Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9258 del 21/04/2011

Cassazione civile sez. I, 21/04/2011, (ud. 25/01/2011, dep. 21/04/2011), n.9258

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1731/2008 proposto da:

T.L. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA QUINTINO SELLA 41, presso l’avvocato BURRAGATO Rosalba, che

la rappresenta e difende unitamente agli avvocati DEFILIPPI CLAUDIO,

CIANFANELLI DEBORAH, giusta procura in calce al 2011 ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositato il

13/03/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

25/01/2011 dal Consigliere Dott. ANDREA SCALDAFERRI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata: ricorso improponibile, inammissibile in subordine

accoglimento per quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con decreto in data 7/13 marzo 2007 la Corte d’appello di Milano condannava il Ministero della Giustizia al pagamento in favore di T.L. della somma complessiva di Euro 1.200,00, a titolo di indennizzo del pregiudizio non patrimoniale, in conseguenza del superamento del termine di ragionevole durata di un processo (introdotto nel maggio 2000 e conclusosi con sentenza del Tribunale di Alessandria in data 24 gennaio 2007) relativo alla domanda dalla stessa avanzata nei confronti del proprio coniuge separato per ottenerne la condanna al rimborso delle somme versate per il pagamento di un mutuo concernente l’acquisto della casa coniugale.

1.1 – A fondamento della decisione, la Corte di merito rilevava che, al di là del periodo di ragionevole durata media del procedimento, indicata in anni tre, dovesse tenersi conto in concreto dei periodi inerenti a rinvii richiesti dalle parti “in pendenza di trattative” e di quello conseguente al differimento dell’udienza di precisazione delle conclusioni per impedimento del procuratore della ricorrente.

Determinato, sulla base di tali circostanze, il periodo di durata non ragionevole in anni due e mesi quattro, il danno non patrimoniale veniva quindi liquidato mediante attribuzione della somma di Euro 500,00 per ciascun anno di ritardo, vale a dire mediante una riduzione degli importi desumibili dai criteri di determinazione applicati dalla Cedu, tenuto conto dell’ordinanza, emessa in data 10.4.2001, dal Giudice istruttore ex art. 186 bis c.p.c., di condanna del convenuto al pagamento della medesima somma poi riconosciuta alla T. con sentenza, e maggiorata degli interessi legali successivamente maturati.

1.2 – Per la cassazione di tale decreto ricorre la T., deducendo due motivi.

Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2.1 – Con il primo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 6, par. 1 Cedu e della L. n. 89 del 2001, art. 2, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, e 5, per aver la Corte territoriale, pur riconoscendo la sussistenza della violazione del diritto alla ragionevole durata del procedimento, proceduto alla liquidazione in misura irragionevolmente ridotta rispetto a quanto previsto dalla normativa Cedu, così come interpretata dalla Corte di Strasburgo.

2.2 – Con il secondo motivo la medesima violazione viene prospettata in relazione alla liquidazione della somma relativa all’indennizzo, determinata senza tener conto della durata dell’intero procedimento, bensì solo del periodo successivo al superamento del termine considerato ragionevole.

2.3 – Pertanto, denunciata in via preliminare l’illegittimità costituzionale della norma contenuta nella L. n. 89 del 2001, art. 2, in relazione agli artt. 3, 24, 111 e 117 Cost., con particolare riferimento alla contrarietà alle previsione della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e alla giurisprudenza della Cedu, viene prospettato, quanto al primo motivo, il seguente quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.:

“Se il giudice nazionale, nel determinare il quantum dell’indennizzo da equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, sia vincolato al rispetto dei parametri imposti dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo”.

2.4 – In relazione al secondo motivo il quesito di diritto viene così formulato:

“Se, ai sensi del combinato disposto dell’art. 6 Cedu e della L. n. 89 del 2001, art. 2, il giudice nazionale, nel riconoscere l’indennizzo da equa riparazione, debba computare esclusivamente il periodo eccedente la ragionevole durata del processo ovvero l’intera durata della procedura stessa, come impone la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo”.

