Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9253 del 19/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 19/04/2010, (ud. 25/03/2010, dep. 19/04/2010), n.9253

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28628-2006 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e difende,

giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

R.L., T.A., RO.VA. elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 9, presso lo studio

dell’avvocato LUBERTO ENRICO, che li rappresenta e difende, giusta

mandato a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1417/2005 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 27/10/2005 r.g.n. 2018/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/03/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito l’Avvocato GIOVANNI GENTILE per delega ROBERTO PESSI;

udito l’Avvocato ANTONELLA MARRAMA per delega ENRICO LUBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per: inammissibilità per RO.,

rigetto per gli altri.

 

Fatto

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Firenze, regolarmente notificato, T.A., Ro.Va. e R. L., assunti con contratto a tempo determinato dalla società Poste Italiane s.p.a. dall’ottobre 1998 per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”, rilevavano la illegittimità dell’apposizione del termine ai contratti in questione di talchè, essendo stata l’assunzione illegittima, i contratti si erano convertiti in contratti a tempo indeterminato. Chiedevano pertanto che, previa dichiarazione di illegittimità del termine apposto ai predetti rapporti di lavoro, fosse dichiarata l’avvenuta trasformazione degli stessi in contratti a tempo indeterminato, con condanna della società al risarcimento del danno.

Con sentenza in data 23.10.2002 il Tribunale adito accoglieva le domande e dichiarava la natura a tempo indeterminato dei rapporti in questione, condannando la società convenuta al ripristino dei rapporti ed al pagamento in favore dei ricorrenti della retribuzione, con accessori, dalla data del tentativo obbligatorio di conciliazione.

Avverso tale sentenza proponeva appello la società Poste Italiane s.p.a. lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo il rigetto delle domande proposte da controparte con il ricorso introduttivo.

La Corte di Appello di Firenze, con sentenza in data 4.10.2005, rigettava il gravame.

In particolare la Corte territoriale rilevava che i contratti in parola erano stati stipulati successivamente al 30.4.1998, ossia in periodo non coperto dalla contrattazione autorizzatoria.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione, la Poste Italiane s.p.a. con tre motivi di impugnazione.

Resistono con controricorso i lavoratori intimati.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

Col primo motivo di gravame la ricorrente lamenta violazione ed erronea applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 (art. 360 c.p.c., n. 3).

In particolare rileva che la Corte territoriale, dopo aver riconosciuto che i contratti a termine per cui è causa erano stati stipulati con riferimento alla previsione dell’art. 8 del CCNL 1994, integrato dall’accordo collettivo 25.9.1997, aveva ritenuto l’illegittimità dei contratti in questione sotto il profilo che la copertura autorizzatoria era esclusa per i contratti stipulati dopo il 30.4.1998; in tal modo incorrendo in un evidente vizio di violazione e falsa applicazione della normativa legale (L. n. 56 del 1987, art. 23), avuto riguardo alla pienezza della delega conferita dalla L. n. 56 del 1987, ed alla autonomia delle parti sociali in ordine alla individuazione di ipotesi ulteriori rispetto a quelle legislativamente previste.

Col secondo motivo di gravame la ricorrente lamenta violazione ed erronea applicazione dell’art. 1362 e segg. c.c. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

In particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva affermato la non incidenza, nel caso di specie, dell’accordo del 18.1.2001, sotto il profilo che questo non poteva valere come una sorta di legittimazione a posteriori dei contratti a termine stipulati successivamente alla suddetta fase autorizzatoria.

Col terzo motivo di gravame la ricorrente lamenta omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5).

In particolare rileva che la Corte territoriale aveva motivato in maniera assolutamente generica il mancato accoglimento dell’eccezione formulata dalla società di detrazione di quanto ricevuto dai lavoratori a titolo retributivo.

Posto ciò, rileva il Collegio che in corso di causa è stato depositato un verbale di conciliazione in sede sindacale in data 19.1.2009 concernente la controversia fra Poste Italiane e Ro.

V.; dal suddetto verbale di conciliazione, debitamente sottoscritto dalla lavoratrice interessata, oltre che dal rappresentante delle Poste Italiane s.p.a., risulta che le parti hanno raggiunto un accordo transattivo concernente la controversia de qua, dandosi atto dell’intervenuta amichevole e definitiva conciliazione a tutti gli effetti di legge.

Ad avviso del Collegio il suddetto verbale di conciliazione si palesa idoneo a dimostrare la cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse delle parti a proseguire il processo; alla cessazione della materia del contendere consegue pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso nei confronti della lavoratrice sopra indicata in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione in relazione alla quale, ed in considerazione della domanda originariamente formulata, va valutato l’interesse ad agire (Cass. S.U. 29 novembre 2006 n. 25278).

