Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9259 del 17/04/2013
Civile Sent. Sez. 5 Num. 9259 Anno 2013
Presidente: PIVETTI MARCO
Relatore: CONTI ROBERTO GIOVANNI
SENTENZA
sul ricorso 2932-2011 proposto da:
AELLEBI SRL (già AELLEBI dei F.11i BERNA SNC), in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA VIALE PARIOLI 43,
presso lo studio dell’avvocato D’AYALA VALVA
FRANCESCO, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato DOMINICI REMO giusta delega in calce;
– ricorrente contro
AGENZIA DELLE DOGANE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
Data pubblicazione: 17/04/2013
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
–
controrícorrente
–
avverso la sentenza n. 60/2010 della COMM.TRIB.REG. di
GENOVA, depositata 1’08/06/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
GIOVANNI CONTI;
udito per il controricorrente l’Avvocato FIDUCCIA che
si riporta;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.
udienza del 11/02/2013 dal Consigliere Dott. ROBERTO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.Con sentenza resa 1’8 giugno 2010 la Commissione tributaria
regionale di Genova accoglieva il ricorso proposto dall’Agenzia
delle Dogane avverso la sentenza resa dalla CTP di La Spezia che
aveva accolto il ricorso proposto dalla Aellebi s.r.l. contro
l’avviso di rettifica emesso dall’Ufficio delle Dogane di La
Spezia per il pagamento del dazio antidumping in relazione ad
provenienza filippina, che gli organi di repressione delle frodi
comunitarie avevano successivamente acclarato essere, in realtà,
di origine cinese.
2. La CTR riteneva che l’atto impugnato, emesso successivamente ad
altro avviso di rettifica con il quale l’Amministrazione, per la
medesima operazione di importazione, aveva preteso il pagamento
del dazio per l’assenza dell’origine preferenziale al quale la
società
aveva
prestato
acquiescenza,
costituiva
legittimo
esercizio dell’attività dell’agenzia, la quale era sottoposta alla
disciplina comunitaria ed interna -artt.11 d.lgs.n.374/1990 e 221
Reg.CE n.2913/1992- alla cui stregua l’attività di accertamento
poteva essere compiuta entro il termine di tre anni dalla data in
cui era sorta l’obbligazione doganale.
Termine che doveva
ritenersi nel caso di specie pienamente rispettato, avendo
l’Agenzia dapprima acclarato, sulla base di controlli di origine
comunitaria(INF AMA 23/2005), l’errata provenienza della merce e
l’assenza del diritto al dazio preferenziale e, successivamente,
l’effettiva origine cinese della merce, con la richiesta, oggetto
di contestazione, del pagamento del dazio antidumping previsto.
2.1 Aggiungeva che l’inesattezza dei certificati era stata
ampiamente provata dall’Ufficio,
dovendosi
attribuire
alle
indagini condotte dall’OLAF piena efficacia probatoria, nemmeno
potendosi prospettare la buona fede del debitore in relazione al
carattere falso delle dichiarazioni fornite dall’esportatore, il
quale
aveva provocato l’inesattezza del certificato di origine
emesso dalle autorità doganali.
1
immissione di merce con certificazione di origine Form A di
3. La società contribuente ha proposto ricorso per Cassazione,
affidato a 6 motivi, al quale ha resistito l’Agenzia delle Dogane
con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4. Con i primi tre motivi
la società contribuente, evocando la
violazione e falsa applicazione degli artt.11 d.lgs.n.374/1990, 43
dPR n.600/73 e 57 dPR n.633/1972 e l’omessa motivazione della
5 c.p.c., l’erroneità della decisione impugnata per avere ritenuto
legittima l’adozione da parte dell’Agenzia di un secondo avviso di
rettifica dopo che l’Ufficio aveva provveduto ad emettere un
precedente avviso nel quale, per la medesima importazione, era
stato richiesto il pagamento del dazio in relazione all’accertata
assenza
dell’origine
preferenziale(Filippine)
della
merce
importata.
4.1 Secondo la società contribuente, peraltro, non ricorreva nel
caso di specie il requisito della novità degli elementi
giustificativi del secondo accertamento, visto che
l’amministrazione si era limitata a rivalutare gli elementi
preesistenti.Nè la CTR aveva adeguatamente motivato la ricorrenza
degli eventuali elementi di novità.
