Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9253 del 20/05/2020

Cassazione civile sez. III, 20/05/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 20/05/2020), n.9253

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25004-2018 proposto da:

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 34, presso lo studio dell’avvocato MARINO BISCONTI,

rappresentato e difeso dall’avvocato UMBERTO TOSANO;

– ricorrente –

contro

CEREABANCA 1897 CREDITO COOPERATIVO SOCIETA’ COOPERATIVA, in persona

del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA LAURO DE BOSIS, 3, presso lo studio

dell’avvocato FRANCESCO NOVARINA, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIANANDREA CHIAVEGATTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 771/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 29/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/11/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato UMBERTO TOSANO;

udito l’Avvocato PAOLO CELLI per delega.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. M.F. ricorre, affidandosi ad otto motivi illustrati da memoria, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Venezia che, riformando la pronuncia del Tribunale di Verona, aveva respinto l’opposizione al decreto ingiuntivo emesso in favore della Cereabanca 1987 – Credito Cooperativo – Società Cooperativa per l’importo di Euro 900.000,00, oggetto della fideiussione prestata in favore della R. e Costruzioni snc di R.A. e C. in data 22.6.2011, a garanzia delle obbligazioni assunte sul conto corrente ipotecario acceso dalla società presso l’istituto di credito.

1.1. Per ciò che interessa in questa sede, il M., a sostegno dell’opposizione, aveva dedotto, tra le altre cose e con memoria ex art. 183, comma 6 secondo termine, che con atto del 26.7.2012 la parte opposta lo aveva liberato oltre che dalla fideiussione omnibus rilasciata il 20.9.2005, anche dagli impegni originati da tutti i successivi atti integrativi a garanzia delle obbligazioni della società (includendo anche quella prestata nel 2011), e chiedeva quindi la revoca del decreto ingiuntivo opposto.

1.2. Mentre il Tribunale ritenne fondata l’opposizione, basando la decisione su un’interpretazione ominicomprensiva dell’atto liberatorio del 2012, la Corte d’Appello di Venezia ha riformato la sentenza impugnata, ritenendo che esso avesse per oggetto soltanto la fideiussione omnibus sottoscritta nel 2005: ciò in quanto la garanzia prestata nel 2011, riferita ad un importo specifico, non era qualificabile come “atto integrativo” della precedente e non poteva, dunque, essere in essa ricompresa.

1.3. Ha resistito la banca intimata con controricorso e memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente ha proposto otto motivi, tutti riferiti al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

1.1 Con il primo motivo si deduce il mancato rilievo d’ufficio della nullità della fideiussione del 29.6.2011 e, pertanto la violazione del principio secondo il quale tutti i contratti che costituivano applicazione di intese illecite, anche se conclusi in epoca anteriore all’accertamento della loro illiceità da parte dell’autorità indipendente preposta alla regolazione di quel mercato, configuravano condotte anticoncorrenziali (primo motivo).

1.2. Richiama il principio postulato da Cass. 29810/2017 assumendo che la fideiussione era stata rilasciata su modello standard ABI dell’ottobre del 2002 contenente clausole vietate dalla L. n. 287 del 1990, art. 2 e che trattandosi di nullità di protezione la questione poteva essere rilevata in ogni stato e grado del giudizio.

1.3. Il motivo è inammissibile per mancanza di autosufficienza e specificità.

Il ricorrente, infatti, nel tentativo di coniugare il principio secondo il quale “in tema di accertamento del danno da condotte anticoncorrenziali ai sensi della L. n. 287 del 1990, art. 2 spetta il risarcimento per tutti i contratti che costituiscano applicazione di intese illecite, anche se conclusi in epoca anteriore all’accertamento della loro illiceità da parte dell’autorità indipendente preposta alla regolazione di quel mercato” (cfr. Cass. 29810/2017) con quello predicato in materia di nullità di protezione (cfr. Cass. SUU 26242/2014), prospetta una censura meramente suggestiva.

