Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9257 del 06/04/2021

Cassazione civile sez. I, 06/04/2021, (ud. 14/10/2020, dep. 06/04/2021), n.9257

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina Anna Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16163/2019 proposto da:

M.L., elettivamente domiciliato in Isernia, Via XXIV Maggio,

n. 33, presso lo studio dell’avv. Paolo Sassi, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositato il

4/4/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/10/2020 dal Cons. Dott. GIUSEPPINA ANNA ROSARIA PACILLI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto in data 28 marzo 2019 il tribunale di Campobasso ha rigettato il ricorso proposto da M.L. avverso il provvedimento, emesso dalla locale Commissione territoriale, di diniego della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o del diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14 o del diritto alla protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. In particolare, il tribunale ha ritenuto che il racconto del migrante, molto vago e generico, presentava profili di natura esclusivamente privatistica ed economica, avendo il medesimo dichiarato di aver lasciato il suo paese per la situazione di conflittualità con i coeredi e per il timore – assolutamente soggettivo e non ancorato ad alcun dato reale – delle conseguenze legate all’avere egli ucciso, per difendersi, uno dei fratelli. Il tribunale ha poi rilevato che nel Gambia non era in atto una violenza indiscriminata e diffusa, rilevante D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14; ha constatato come non risultassero dedotti fattori di vulnerabilità e, di conseguenza, ha rigettato le domande proposte, revocando nel contempo l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

2. M.L. ricorre per cassazione avverso questa pronuncia mentre il Ministero dell’Interno ha depositato una nota con cui ha dichiarato di essersi costituito oltre i termini di legge, al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Con il primo motivo il ricorrente lamenta congiuntamente la violazione di plurimi articoli del D.Lgs. n. 25 del 2008 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, l’omesso esame di fatto decisivo “in relazione alla mancata valutazione della vicenda personale del richiedente e della situazione, esistente in Gambia, sulla base della documentazione allegata e dell’omessa attività istruttoria” e la “mancanza totale di motivazione” con riguardo allo status di rifugiato e alla protezione sussidiaria. Secondo il ricorrente, il tribunale avrebbe dovuto disporre la sua audizione, al fine di avere una giustificazione sull’asserita non credibilità e genericità, e avrebbe violato l’obbligo di cooperazione istruttoria. Il medesimo tribunale, inoltre, avrebbe omesso qualsivoglia valutazione in merito ai presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, trascurando di considerare l’attuale sussistenza della violenza indiscriminata e diffusa, che coinvolge il Gambia.

Le doglianze sono inammissibili.

Questa Corte ha più volte affermato che la domanda di protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli di ufficio (Cass., 29 ottobre 2018, n. 27336; 28 settembre 2015, n. 19197).

Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, infatti, stabilisce che il richiedente “è tenuto a presentare… tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la medesima domanda”. Il richiedente, quindi, non gode di alcuna agevolazione rispetto alle regole ordinarie del giudizio civile, tale da giustificare un quadro assertivo non adeguatamente circostanziato.

Una volta allegati, i fatti, posti a sostegno della domanda di protezione internazionale, vanno provati dal richiedente, sia pure entro speciali limiti e con peculiari agevolazioni. Si è, in particolare, affermato (Cass., 12 giugno 2019 n. 15794) che la già citata previsione, che sollecita il richiedente a depositare la documentazione necessaria, rende evidente che, in linea di principio, il giudizio, volto al riconoscimento della protezione internazionale, è governato dalle regole generali dettate in ordine al riparto dell’onere probatorio dell’art. 2697 c.c., comma 1, con la conseguenza che, se la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale non è provata, la domanda è da rigettare.

Se il richiedente, però, proprio a cagione delle persecuzioni o danni gravi subiti nel Paese di provenienza, o anche solo paventati, non è in grado di offrire la prova delle circostanze allegate, il principio dispositivo è attenuato e sorge il dovere c.d. di cooperazione istruttoria. Stabilisce, difatti, del menzionato art. 3, comma 5, che, qualora taluni elementi, posti a sostegno della domanda di protezione internazionale, non siano suffragati da prove (prove che dunque la norma ribadisce di porre di regola a carico dell’interessato), essi sono considerati veritieri, ove possa ritenersi che il richiedente, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda:

1) abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla e, così, abbia offerto tutti gli elementi pertinenti in suo possesso e fornito un’idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; 2) abbia fornito dichiarazioni coerenti e plausibili e non in contraddizione con le informazioni generali e specifiche, pertinenti al suo caso, e risulti altresì, in generale credibile.