5. L’Agenzia delle Dogane ha dedotto l’infondatezza delle tre
censure, evidenziando che ai fini dell’accertamento a posteriori
in sede di revisione la Dogana soggiaceva alla disciplina
normativa prevista dagli artt.11 d.lgs.n.374/1990 e 221 Reg.CE
n.2913/1992.
6.
Le censure, che meritano in esame congiunto ponendo in
discussione la legittimità dell’azione amministrativa per la
asserita mancata ponderazione di ragioni giustificative nuove
rispetto a quelle poste a base del primo avviso di rettifica,
emesso nei confronti della società contribuente per la medesima
operazione di importazione, sono infondate.
6.1 Il dato dal quale la società muove è rappresentato dalla
ritenuta applicabilità, alla materia degli accertamenti doganali,
della disciplina prevista dall’art.43 D.P.R. n.600/1973 e
2
sentenza impugnata lamenta, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 e
dall’art.57 dPR n.633/1972 che, rispettivamente in tema di imposte
dirette e di imposte indirette, prevede l’istituto del c.d.
accertamento integrativo
6.2 Ma tale prospettiva è errata in diritto, non trovando dette
disposizioni applicazione nella materia doganale che qui viene
all’esame.
6.3 Ed infatti, il sistema delle fonti del diritto doganale
n.2454/1993 che lo ha attuato, il Testo unico leggi doganali-dPR
n.43/1973- al quale si affianca il d.lgs.n.374/1990 relativo al
riordino degli istituti doganali ed alla revisione della
procedura di accertamento e controllo.
6.4 A tale compendio di disposizioni si affianca la disciplina in
materia sanzionatoria-d.lgs.n.472/1997 – ed un corposo numero di
regolamenti ministeriali, tra i quali possono ricordarsi a titolo
esemplificativo il D.M.548/192 in tema di procedure semplificate
di accertamento doganale, il D.M. n.254/1994, relativo alla
semplificazione per l’ingresso della merce in territorio doganale
ed
il D.M.
n.256/1994
riscossione ed
,in materia di
identificazione delle merci nella fase dell’accertamento.
6.5 E’ poi il d.lgs.n.105/1990 a disciplinare l’organizzazione
centrale e periferica dell’amministrazione delle dogane.
6.6 Orbene, con specifico riferimento al d.lgs.n.370/1990, giova
ricordare che tale strumento normativo venne adottato sulla base
della legge n.349/1989 di delega al Governo a dare compiuta
del
attuazione alle direttive n. 79/695/CEE
Consiglio del 24
luglio 1979 e n. 82/57/CEE della Commissione del
17
dicembre
1981, relative alla armonizzazione delle procedure di immissione
in libera pratica delle merci,
alle
ed
direttive
del Consiglio del 24 febbraio 1981 e n. 82/347/CEE
81/177/CEE
della Commissione
del 23 aprile 1982,
relative
armonizzazione delle procedure di esportazione delle
comunitarie,
istituti
n.
ed
doganali
a
ed
provvedere
al riordinamento
revisione
alla
accertamento e controllo.
3
alla
merci
degli
delle procedure di
contempla- allo stato-, accanto al Reg.CE n.2913/1992 ed al Reg.CE
6.7 Ora, l’art. 3 D. Lgs. 8 novembre 1990, n. 374 chiarisce
che
i diritti doganali sono accertati, liquidati, e riscossi secondo
le norme del testo unico delle disposizioni legislative in materia
doganale, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23
gennaio 1973, n. 43 e delle altre leggi in materia doganale, salvo
che sia diversamente disposto dalle specifiche leggi che li
riguardano.
diritto comunitario, prevedendo che dazi, i prelievi e le altre
imposizioni all’importazione ed all’esportazione previsti dai
regolamenti comunitari sono accertati, liquidati e riscossi
secondo le disposizioni dei regolamenti stessi nonché, ove questi
rinviino alla disciplina dei singoli Stati membri o comunque non
provvedano, secondo le norme del T.U.L.D., e delle altre leggi in
materia doganale.
6.9 E’, poi, l’art.11 dello stesso d.lgs. cit. a prevedere che
“L’ufficio doganale puo’ procedere alla revisione
dell’accertamento divenuto definitivo, ancorche’ le merci che
ne hanno formato l’oggetto siano state lasciate alla
libera disponibilita’ dell’operatore o siano gia’
uscite dal
eseguita
d’ufficio,
territorio doganale.
revisione
La
quando l’operatore
ovvero
richiesta
con
e’
interessato
ne
abbia
fatta
istanza presentata, a pena di decadenza, entro
il termine di tre
dalla data in cui l’accertamento e’
anni
divenuto definitivo.”
