Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9260 del 03/04/2019

Cassazione civile sez. trib., 03/04/2019, (ud. 20/03/2019, dep. 03/04/2019), n.9260

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8099/2013 R.G. proposto da:

N.L., rappresentato e difeso dall’Avv. Luigi Vannetiello,

elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Emilia

Spiniello, in Roma, Via Varo, n. 68, come da procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, legalmente rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale

dello Stato, nei cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, è

domiciliata ex lege;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania, sezione distaccata di Salerno, n. 504/4/2012, depositata

l’1 ottobre 2012;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 marzo 2019

dal Consigliere D’Orazio Luigi.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. L’Agenzia delle entrate emetteva avviso di accertamento nei confronti di N.L., con riferimento all’anno 2005, a seguito di acquisizione di dati bancari relativi a conti correnti a lui intestati presso Unicredit Banca s.p.a., Banco di Napoli, le cui movimentazioni erano state inserite in contabilità, e presso la Banca Popolare di Bari, non inserita in contabilità. Per quel che ancora qui rileva nell’avviso si accertavano maggiori ricavi per Euro 340.306,00, rideterminando la perdita subita in Euro 30.356,00.

2. La Commissione tributaria provinciale rigettava il ricorso del contribuente, con sentenza che veniva confermata dalla Commissione regionale, tranne che con riferimento a due prelevamenti di Euro 5.000,00 del 7-12-2005 e di Euro 25.000,00 del 15-11-2005, riducendo i maggiori ricavi ad Euro 310.306,00.

3. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il contribuente.

4. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con un unico motivo di impugnazione il contribuente deduce “violazione e falsa applicazione di norme di diritto dettate dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione norme di legge, carenza di motivazione della sentenza impugnata ed omesso esame su fatto decisivo per i giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Violazione o falsa applicazione di norme di diritto D.P.R. n. 600 del 1973 ex art. 32, comma 1, nn. 2 e 7 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, anche per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione”, in quanto l’indagine bancaria non è stata autorizzata dalle autorità competenti ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51.

1.1. Tale motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

Invero, con il motivo si censura la sentenza della Commissione regionale anche per vizio di motivazione, senza considerare però che, poichè la sentenza d’appello è stata depositata l’1-10-2012, il vizio di motivazione doveva essere articolato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, applicabile alle sentenze di appello depositate a partire dall’11-9-2012. La tralaticia censura fondata sulla “erronea, insufficiente e/o omessa motivazione” è del tutto inidonea alla impugnazione della sentenza per vizio di motivazione, dopo le modifiche di cui al D.L. n. 83 del 2012.

Il motivo è infondato, quanto alla dedotta violazione di legge, per assenza del provvedimento autorizzativo delle effettuate indagini bancarie.

Invero, costituisce principio consolidato di questa Corte quello per cui, in tema di IVA, la mancanza dell’autorizzazione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 7, ai fini della richiesta di acquisizione, dagli istituti di credito, di copia delle movimentazioni dei conti bancari, non implica, in assenza di previsioni specifiche, l’inutilizzabilità dei dati acquisiti, salvo che ne sia derivato un concreto pregiudizio al contribuente ovvero venga in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale dello stesso, come l’inviolabilità della libertà personale o del domicilio, in quanto detta autorizzazione attiene solo ai rapporti interni ed in materia tributaria non vige il principio, invece sancito dal c.p.p., dell’inutilizzabilità della prova irritualmente acquisita (Cass., 28 maggio 2018, n. 13353).

Infatti, l’assenza della autorizzazione suddetta, quale atto meramente preparatorio (Cass., 24 luglio 2018, n. 19564), non preclude l’utilizzabilità dei dati acquisiti, in quanto la stessa attiene ai rapporti interni e, in materia tributaria, non vige il principio della inutilizzabilità della prova irritualmente acquisita, salvi i limiti derivanti da eventuali preclusioni di carattere specifico (Cass., 4987/2003).

L’illegittimità delle indagini bancarie può essere dichiarata solo nel caso in cui le movimentazioni sono state acquisite senza autorizzazione, purchè tale mancanza abbia prodotto un concreto pregiudizio per il contribuente (Cass., 16874/2009).

Vige, infatti, il principio generale per cui non qualsiasi irritualità nella acquisizione di elementi probatori rilevanti ai fini dell’accertamento comporta, di per sè, l’inutilizzabilità degli stessi, in assenza della specifica previsione in tal senso, ma solo nelle ipotesi, tra cui non rientra quella in esame, in cui viene in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale, come l’inviolabilità della libertà personale o del domicilio (Cass., 27149/2011; Cass., 18 aprile 2018, n. 9480, ove si precisa che il contribuente deve dimostrare che l’assenza della autorizzazione ha comportato un concreto pregiudizio sì da inficiare il risultato finale del provvedimento; Cass., 3628/2017; Cass., 17457/2017).

Nel caso in esame, il contribuente non ha neppure allegato, nè ovviamente provato, il concreto pregiudizio eventualmente subito.

3. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, per il principio della soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 3.200,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 20 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2019

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