche, non personalizzate, stereotipate, approssimative e, a maggior ragione, non credibili” (in questi termini Cass. n. 15794/2019 cit.).

Il principio che le dichiarazioni inattendibili del richiedente non richiedono approfondimento istruttorio officioso va opportunamente precisato e circoscritto nel senso che ciò vale per il racconto che concerne la vicenda personale del richiedente, che può rilevare ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Invece, il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, una volta assolto da parte del richiedente la protezione il proprio onere di allegazione, sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale inattendibile e comunque non credibile, in relazione alla fattispecie contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (Sez. 1, 29 ord. n. 10286 del 29/5/2020, Rv. 657711).

Alla luce di siffatte coordinate ermeneutiche deve rilevarsi – quanto alla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), che, nel caso in esame, il tribunale ha osservato che dal racconto del ricorrente non si desumevano fatti costitutivi del diritto al riconoscimento della protezione anzidetta.

Tale conclusione in ordine al difetto di allegazioni, non specificamente censurata dal ricorrente, comporta che il tribunale non aveva l’obbligo di attivare i poteri istruttori.

Per altro verso, deve rilevarsi che il ricorrente si è lamentato della mancanza della videoregistrazione e della mancata audizione dinanzi al tribunale ma non della mancata fissazione dell’udienza di comparizione ma questa Corte ha già avuto modo di affermare che, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza non consegue automaticamente anche quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale. Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale se risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero (Sez. 1, n. 3029 del 31/01/2019, Rv. 652410-01; Sez. 6, n. 2817 del 31/01/2019, Rv. 652463-01; Sez. 6, n. 32073 del 12/12/2018, Rv. 652088 – 01).

Nel caso in esame, in difetto di allegazione sui fatti costitutivi del diritto alla protezione e, dunque, di una domanda all’evidenza inammissibile, non vi era l’obbligo di disporre l’audizione del ricorrente.

Alla stregua di quanto precede deve rilevarsi, quindi, che il provvedimento impugnato, nella parte in cui ha denegato il riconoscimento dello status di rifugiato e la protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non si presta a censure di sorta.

3.1.1 Deve poi rilevarsi, in riferimento alla doglianza del ricorrente sulla mancata compiuta valutazione della situazione esistente in (OMISSIS), che il Tribunale, indicando le fonti di conoscenza, ha escluso una situazione di violenza, rilevante al fine della richiesta protezione internazionale.

A fronte dell’assunto, così declinato, il motivo si astiene dal dispiegare una critica in punto di diritto riconducibile nel perimetro dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e si risolve nella sollecitazione a rinnovare il sindacato di fatto esperito dal decidente di merito, in tal modo esponendosi alla declaratoria di inammissibilità.

4. Anche le doglianze relative al diniego della protezione umanitaria sono inammissibili.

In ordine alla protezione umanitaria, secondo la giurisprudenza di questa Corte la valutazione deve essere autonoma, nel senso che il diniego di riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie non può conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario che l’accertamento da svolgersi sia fondato su uno scrutinio avente ad oggetto l’esistenza delle condizioni di vulnerabilità, che ne integrano i requisiti (Cass. n. 28990/2018). Ciò nondimeno il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato ed il potere istruttorio ufficioso può esercitarsi solo in presenza di allegazioni specifiche sui profili concreti di vulnerabilità (Cass. n. 27336/2018).

Nel caso di specie, il ricorrente non ha assolto all’onere a suo carico, avendo il giudice del merito rimarcato – all’esito di valutazione immune da vizi – che dalle stesse dichiarazioni rese dal richiedente non si evinceva una situazione di vulnerabilità individualizzata e specifica. Peraltro, il ricorrente non aveva evidenziato particolari legami familiari con il territorio italiano, nè manifestato patologie da curare necessariamente in Italia.

5. Inammissibile è anche la terza censura, con cui si lamenta la violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 74, comma 2 e art. 136, comma 2, in uno al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 28-bis, comma 2, lett. a), poichè per giurisprudenza costante di questa Corte “la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, adottata con la sentenza che definisce il giudizio di appello, anzichè con separato decreto, come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136 non comporta mutamenti nel regime impugnatorio che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione ex art. 170 medesimo D.P.R., dovendosi escludere che la pronuncia sulla revoca, in quanto adottata con sentenza, sia per ciò solo impugnabile immediatamente con ricorso per cassazione, rimedio previsto solo per l’ipotesi contemplata dall’art. 113 D.P.R. citato” (Cass., 29 settembre 2019, n. 24405; ivi pure il richiamo di numerosi altri precedenti).

6. In conclusione il ricorso è inammissibile. Non deve essere assunta alcuna statuizione sulle spese processuali, non essendovi rituale costituzione del Ministero dell’Interno.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di legittimità. Sussistono i presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore contributo, così come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2021

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