Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9256 del 06/04/2021

Cassazione civile sez. III, 06/04/2021, (ud. 02/12/2020, dep. 06/04/2021), n.9256

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12195/2018 R.G. proposto da:

C.R., elettivamente domiciliata in ROMA, in via Dei

Gracchi n. 84, presso lo studio dell’avvocato MARINA GIANNINI, da

cui è rappresentata e difesa;

– ricorrente –

contro

CA.VA., elettivamente domiciliata in Roma, in via Bocca

di 29 Leone, rappresentata e difesa dagli Avvocati ANTONIO ROMEI, ed

ERIC QUARANTELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 197/2018 della Corte d’Appello di Roma,

depositata il 6 febbraio 2018, notificata il 16 febbraio 2018.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 2 dicembre

2020 dal Consigliere Dott. Marilena Gorgoni.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 25810/13, riuniti i procedimenti n. 76596/2010 (intimazione di sfratto per morosità per mancato pagamento dei canoni di locazione, pari ad Euro 500,00 mensili, relativi al contratto verbale di locazione avente ad oggetto un immobile sito in (OMISSIS) detenuto dalla ricorrente) e n. (OMISSIS) (occupazione senza titolo dello stesso immobile) – entrambi promossi da Ca.Va. nei confronti di C.R., la quale assumeva di avere ottenuto il godimento dell’immobile cui si riferiscono i fatti di causa con il solo obbligo di pagare le spese, anche quelle condominiali, e di rendere gratuitamente le proprie prestazioni professionali di avvocato a favore della locatrice, di avere successivamente sostituito quello iniziale con un nuovo accordo verbale che prevedeva, da parte sua, la corresponsione di un canone mensile di locazione dapprima di Euro 400,00 e successivamente di Euro 500,00, di essere stata vittima di atti di ritorsione e di violenza privata, da parte della proprietaria e della madre, che le avevano provocato danni patrimoniali e non patrimoniali, di cui chiedeva di essere risarcita – dichiarava cessata la materia del contendere tra le parti quanto alla domanda di rilascio dell’immobile, alla luce del verbale di riconsegna del (OMISSIS), condannava C.R. a pagare a Ca.Va. la somma di Euro 7.500,00 e regolava le spese di lite.

Il Tribunale riteneva che tra le parti non era intercorso un rapporto locativo, in assenza di un contratto scritto, rigettava, di conseguenza, sia la domanda volta ad ottenere il pagamento dei canoni sia quella di risoluzione per inadempimento del contratto nonchè quella riconvenzionale tesa a conseguire il risarcimento del danno determinato dall’illecita interruzione della fornitura di gas; che C.R. aveva detenuto l’immobile a titolo di ospitalità fino al (OMISSIS), quando la proprietaria le aveva chiesto il rilascio; che, invece, dall'(OMISSIS) e fino al rilascio, avvenuto il (OMISSIS), C.R. aveva occupato l’immobile sine titulo; che, pertanto, era tenuta a corrispondere l’indennità di occupazione quantificata in Euro 500,00 mensili, cioè l’importo convenuto di fatto tra le parti ed espressamente richiesto con l’intimazione di sfratto.

La Corte d’Appello di Roma, investita del gravame da C.R., confermava, con la sentenza n. 197/2008, resa pubblica il 6 febbraio 2018, oggetto dell’odierno ricorso, la sentenza di primo grado e regolava le spese di lite.

C.R. ricorre, articolando cinque motivi, per la cassazione della suddetta sentenza.

Resiste con controricorso Ca.Va..

Entrambe le parti depositano memoria illustrativa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 431 del 1998, art. 1, comma 4 e art. 13, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Secondo la ricorrente, la Corte d’Appello, in applicazione dell’insegnamento di questa Corte nella sentenza, a sezioni unite, n. 18214 del 17/09/2015, avrebbe dovuto esonerarla dall’obbligo di corrispondere l’indennità di occupazione, in considerazione del fatto che Ca.Va. aveva preteso che il contratto di locazione non fosse stipulato per iscritto, sia per il rapporto amichevole in essere sia per evitare un aggravio fiscale.

Il motivo è inammissibile.