6.10
Tale
disposizione
dell’art.10 della Dir.CEE n.
costituisce
specifica
attuazione
79/695/CEE del 24 luglio 1979, cit.,
che, dopo avere dato atto che i risultati delle verifiche della
dichiarazione presentata in dogana e delle merci costituiscono
ordinariamente la base per il calcolo dei dazi all’importazione
aggiunge, al par.2 che
“il paragrafo 1 non osta all’eventuale
esercizio dei controlli successivi da parte delle autorità
competenti dello Stato membro in cui ha avuto luogo l’immissione
in libera pratica delle merci né pregiudica le conseguenze che
possono risultarne in applicazione delle disposizioni vigenti, in
4
6.8 La medesima disposizione ribadisce, poi, la primazia del
particolare per quanto concerne la modifica dell’importo dei dazi
all’importazione applicati a dette merci”.
6.11 Va poi ricordato che l’art.78 Reg.CE n.2913/1992 prevede
espressamente che
“Dopo aver concesso lo svincolo delle merci,
l’autorità doganale può procedere alla revisione della
dichiarazione, d’ufficio o su richiesta del dichiarante. Dopo
aver concesso lo svincolo delle merci, l’autorità doganale, per
dichiarazione, può controllare i documenti ed i dati commerciali
relativi alle operazioni d’importazione o di esportazione nonché
alle successive operazioni commerciali concernenti le merci
stesse. Questi controlli possono essere effettuati presso il
dichiarante, presso chiunque sia direttamente o indirettamente
interessato alle predette operazioni in ragione della sua attività
professionale o da chiunque possieda, per le stesse ragioni, tali
documenti e dati. La medesima autorità può procedere anche alla
visita delle merci quando queste possano esserle ancora
presentate.3. Quando dalla revisione della dichiarazione o dal
controlli a posteriori risulti che le disposizioni che
disciplinano il regime doganale considerato sono state applicate
in base ad elementi inesatti o incompleti, l’autorità doganale,
nel rispetto delle norme in vigore e tenendo conto dei nuovi
elementi di cui essa dispone, adotta i provvedimenti necessari per
regolarizzare la situazione.”
6.12 E’, quindi, l’art.221 par.3 dello stesso Regolamento a
prevedere che
“La comunicazione al debitore non può più essere
effettuata tre anni dopo la data in cui è sorta l’obbligazione
doganale.”
6.13 Orbene, il composito quadro normativo di riferimento qui
necessariamente riportato non sembra lasciare spazio alcuno alla
possibilità di applicare in materia la disciplina prevista dagli
artt.43 3^ comma dPR n.600/1973 e 57 d.p.r.n.633/1972.
6.14 In questa direzione, del resto, depone lo stesso art.11
d.lgs.n.374/1990, laddove richiama testualmente, al comma 4, la
possibilità di applicare “le disposizioni previste dall’art. 52,
5
accertare l’esattezza delle indicazioni figuranti nella
commi dal 4 al 10, del decreto del Presidente della Repubblica 26
ottobre 1972, n. 633”.I1 che dimostra che quando il legislatore
delegato ha inteso applicare una disciplina estranea a quella
tipica doganale, ricorrendo alla legislazione in tema di IVA, ciò
ha fatto espressamente. Sicchè l’assenza di uno specifico
riferimento all’istituto dell’accertamento integrativo
disciplinato dall’art.57 dello stesso decreto legislativo sembra
6.14 Ed è solo il caso di evidenziare che, diversamente opinando,
si finirebbe con il rendere applicabile al sistema doganale una
disciplina interna che non può trovare applicazione in assenza di
uno specifico riferimento nella legislazione comunitaria, la
quale, per converso, si è presa cura di determinare, al pari degli
artt.43 e 57 sopra ricordati, i termini entro i quali può essere
compiuta l’azione di controllo a posteriori dell’amministrazione
doganale, senza tuttavia fare menzione dell’esigenza, invece
avvertita dal legislatore nazionale per le imposte dirette ed
indirette, di introdurre una limitazione all’attività di
accertamento suppletivo che, a pena di nullità, impone
all’amministrazione di specificare gli elementi nuovi a sostegno
dell’ulteriore accertamento a carico del contribuente.