1.4. Si osserva, infatti, che la prima pronuncia richiamata è riferita al modello ABI relativo ad una fideiussione omnibus (cfr. Cass. SU 29810/2017, pag. 3 in motivazione), laddove nel caso in esame la garanzia prestata è circoscritta nel valore ed è riferita allo scoperto di conto corrente: si tratta, pertanto, di fideiussione ordinaria rispetto alla quale il principio non può essere automaticamente trasposto.

1.5. Ciò – pur non potendosi escludere, di per se, che le pattuizioni in essa contenute possano essere in contrasto con il divieto di libera concorrenza avrebbe imposto al ricorrente, tenuto conto che la questione non risulta affatto prospettata nei gradi di merito, una articolata allegazione della censura, in termini di autosufficienza del motivo, tenuto conto che il mero richiamo alle clausole di “sopravvivenza”, “rivivescenza” e “rinuncia ai termini di cui all’art. 1957 c.c.”, senza la loro completa trascrizione, non consente al Collegio di apprezzarne i profili di dedotta nullità; e che rispetto al principio di specificità postulato dall’art. 366 c.p.c., n. 4, nessuna argomentazione critica è stata formulata a sostegno della censura che risulta essere, dunque, una mera enunciazione.

2. Con il secondo motivo ed il terzo motivo, intrinsecamente connessi, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. in relazione all’art. 12 della fideiussione del 29.6.2011 che prevedeva l’autonomia dell’obbligazione di garanzia in essa portata, con esclusione di solidarietà rispetto ad altri garanti (“la presente fideiussione ha pieno effetto ed è autonoma ed indipendente da altra garanzia personale sia esistente che successiva; resta esclusa la solidarietà con altri eventuali garanti”); e si assume che, tenuto conto che il garante della precedente fideiussione era proprio lui, tale ulteriore pattuizione non poteva che essere considerata un atto integrativo della stessa.

2.1. Il ricorrente deduce, inoltre, la violazione a falsa applicazione dell’art. 1367 c.c. in relazione alla funzione liberatoria dell’atto: sostiene che solo ravvisandosi una portata integrativa rispetto alla fideiussione prestata nel 2005 poteva mantenersi l’effetto giuridico suo proprio e che, pertanto, il principio di conservazione degli atti doveva indurre alla interpretazione opposta rispetto a quella fatta propria dalla Corte territoriale.

2.1. Entrambe le censure sono inammissibili.

2.2. Le doglianze, infatti, contestano la decisione della Corte che risulta sostenuta da un percorso interpretativo logico e coerente (fondato su argomenti letterali e volti a ricostruire la reale volontà delle parti) nonchè adesivo al dato testuale della seconda fideiussione (cfr. pag. 7 e 8 della sentenza impugnata).

2.3. Questa Corte, al riguardo, ha condivisibilmente affermato che “il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di Cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti” (cfr. ex multis Cass. 6519/2019).

4. Con il quarto ed il quinto motivo, si deduce, inoltre, la violazione e falsa applicazione degli art. 1362 e 1363 c.c. rispetto all’art. 8 della fideiussione del 29.6.2011: si lamenta che i giudici d’appello avevano valorizzato la clausola che prevedeva il pagamento a prima richiesta, qualificando il negozio come contratto autonomo di garanzia e rafforzando, con ciò, erroneamente l’autonomia di esso rispetto alla precedente pattuizione.

4.1. Il motivo è inammissibile.

4.2. Con esso, infatti, si sostiene che trattandosi di atto integrativo, la seconda fideiussione non poteva che avere contenuto identico alla polizza contratta nel 2005 e che, pertanto, tale elemento non poteva essere significativo della natura autonoma di esso ma, anzi, rinforzava l’opzione ermeneutica volta ad affermarne la natura meramente complementare: il ricorrente aggiunge che il contratto non era stato interpretato nel suo complesso, con ciò rovesciando la logica interpretativa e prospettando per le stesse ragioni rappresentate nei due precedenti motivi, una mera contrapposizione al percorso argomentativo della Corte, non consentito.