La sentenza, a p. 5, dà adeguato riscontro delle ragioni per cui ha ritenuto che le prove richieste, circa le modalità di pagamento del canone e la mancata denunzia di ospitalità all’autorità di polizia, fossero inidonee a provare che il contratto non era stato stipulato per iscritto per imposizione della locatrice con conseguente applicazione della nullità relativa di protezione di cui alla L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 5.

2. Con il secondo motivo la ricorrente censura la sentenza gravata per omessa valutazione, in relazione all’art. 2697 c.c. e art. 116 c.p.c., di un fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5, per non avere la Corte territoriale ammesso i mezzi istruttori articolati nella comparsa di costituzione e risposta – in particolare la prova per interpello e per testi – con domanda riconvenzionale, a seguito del ricorso ex art. 447 bis c.p.c., avanzato da Ca.Va..

Il motivo è inammissibile.

Per lamentare in sede di legittimità l’errore del giudice di merito quanto alla mancata ammissione della prova testimoniale occorre che il ricorrente deduca l’esatto contenuto del capitolo di prova, in quale momento il fatto storico era stato dedotto, al fine di dimostrare la tempestività; la mancata rinuncia all’udienza di precisazione delle conclusioni (con conseguente trascrizione delle conclusioni); la proposizione dell’impugnazione sulla mancata ammissione della prova; la potenziale decisività del capitolo di prova.

In difetto di tali allegazioni, la censura è inammissibile.

Va, infatti, ribadito che la censura contenuta nel ricorso per Cassazione relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale è inammissibile se il ricorrente, oltre a trascrivere i capitoli di prova e ad indicare i testi e le ragioni per le quali essi sono qualificati a testimoniare – elementi necessari a valutare la decisività del mezzo istruttorio richiesto – non alleghi e indichi la prova della tempestività e ritualità della relativa istanza di ammissione e la fase di merito a cui si riferisce, al fine di consentire “ex actis” alla Cassazione di verificare la veridicità dell’asserzione (Cass. 23/04/2010, n. 9748; Cass. 04/04/2018, n. 8204).

Nel caso di specie, quanto ai capitoli di prova trascritti, la ricorrente stessa afferma che si tratta di quelli articolati nella comparsa di costituzione e risposta con domanda riconvenzionale, a seguito del ricorso ex art. 447 bis, avanzato da Ca.Va.. Non risulta, invece, che la ricorrente abbia proposto impugnazione sulla mancata ammissione delle prove relativamente al fatto che le fosse stata imposta la stipulazione verbale del contratto, tant’è che il motivo di appello di cui alla lett. e, rubricato omessa ammissione dei mezzi di prova richiesti, si riferisce ad un fatto da provare diverso e cioè alla ricorrenza del danno patrimoniale e non patrimoniale asseritamente provocato dalla interruzione del gas (vale appena la pena si aggiungere che su tale motivo di appello la Corte territoriale si è pronunciata, ritenendo i mezzi di prova non rilevanti, perchè la occupazione senta titolo dell’immobile aveva fatto venir meno gli obblighi contrattuali in capo alla locatrice, in punto di utilizzabilità dell’immobile, chiarendo che “la abusiva occupazione dell’immobile, infatti, esclude la configurabilità di un danno ingiusto”: pp. 5-6).

3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto e in particolare degli artt. 1591,2041,1223,1226 e 2056 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere riconosciuto a Ca.Va. l’indennità di occupazione senza prova da parte sua di avere subito un’effettiva lesione del patrimonio per non aver potuto locare o altrimenti utilmente utilizzare l’immobile. La Corte territoriale avrebbe semmai dovuto trovare un criterio di regolazione altrove ed in particolare nella disciplina dei rapporti di mero fatto.

Il motivo è infondato.