6.15 In questo direzione, non sembra nemmeno spurio il riferimento
alla giurisprudenza di questa Corte -v.Cass.
12/09/2012 e Cass.
n.
n.
15207 del
6538 de/ 27/04/2012- che, in tema di
disciplina sugli aiuti di stato regolata dal diritto comunitario,
ha ammesso l’integrazione della disciplina nazionale in caso di
lacune(qui peraltro non riscontrabili) purchè questa sia conforme
ai principi del diritto comunitario.
6.16. In conclusione, deve ritenersi che il giudice di appello
bene ha fatto a considerare legittima l’attività di rettifica
posta i nessere dall’amministrazione dopo l’emissione di un primo
avviso di accertamento suppletivo che aveva acclarato
l’inesistenza
del
correlato
dazio
all’origine
preferenziale(filippina) della merce, una volta che, per effetto
dei successivi accertamenti dell’OLAF compiuti entro il termine di
6
confermare le considerazioni appena esposte.
prescrizione -della cui decorrenza non si fa questione nel caso di
specie, anche perché il secondo avviso è stato emesso nell’aprile
2007, a fronte dell’importazione risalente al 6 giugno 2005- è
emersa la natura cinese della merce ed il corrispondente obbligo
dell’importatore di versare il dazio antidumping normativamente
previsto. La motivazione della sentenza impugnata deve quindi
ritenersi congrua ed immune da vizi giuridici.
quarto motivo
di ricorso la società contribuente ha
dedotto la nullità della sentenza per omessa pronunzia, in
relazione all’art.360 comma l n.4 c.p.c., in quanto la CTR non
avrebbe risposto all’eccezione in ordine alla mancanza di
motivazione
del
nuovo
accertamento
sui
presupposti
per
l’applicazione del dazio antidumping.
8. La censura è infondata.
8.1 Ad onta di quanto affermato dalla società contribuente, la CTR
ha motivatamente disatteso l’asserita mancanza di elementi idonei
a giustificare l’accertamento in ordine ai dazi antidumping,
richiamando specificamente gli esiti della relazione dell’OLAF dai
quali era emerso che la merce importata, dopo un primo
accertamento che ne aveva escluso l’origine filippina, aveva
accertato l’origine cinese della stessa. Nessuna omessa pronunzia
è dato quindi riscontrare nella sentenza impugnata.
9.
Con il
quinto motivo
di ricorso la società contribuente
prospetta la nullità della sentenza per omessa pronunzia, in
relazione all’art.360 comma l n.4 c.p.c.,
in quanto la CTR non
avrebbe risposto alla dedotta violazione dell’art.7 1.n.212/2000
in relazione alla mancata allegazione di alcuni atti ritenuti
rilevanti ai fini della contestazione.
10. Anche tale censura, come puntualmente evidenziato dall’Agenzia
delle Dogane, è infondata.
10.1 Secondo l’orientamento radicato di questa Corte, l’atto di
rettifica tributario deve enunciare i criteri astratti in base ai
quali è stato determinato il maggior valore, ma non anche gli
elementi di fatto utilizzati per l’applicazione di essi, in quanto
il contribuente, presa conoscenza del criterio di valutazione
7
7. Con il
adottato,
è
in
condizione
di
contestare
e
documentare
l’infondatezza della pretesa erariale, fermo restando l’onere
della prova gravante sull’Amministrazione-cfr.Cass.
n.
14027
del
03/08/2012-.
10.2 Orbene, la CTR, nel caso di specie, dopo avere esposto in
punto di fatto che l’avviso di rettifica notificato alla società
contribuente conteneva specificamente l’indicazione della
della merce-v.pag.2 ult.rigo e pag.3 primo e secondo rigo
sent.impugnata-ha specificamente affermato che gli elementi
raccolti nei verbali dell’OLAF “e fatti propri nell’avviso di
accertamento”-v.pag.5 4^rigo sent.- erano “del tutto idonei a
giustificare la pretesa di recupero…”.
10.3 In questo modo, il giudice di merito si è perfettamente
uniformato alla giurisprudenza di questa Corte resa anche a
proposito degli artt.7 1.n.212/2000 in tema di allegazione degli
atti posti a base dell’accertamento e del suo contenuto
motivazionale-cfr.Cass.
n.
729
del
19/01/2010;Cass.
n.
