Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9253 del 21/04/2011

Cassazione civile sez. I, 21/04/2011, (ud. 24/11/2010, dep. 21/04/2011), n.9253

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

IMMOBILIARE CO.ME.TA. s.r.l., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via C. Morin 1,

presso l’avv. NAPOLI Salvatore Antonio, che la rappresenta e difende,

insieme con l’avv. Enrico Giannubilo, per procura in atti;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ROMA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, Via del Tempio di Giove 21 (Avvocatura

comunale), presso gli avvocati CECCARELLI Americo e Domenico Rossi,

che lo rappresentano e difendono per procura in atti;

– controricorrente –

e

AZIENDA TERRITORIALE PER L’EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA (ATER), in

persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte di Cassazione n. 28427/08 del 20

novembre 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24 novembre 2010 dal relatore, Cons. Dott. Stefano Schirò;

uditi, per la società ricorrente, gli avvocati Antonio Salvatore

Napoli ed Enrico Giannubilo e, per il Comune controricorrente, l’avv.

Giuseppe Lo Mastro per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott.

GOLIA Aurelio, che nulla ha osservato.

La Corte:

A) rilevato che è stata depositata in cancelleria, ai sensi

dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione, comunicata al

Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti:

“Il Consigliere relatore, letti gli atti depositati.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che: 1. la Immobiliare CO.ME.TA, s.r.l. ha proposto nei confronti del Comune di Roma e dell’Azienda Territoriale per l’Edilizia Pubblica Residenziale (ATER) del Comune di Roma ricorso per revocazione ex art. 391 bis c.p.c., della sentenza della Corte di cassazione n. 28427 del 20 novembre 2008;

1.1. il Comune di Roma ha resistito con controricorso, mentre TATER non ha svolto attività difensiva.

Diritto

OSSERVA IN DIRITTO

2. il ricorso appare inammissibile; infatti la sentenza impugnata per revocazione è stata pubblicata il 20 novembre 2008; di conseguenza il processo di revocazione cade sotto il regime del giudizio di legittimità introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, ai sensi dell’art. 27, comma 2, del citato D.Lgs.; a tale riguardo, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che l’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, è applicabile anche al ricorso per revocazione ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., contro le sentenze della Corte di cassazione (pubblicate a decorrere dal 2 marzo 2006, data di entrata in vigore di detto D.Lgs.), atteso che detta norma è da ritenere oggetto di rinvio da parte della previsione del comma 1 dello stesso art. 39 bis, là dove dispone che la revocazione è chiesta “con ricorso ai sensi dell’art. 365, e segg.”; pertanto, la formulazione del motivo deve risolversi nell’indicazione specifica, chiara e immediatamente intelligibile, del fatto che si assume avere costituito oggetto dell’errore e nell’esposizione delle ragioni per cui l’errore presenta i requisiti previsti dall’art. 395 c.p.c., (Cass. 2007/4640; 2008/5075);

2.1. nel caso di specie, la ricorrente ha concluso l’illustrazione delle censure sollevate con il ricorso per revocazione con la formulazione di due quesiti di diritto, che si risolvono però nel generico e inammissibile interpello della Corte di cassazione in ordine alla sussistenza delle ragioni di revocazione dedotte nel ricorso medesimo ed alla necessità di rimessione della controversia ad altro giudice di merito per l’accertamento di quanto ancora dovuto in suo favore (Cass. S.U. 2008/3519, in motivazione), senza però indicare in modo specifico, chiaro e immediatamente intelligibile il fatto che si assume avere costituito oggetto dell’errore revocatorio e senza esporre le ragioni per le quali l’errore dedotto – che pure, alla stregua della motivazione della sentenza impugnata e del contenuto dello stesso ricorso per revocazione, sembra presentare profili attinenti alla interpretazione da parte della Corte di legittimità del contenuto dei motivi di ricorso per cassazione – avrebbe i requisiti previsti dall’art. 395 c.p.c. n. 4;

3. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilievi in precedenza formulati, si ritiene che il giudizio possa essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”;

B) osservato che la ricorrente ed il controricorrente hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella Camera di consiglio, il collegio ha condiviso le argomentazioni esposte nella relazione, con la precisazione che, indipendentemente dalla inidoneità dei quesiti di diritto formulati a illustrazione delle censure, l’errore prospettato dalla ricorrente secondo la quale la sentenza della Corte qui impugnata per revocazione non avrebbe tenuto conto che la transazione tra le parti, posta a base della dichiarata cessazione della materia del contendere, era stata contestata per tardivo pagamento, oltre il termine pattuito, dell’importo concordato nella transazione medesima, non costituisce errore di fatto revocatorio, ma semmai errore di giudizio, avendo il collegio esplicitamente preso in esame la circostanza dedotta dal ricorrente, osservando che la Immobiliare Cometa aveva affermato soltanto che il versamento tardivo del saldo non doveva essere preso in esame dal giudice di appello, senza però negare che il pagamento fosse avvenuto e che avesse avuto efficacia estintiva del debito risarcitorio;

C) ritenuto altresì che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 366 bis c.p.c., sollevata dalla ricorrente in quanto la norma “lederebbe il diritto alla difesa della parte” e risulterebbe “discriminante tra soggetti che si trovano in condizioni analoghe, seppure “in tempi diversi”; osservato a tale riguardo che il legislatore ha abrogato, con la L. n. 69 del 2009, art. 47, comma 1, lett. d), l’art. 366 bis c.p.c., in quanto ha contemporaneamente dettato, con l’art. 360 bis c.p.c., introdotto dall’art. 47 citato, al comma 1, lett. a), una nuova disciplina dei casi di inammissibilità del ricorso per cassazione, ritenuta più idonea a consentire la realizzazione della funzione di nomifilachia propria della corte di legittimità, considerando di conseguenza incompatibile con tale nuova disciplina il mantenimento dell’ipotesi di inammissibilità conseguente alla mancata formulazione del quesito di diritto (ed anche, con riferimento al vizio di motivazione, alla omessa indicazione del fatto controverso su cui la motivazione sarebbe mancante o contraddittoria o delle ragioni per le quali la motivazione che si assume insufficiente sia inidonea a giustificare la decisione); rilevato, a tale riguardo, che il giudice delle leggi ha riconosciuto (v. Corte cost. 13 gennaio 2006 n. 9) che “in materia di successione di leggi, il legislatore ha ampia discrezionalità di modulare nel tempo la disciplina introdotta, con l’unico limite della ragionevolezza”, limite che non è superato – come neppure è violato il diritto di difesa – se una nuova regolamentazione dei casi di inammissibilità del ricorso per cassazione viene stabilita soltanto per il futuro in coerenza con il fondamentale principio tempus regit actum, restando di conseguenza la disciplina processuale e gli effetti degli atti compiuti anteriormente regolati dalla norma sotto la cui vigenza sono stati posti in essere (v. Cass. S.U. 2007/5394;

Cass. 2008/28428); osservato altresì che, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, la disciplina del quesito di diritto, come prevista dall’art. 366 bis c.p.c., non comporta la limitazione del diritto di accesso al giudice, tenuto conto che la formulazione del quesito stesso costituisce un mezzo di esercizio di detto diritto, nell’ambito di un giudizio di impugnazione concepito primariamente come mezzo di verifica della legittimità della decisione, sicchè la formulazione del quesito è comunque collegata con la funzione nomofilattica del giudizio di legittimità, in ragione della quale è stato imposto come onere a carico della parte (v. Cass. 2008/2652; 2009/26364; 2010/7250);

ritenuto che le considerazioni che precedono conducono alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso per revocazione e che le spese processuali, da liquidarsi come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la Immobiliare CO.ME.TA. s.r.l. al pagamento in favore del Comune di Roma delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 15.200,00, di cui Euro 15.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2011

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