Il dovere di cooperazione istruttoria, collocato esclusivamente sul versante probatorio, trova, quindi, “per espressa previsione normativa, un preciso limite tanto nella reticenza del richiedente (in ciò risolvendosi l’omissione di uno sforzo ragionevole per circostanziare i fatti) quanto nella non credibilità delle circostanze che egli pone a sostegno della domanda. Si tratta quindi di deficienze, reticenza e non credibilità, parimenti riferibili al quadro delle allegazioni, di guisa che, intanto si concretizza il dovere di cooperazione istruttoria, in quanto si sia in presenza di allegazioni precise, complete, circostanziate e credibili, e non invece generiche, non personalizzate, stereotipate, approssimative e, a maggior ragione, non credibili” (in questi termini Cass. n. 15794/2019 cit.).

Il principio che le dichiarazioni inattendibili del richiedente non richiedono approfondimento istruttorio officioso va opportunamente precisato e circoscritto nel senso che ciò vale per il racconto che concerne la vicenda personale del richiedente, che può rilevare ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Invece, il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, una volta assolto da parte del richiedente la protezione il proprio onere di allegazione, sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale inattendibile e comunque non credibile, in relazione alla fattispecie contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (Sez. 1, 29 ord. n. 10286 del 29/5/2020, Rv. 657711-01). Alla luce di siffatte coordinate ermeneutiche deve rilevarsi – quanto alla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), che, nel caso in esame, il tribunale ha osservato che dal racconto del ricorrente non si desumevano fatti costitutivi del diritto al riconoscimento della protezione anzidetta.

Tale conclusione in ordine al difetto di allegazioni, non specificamente censurata dal ricorrente, comporta che il tribunale non aveva l’obbligo di attivare i poteri istruttori.

Per altro verso, deve rilevarsi che il ricorrente si è lamentato della mancanza della videoregistrazione e della mancata audizione dinanzi al tribunale ma non della mancata fissazione dell’udienza di comparizione ma questa Corte ha già avuto modo di affermare che, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza non consegue automaticamente anche quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale. Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale se risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero (Sez. 1, n. 3029 del 31/01/2019, Rv. 652410-01; Sez. 6, n. 2817 del 31/01/2019, Rv. 652463-01; Sez. 6, n. 32073 del 12/12/2018, Rv. 652088-01).

Nel caso in esame, in difetto di allegazione sui fatti costitutivi del diritto alla protezione e, dunque, in presenza di una domanda all’evidenza inammissibile non vi era l’obbligo di disporre l’audizione del ricorrente.

Alla stregua di quanto precede deve rilevarsi, quindi, che il provvedimento impugnato, nella parte in cui ha denegato il riconoscimento dello status di rifugiato e la protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non si presta a censure di sorta mentre le critiche sollevate si risolvono nella sollecitazione a rinnovare il sindacato esperito dal decidente di merito, in tal modo esponendosi alla declaratoria di inammissibilità.

3.1 Deve poi aggiungersi che il tribunale molisano – con indicazione delle fonti di conoscenza (cfr. pagina 4 del decreto impugnato) – ha esaminato la situazione del Paese di origine del ricorrente e ha escluso una situazione di conflitto armato, a cui astrattamente riconnettere l’ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Ne consegue, tenuto conto, inoltre, che il medesimo ricorrente ha dedotto che la pena di morte è stata sospesa dal Presidente B., che il provvedimento impugnato sfugge ad ogni rilievo censorio anche nella parte in cui ha denegato il riconoscimento della protezione internazionale in relazione alla fattispecie contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), mentre le critiche del ricorrente risultano astratte e generiche, risolvendosi formalmente nella trascrizione di altre decisioni di merito e sostanzialmente nella mancata condivisione delle valutazioni di merito del tribunale.

4. Le doglianze relative al diniego della protezione umanitaria sono parimenti inammissibili, perchè generiche e tese a sollecitare una diversa valutazione del merito della vicenda. Ciò a fronte di una motivazione del provvedimento impugnato che ha evidenziato che le ragioni, spiegate dal richiedente, non consentivano la riconducibilità ad alcuna delle situazioni rilevanti per la richiesta protezione.

5. Inammissibile è anche la terza censura, relativa alla violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 74, comma 2 e art. 136, comma 2, in uno al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 28-bis, comma 2, lett. a), poichè per giurisprudenza costante di questa Corte “la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, adottata con la sentenza che definisce il giudizio di appello, anzichè con separato decreto, come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, non comporta mutamenti nel regime impugnatorio, che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione ex art. 170 del medesimo D.P.R., dovendosi escludere che la pronuncia sulla revoca, in quanto adottata con sentenza, sia per ciò solo impugnabile immediatamente con ricorso per cassazione, rimedio previsto solo per l’ipotesi contemplata dall’art. 113 D.P.R. citato” (Cass., 29 settembre 2019, n. 24405; ivi pure il richiamo di numerosi altri precedenti).

6. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile. Non deve essere assunta alcuna statuizione sulle spese processuali, non essendosi il Ministero dell’Interno costituito ritualmente.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di legittimità. Sussistono i presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore contributo, così come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2021

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