26683
del
18/12/2009-e 11 comma 5 bis d.lgs.n.374/90
11. Con il
sesto motivo
di ricorso la società contribuente ha
dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art.220 par.2 del
Reg.CE n.293/1992, in quanto la CTR avrebbe erroneamente escluso
la buona fede dell’importatore, non potendo ritenersi che le
erronee informazioni fornite dall’esportatore siano in grado di
esonerare l’autorità doganale dalla responsabilità sulla stessa
ricadente per gli omessi controlli ai quali la stessa è tenuta.
11. La censura è infondata.
11.1 Ed invero,
la società contribuente ha omesso di considerare
che lo stato soggettivo di buona fede dell’importatore, richiesto
dall’art. 220 Regolamento CEE n. 2913 del 1992 non ha valenza
esimente “in re ipsa”, ma solo in quanto sia riconducibile ad una
delle situazioni fattuali individuate dalla normativa comunitaria,
tra le quali va annoverato l’errore incolpevole, ossia non
rilevabile dal debitore di buona fede, nonostante la sua
esperienza e diligenza, e che, per assumere rilievo scriminante,
8
informativa comunitaria dalla quale era emersa l’origine cinese
deve essere in ogni caso imputabile a comportamento attivo delle
autorità doganali, non rientrandovi quello indotto da
dichiarazioni inesatte dello stesso operatore-v.Cass.n.7674/2012-.
11.2 Peraltro, rispetto al requisito della buona fede
dell’importatore, il quale abbia confidato nella genuinità dei
certificati di circolazione di merci importate in regime
preferenziale rilasciati dall’esportatore, si è più volte
del dazio effettivamente dovuto ma, quando si faccia questione
dell’affidamento su un certificato attestante l’origine
preferenziale della merce rilasciato dall’autorità di un paese
terzo e che si accerti successivamente essere inesatto, rileva
solo se il rilascio irregolare di questo sia dovuto ad un errore
di detta autorità, che, oltre a non essere ragionevolmente
rilevabile dal debitore, il quale abbia comunque osservato tutte
le prescrizioni della normativa in vigore, non sia determinato da
una situazione inesatta riferita dall’esportatore.
11.3 Ciò in quanto, secondo
la giurisprudenza della Corte di
Giustizia, la Comunità non è tenuta a sopportare le conseguenze di
comportamenti
scorretti dei
fornitori dei
suoi cittadini
rientranti nel rischio dell’attività commerciale, contro il quale
gli operatori economici possono premunirsi solo nell’ambito dei
loro rapporti negoziali-cfr.Cass.
n. 15758 del 19/09/2012-.
11.4 D’altra parte, l’accertamento a posteriori della falsità
delle dichiarazioni o della documentazione provenienti
dall’esportatore, delle quali nessuna autorità debba
preliminarmente verificare o valutare la validità, e che si
rivelino mendaci in occasione di un successivo controllo, non
impedisce la contabilizzazione successiva dei dazi dovuti
dall’importatore che abbia fatto affidamento su tali mendaci
dichiarazioni giacché tale vicenda esclude la configurabilità di
un errore sull’interpretazione o applicazione dei testi doganali,
conseguenza del comportamento attivo delle autorità competenti per
il recupero o dello Stato membro di esportazione che abbia indotto
il debitore a rendere una dichiarazione inesatta e, quindi, la
9
affermato che tale stato soggettivo non lo esime dal pagamento
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sussistenza di uno dei presupposti richiesti dall’art. 5, n. 2,
del Regolamento CEE 24 luglio 1979, n. 1697, così come
interpretato dalla Corte di Giustizia CEE nelle sentenze 27 giugno
1991 in causa 348/89 e 14 novembre 2002, in causa C-251/00 cfr.Cass. n. 14032 del 03/08/2012-.
11.5 Orbene, nel caso qui all’esame della Corte la CTR si è
attenuta puntualmente al quadro dei principi giurisprudenziali
accertamenti dell’OLAF in ordine all’origine cinese della merce;b)
escluso l’errore attivo da parte delle autorità doganali in
ragione della falsità delle dichiarazioni rese dall’esportatore
all’atto della presentazione delle merci in dogana, qualificate
come di origine filippina.
12.11 ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza
PQM
La Corte
Rigetta il ricorso
Condanna la società contribuente al pagamento delle spese
processuali che liquida in euro 3500,00 per compensi, oltre
spese prenotate a debito.
Così deciso 1’11 febbraio 2013 nella camera di consiglio della V
sezione civile.
sopra richiamati, una volta che la stessa ha:a) valorizzato gli