5. Ma anche gli ultimi quattro motivi, tutti volti a contestare i canoni interpretativi adottati dai giudici d’appello, non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità.

5.1. Con la quinta censura si deduce, infatti, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., comma 1 in relazione ai significato della “liberatoria” del 26.7.2012: il ricorrente assume che la Corte aveva errato nel ricorrere al principio della “comune intenzione delle parti” in quanto l’atto in esame era “unilaterale”, privo dunque di volontà comune.

5.2. Con la sesta, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli art. 1362 e 1363 c.c. rispetto all’art. 5 della fideiussione sottoscritta il 29.6.2011. Il ricorrente assume che, sulla base di una scorretta trascrizione della clausola (e cioè credito concesso “a tempo indeterminato”, laddove era scritto a tempo “determinato”: cfr. pag. 9 IV cpv) la Corte aveva travisato, violando le regole interpretative, il significato della clausola che imponeva alla Banca di comunicare al fideiussore il rinnovo a tempo indeterminato dell’apertura di credito.

5.3. Con la settima, deduce la violazione e falsa applicazione degli art. 1362 c.c. rispetto all’art. 1 dell’atto di apertura di credito ipotecario del 29.6.2011. Contesta, in particolare, il significato attribuito dalla Corte al termine “rinnovo” che era stato inopinatamente escluso nel suo significato comune, nonostante l’espressione letterale dell’atto.

5.4. Con l’ottavo motivo, infine, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1370 e 1371 c.c., sia in relazione alla liberatoria sottoscritta nel 2012 che all’apertura di credito del 22.9.2011: reitera la contestazione dell’interpretazione resa dalla Corte contrapponendo il diverso argomento secondo il quale se la liberatoria avesse inteso escludere la seconda fideiussione, avrebbe dovuto espressamente farla salva. Richiama la censura di nullità contenuta nel primo motivo.

6. Premesso che la sesta censura deduce il travisamento dell’art. 5 della fideiussione del 29.6.2011 e che, effettivamente, la motivazione della corte, nel trascrivere la clausola in esame erra nel riferirirsi al credito concesso a tempo indeterminato laddove era scritto “tempo determinato”, si osserva che si tratta di un evidente lapsus calami che non inficia il complessivo percorso logico riferito al significato reale della fideiussione sottoscritta: in relazione a ciò, si osserva che l’errore non risulta decisivo nella complessiva interpretazione del contratto visto che la diversa durata di esso non incide sul senso logico della pattuizione che postulava da una parte l’obbligo, gravante sul fideiussore di tenersi informato delle condizioni patrimoniali del debitore (ex art. 6 richiamato nelle difese del controricorrente: pag. 23 e 24) e dall’altra l’apertura di credito per la durata di 19 mesi oltre la quale, in mancanza di “autonomo pagamento” del correntista, il contratto si trasformava automaticamente “a tempo indeterminato”.

6.1. Da ciò si evince che l’errore di trascrizione non ha nessuna incidenza nel percorso interpretativo della Corte.

6.2. Per il resto le censure sono inammissibili in quanto tutte le contestazioni sono riferite ad aspetti argomentativi dell’interpretazione dell’atto liberatorio, incensurabili in quanto fondati su una motivazione logica e costituzionalmente sufficiente, non intaccata, nè dalla natura unilaterale dell’impegno assunto (quinto motivo), nè dalla interpretazione del termine “rinnovo” (settimo motivo rispetto al quale cfr. pag. 10 primo cpv della sentenza impugnata), nè infine dalla assenza di una espressa esclusione, nella liberatoria, della seconda fideiussione: tutti i rilievo proposti postulano, in sostanza, una mera contrapposizione ermeneutica su questioni di fatto, non consentita in sede di legittimità (cfr. Cass. 8758/2017; Cass. 13721/2018).

In conclusione il ricorso è inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte,

dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 13.200,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2020

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