In definitiva il ricorso nei confronti della predetta dipendente deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse; tenuto conto del contenuto dell’accordo transattivo intervenuto tra le parti, si ritiene conforme a giustizia compensare integralmente tra le stesse le spese del giudizio di cassazione.

Il giudizio prosegue pertanto esclusivamente nei confronti della T. e del R..

Rileva il Collegio che il gravame proposto dalla società ricorrente è infondato e deve essere pertanto rigettato, anche se la motivazione della sentenza merita di essere parzialmente corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2.

Invero, secondo il costante insegnamento di questa Corte di Cassazione (Cass. sez. lav., 29.7.2009 n. 17651; Cass. sez. lav., 23.6.2009 n. 14657; Cass. sez. lav., 27.2.2009 n. 4840; Cass. sez. lav., 7.3.2005 n. 4862; Cass. sez. lav., 26.7.2004 n. 14011), specificamente riferito ad assunzioni a termine di dipendenti postali previste dall’accordo integrativo 25 settembre 1997, l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato. “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato” (v., fra le altre, Cass. sez. lav., 4.8.2008 n. 21062; Cass. sez. lav., 23.8.2006 n. 18378).

Non può pertanto condividersi la motivazione della Corte territoriale la quale ha posto a fondamento della propria statuizione l’assunto secondo cui non sarebbe consentito autorizzare un datore di lavoro ad avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali cui sono strumentali. La sentenza si muove quindi erroneamente nella prospettiva che il legislatore non abbia conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi, imponendo al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1, e ciò è in contrasto con quanto ripetutamente affermato da questa Corte e ribadito da ultimo dalle Sezioni Unite con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588.

Il ricorso tuttavia non può trovare accoglimento.

Invero nel quadro sopra delineato, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (e la Corte territoriale ha rilevato che, comunque, le parti sociali avevano convenuto di ritenere il perdurare delle condizioni sottese alla apposizione del termine “fino” al 30.4.1998), la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre, Cass. sez. lav., 23.8.2006 n. 18383; Cass. sez. lav., 14.4.2005 n. 7745; Cass. sez. lav., 14.2.2004 n. 2866). In particolare, quindi, come questa Corte ha più volte affermato, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. sez. lav., 1.10.2007 n. 20608; Cass. sez. lav., 27.3.2008 n. 7979; Cass. sez. lav., 23.8.2006 n. 18378).

In base al detto orientamento, ormai consolidato, ed al valore dei relativi precedenti, pur riguardanti la interpretazione di norme collettive (Cass. sez. lav., 29.7.2005 n. 15969; Cass. sez. lav., 21.3.2007 n. 6703), va confermata la nullità della apposizione del termine al contratto de quo, concluso, ex art. 8 CCNL 1994 e accordo collettivo 25.9.1997, successivamente al 30.4.1998, restando assorbita ogni ulteriore censura sul punto.

La giurisprudenza di questa Corte ha, infine, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo del 18.1.2001 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato; ed infatti, ammesso che le parti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25.9.1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione è comunque conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (in tal senso, Cass. sez. lav., 27.3.2008 n. 7979; Cass. sez. lav., 12.3.2004 n. 5141).

I primi due motivi di gravame non possono pertanto trovare accoglimento.

Del pari infondato è l’ulteriore motivo di gravame concernente l’accertamento all’aliunde perceptum.

Quanto alla richiesta di esibizione del libretto di lavoro, si rammenta che la L. 10 gennaio 1935, n. 112, istitutiva del libretto di lavoro, è stata abrogata ad opera del D.Lgs. 19 dicembre 2002, n. 297, art. 8, lett. A).

Quanto alle ulteriori richieste di esibizione rileva il Collegio che la deduzione all’aliunde perceptum quale fatto idoneo a limitare la responsabilità risarcitoria del datore di lavoro presuppone la allegazione e dimostrazione da parte dello stesso, in quanto soggetto interessato ad ottenere la suddetta limitazione, dello svolgimento da parte del dipendente di una diversa attività lavorativa e quindi dell’esistenza di ulteriori fonti di guadagno idonee a determinare una riduzione del danno.

In assenza di siffatta allegazione e dimostrazione, la richiesta di parte datoriale di esibizione di documenti non puòtrovare accoglimento assumendo una funzione meramente esplorativa e risolvendosi in buona sostanza nell’esenzione della parte dall’onere probatorio posto a carico di tale parte.

Ne consegue che neanche sotto questo profilo il ricorso può trovare accoglimento.

Il gravame proposto va pertanto rigettato ed a tale pronuncia segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti di Ro.

V. e compensa fra la stessa e la società Poste Italiane s.p.a.

le spese processuali; rigetta il ricorso nei confronti di T. A. e R.L. e condanna la ricorrente alla rifusione nei confronti degli stessi delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 38,00, oltre Euro 2.500,00 (duemilacinquecento) per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, il 25 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2010

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