Il Giudice d’Appello non ha fatto che applicare la giurisprudenza di questa Corte relativa all’indennità dovuta per l’occupazione sine titulo di un immobile, ai sensi dell’art. 1591 c.c. – che trova, contrariamente a quanto ipotizzato dalla ricorrente, applicazione nel caso di specie, in ragione del riferimento al

contratto di locazione emergente dalle allegazioni delle parti – il quale prevede due distinti obblighi, la cui disciplina è differente anche sotto il profilo del contenuto dell’onere probatorio: nella prima ipotesi, per così dire di base, al ritardo nella restituzione della cosa la norma associa l’obbligo di corrispondere “il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna”, per cui è il legislatore stesso che prevede che in caso di ritardo nel recupero della disponibilità della cosa locata il locatore subisca un danno che è pari (quanto meno) all’ammontare del canone. In questo caso, ricorrendo gli altri presupposti, il locatore non è tenuto a provare altro, in particolare la quantificazione del danno è predeterminata per legge. Solo se egli assume di aver subito un maggior danno, che può essere conseguente alla necessità di effettuare una rimessione in pristino, o alla perdita di occasioni di sfruttamento della cosa economicamente più vantaggiose, sarà soggetto al normale onere probatorio relativo alla sussistenza e all’ammontare del maggior danno. Risulta evidente che la ricorrente si riferisce a questa seconda ipotesi, pacificamente rimasta estranea alla vicenda in esame.

4. Con il quarto motivo la ricorrente assume la violazione e falsa applicazione degli artt. 1591,2041,1223,1226 e 2056 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in considerazione del fatto che la restituzione dell’immobile era stata conseguita in modo illecito, come era risultato dalla sentenza penale del Tribunale di Roma n. 9624/2016, che aveva condannato la

proprietaria e la madre di lei – quest’ultima per concorso morale nella realizzazione del fatto delittuoso – per avere interrotto la fornitura del gas nell’appartamento allo scopo di indurla a liberare il bene. In altri termini, la Corte d’Appello avrebbe erroneamente rigettato la domanda riconvenzionale con cui chiedeva di essere risarcita del danno determinato dall’interruzione dell’erogazione del gas, basandosi sul fatto che l’immobile era stato occupato abusivamente e che non vi erano obblighi a carico del proprietario ed avrebbe erroneamente affermato che l’azione civile proposta nel giudizio penale, pendente la domanda dinanzi al giudice di primo grado, era stata esclusa dal giudice penale.

Il motivo è inammissibile.

La Corte territoriale non si è sottratta all’obbligo di decidere sulla domanda risarcitoria, ma ha ritenuto che, non essendo contestato che il contratto di fornitura del gas era stato sottoscritto dalla madre di Ca.Va. e non da quest’ultima, nei confronti della quale non era stato provato alcun comportamento illecito produttivo di conseguenze dannose risarcibili, non vi fossero i presupposti per condannarla al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale.

5. Con il quinto motivo la ricorrente rimprovera alla sentenza impugnata di aver omesso la valutazione, in relazione all’art. 2697 c.c. e art. 116 c.p.c., di un fatto storico decisivo per il giudizio risultante dagli atti di causa che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La sentenza impugnata aveva rilevato che il contratto di somministrazione del gas, che serviva anche l’appartamento di Ca.Va., era stato sottoscritto dalla madre di quest’ultima, B.M.V., facendone discendere l’infondatezza del motivo di appello in punto di ammissione dei mezzi di prova richiesti per dimostrare la ricorrenza del danno patrimoniale e non patrimoniale, conseguente all’interruzione della fornitura di gas, non aveva però tenuto conto che anche la madre dell’odierna resistente era stata ritenuta dal Tribunale penale responsabile moralmente dell’interruzione del gas per aver determinato o comunque rafforzato il proposito criminoso della figlia.

Anche tale censura risulta inammissibile, in quanto formulata senza prendere in alcuna considerazione la motivazione della sentenza impugnata, la quale ha chiarito che la sentenza penale che aveva condannato Ca.Va. e che aveva ravvisato una responsabilità anche a carico della madre non essendo passata in giudicato, non spiegava alcun effetto vincolante in sede civile in ordine all’affermata responsabilità delle imputate; sicchè nel giudizio civile il giudice, data l’autonomia del processo civile rispetto a quello penale, accerta autonomamente i fatti e la responsabilità con pienezza di cognizione, senza essere vincolato alle soluzioni e alle qualificazioni del giudice penale.

6. Ne consegue il rigetto del ricorso.

7. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

8. Vi sono i presupposti processuali per porre a carico della ricorrente l’obbligo di pagamento del doppio del contributo unificato, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 2.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2021

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