2.5 – Deve preliminarmente rilevarsi come al ricorso in esame, avente ad oggetto un provvedimento emesso nel marzo 2007, debbano applicarsi le disposizioni del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (in vigore dal 2.3.2006 sino al 4.7.2009), e in particolare l’art. 6, che ha introdotto l’art. 366 bis cod. proc. civ.. Alla stregua di tali disposizioni – la cui peculiarità rispetto alla già esistente prescrizione della indicazione nei motivi di ricorso della violazione denunciata consiste nella imposizione di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto al fine del miglior esercizio della funzione nomofilattica – l’illustrazione dei motivi di ricorso, nei casi di cui all’art. 360, comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto che, riassunti gli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito e indicata sinteticamente la regola di diritto applicata da quel giudice, enunci la diversa regola di diritto che ad avviso del ricorrente si sarebbe dovuta applicare nel caso di specie, in termini tali che per cui dalla risposta che ad esso si dia discenda in modo univoco l’accoglimento o il rigetto del gravame. Analogamente, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione del motivo deve contenere (cfr. ex multis:

Cass. S.U. n. 20603/2007; Sez. 3, n. 16002/2007; n. 8897/2008) un momento di sintesi – omologo del quesito di diritto – che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità.

2.6 – Il primo motivo ricorso in esame non è conforme a tali disposizioni, in quanto il quesito sopra riportato appare connotato da estrema genericità, inconferente (come tale assimilabile al quesito mancante: cfr. ex multis Cass., S .U. n. 11650/2008), nonchè privo di qualsiasi riferimento alla ratio decidendi del provvedimento impugnato, che, come sopra evidenziato, ha posto in evidenza la questione della minore afflittività della durata del procedimento, in considerazione della percezione, a seguito di ordinanza emessa nella fase iniziale del giudizio ai sensi dell’art. 186 bis c.p.c., della medesima somma poi riconosciuta alla T. con sentenza.

2.7 – Quanto al periodo considerato, valgano le seguenti considerazioni.

Premesso che il quesito proposto si fonda su una premessa non condivisibile – nel senso che la precettività, per il giudice nazionale, della giurisprudenza della Corte di Strasburgo non concerne anche il profilo relativo al moltiplicatore della base di calcolo – deve porsi in evidenza come, in ogni caso, allo stesso quesito la risposta non possa essere che negativa, in quanto il dovere, per il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, di interpretarla in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte Europea, opera entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della legge stessa (Cass., Sez. Un., 26 gennaio 2004, n. 1338), rimanendo comunque escluso che, in caso di contrasto, possa procedersi alla non applicazione della norma interna, in virtù di un principio concernente soltanto il caso del contrasto tra norma interna e norma comunitaria (Cfr. Cass., 29 marzo 2010, n. 7559; v.

anche Corte Cost. n. 348 e n. 349 del 2007).

2.8 – La questione di legittimità costituzionale risulta infondata alla luce del diverso principio enunciato dalla Corte secondo cui “In tema di diritto ad un’equa riparazione in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’indennizzo non deve essere correlato alla durata dell’intero processo, bensì solo al segmento temporale eccedente la durata ragionevole della vicenda processuale presupposta, che risulti in punto di fatto ingiustificato o irragionevole, in base a quanto stabilito dall’art. 2, comma 3, di detta legge, conformemente al principio enunciato dall’art. 111 Cost., che prevede che il giusto processo abbia comunque una durata connaturata alle sue caratteristiche concrete e peculiari, seppure contenuta entro il limite della ragionevolezza. Questo parametro di calcolo, che non tiene conto del periodo di durata ordinario e ragionevole, non esclude la complessiva attitudine della L. n. 89 del 2001, a garantire un serio ristoro per la lesione del diritto in questione, come riconosciuto dalla stessa Corte europea nella sentenza 27 marzo 2003, resa sul ricorso n, 36813/97, e non si pone, quindi, in contrasto con l’art. 6, par. 1, della Convezione europea dei diritti dell’uomo” (Sez. 1^, Ordinanza n. 3716 del 14/02/2008, 13 gennaio 2011, n. 727). Nè rileva il contrario orientamento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, poichè il giudice nazionale è tenuto ad applicare le norme dello Stato e, quindi, il disposto dell’art. 2, comma 3, lett. a) della citata legge; non può, infatti, ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dei criteri di determinazione della riparazione della Corte europea dei diritti dell’uomo, attraverso una disapplicazione della norma nazionale, avendo la Corte costituzionale chiarito, con le sentenze n. 348 e n. 34.9 del 2007, che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo non crea un ordinamento giuridico sopranazionale e non produce quindi norme direttamente applicabili negli Stati contraenti, essendo piuttosto configurabile come trattato internazionale multilaterale, da cui derivano obblighi per gli Stati contraenti, ma non l’incorporazione dell’ordinamento giuridico italiano in un sistema più vasto, dai cui organi deliberativi possano promanare norme vincolanti, omisso medio, per tutte le autorità interne (Sez. 1^, Sentenza n. 14 del 03/01/2008).

2.6 – Al rigetto de ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 600,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2011

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