Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9252 del 06/04/2021

Cassazione civile sez. III, 06/04/2021, (ud. 11/11/2020, dep. 06/04/2021), n.9252

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35567/2019 proposto da:

A.M., elettivamente domiciliato in Modugno, via Cavour 11,

presso lo studio dell’avv. ATTILIO CONVERSO, che lo rappresenta e

difende per procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE REPUBBLICA TRIBUNALE BARI;

– intimato –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO

PROTEZIONE INTERNAZIONALE;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1285/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 30/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/11/2020 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1- A.M. propone ricorso notificato il 28.10.2019 avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari, n. 1285/2019, pubblicata il 16.4 2019.

Il ricorrente, proveniente dal (OMISSIS), in particolare dalla regione del Punjab, riferisce la propria vicenda giudiziaria e personale, dichiarando di essere giunto in Italia a seguito di una violenta alluvione che colpì il suo villaggio nel 2010, causando la distruzione della sua casa e la morte di molti familiari. Il padre, sopravvissuto, per assicurargli un futuro lo faceva fuggire.

2- Il ricorrente impugnava innanzi al Tribunale di Bari il provvedimento emesso dalla Commissione territoriale di diniego delle forme protezione internazionale (status di rifugiato, o, in subordine, protezione sussidiaria ovvero umanitaria) da lui richieste. Il Tribunale rigettava integralmente il ricorso.

3- La corte d’appello confermava il rigetto di tutte le domande, affermando che dalla documentazione ufficiale consultata non risultava che nessun alluvione avesse colpito la regione di provenienza del ricorrente nel corso del 2010; escludeva che la regione del Punjab fosse caratterizzata da una situazione di violenza indiscriminata e riteneva che il ricorrente non avesse dato sufficiente prova di aver compiuto una percorso di integrazione in Italia tale da sostanziare la domanda di protezione umanitaria.

L’ A. propone ricorso avverso detta sentenza articolando sei motivi di ricorso.

Il Ministero dell’Interno, controricorrente, ha depositato atto con il quale comunica la sua disponibilità a partecipare alla discussione orale.

La causa è stata avviata alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.

Diritto

RITENUTO

che:

con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 4 e 5 e 8 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Con le riferite censure si assume violato il dovere di cooperazione (e conseguentemente il diritto all’effettività della tutela giurisdizionale, per come riconosciuta all’art. 47 della Carta di Nizza), poichè il Giudice dell’appello ha ritenuto non credibili le versioni riferite in primo grado ed in sede territoriale dal ricorrente formulando un mero giudizio di non credibilità soggettiva, mentre avrebbe dovuto procedere ad una attività istruttoria officiosa per valutarne la credibilità.

In particolare, avrebbe valutato la situazione di pericolosità del Pakistan sulla base di informazioni generiche e obsolete, che non rispecchiavano assolutamente la situazione del paese. La valutazione negativa inoltre non teneva conto di alcune fonti più recenti, prodotte dal ricorrente già nel corso del giudizio di primo grado, dalle quali emergeva una ben diversa e più grave situazione.

Denuncia che, per questo motivo, la pronuncia impugnata sia anche affetta da un deficit motivazionale, a causa dell’omesso esame di un fatto decisivo, consistente nelle fonti aggiornate da lui prodotte.

Contesta poi la veridicità dell’affermazione della corte d’appello, secondo la quale nessuna alluvione si sarebbe verificata in Pakistan nel 2010 e cita alcune fonti dalle quali risulta al contrario il verificarsi nel 2010 di una gravissima alluvione, che danneggiava oltre 20 milioni di persone causando oltre 2000 morti. Il motivo è fondato e va accolto.

La decisione non si conforma al principio di diritto già enunciato da questa Corte, secondo il quale in tema di protezione internazionale, il dovere di cooperazione istruttoria del giudice, che è disancorato dal principio dispositivo e libero da preclusioni e impedimenti processuali, se presuppone l’assolvimento da parte del richiedente dell’onere di allegazione dei fatti costitutivi della sua personale esposizione a rischio, comporta però ove tale onere sia stato assolto, il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, e in quali limiti, nel Paese di origine del richiedente si verifichino fenomeni tali da giustificare l’applicazione della misura, mediante l’assunzione di informazioni specifiche, attendibili e aggiornate, non risalenti rispetto al tempo della decisione, che il giudice deve riportare nel contesto della motivazione, non potendosi considerare fatti di comune e corrente conoscenza quelli che vengono via via ad accadere nei Paesi estranei alla Comunità Europea (vedi in questo senso, tra le altre, Cass. n. 11096 del 2019).

L’obbligo di attivare la propria cooperazione istruttoria, a fronte della specifica allegazione da parte del migrante della esistenza di una situazione di pericolo diffuso o di violenza indiscriminata nel proprio paese di origine, non è soddisfatto dal generico riferimento a fonti di informazione che, di per sè, promanando da organismi pubblici o anche da associazioni private che si occupino professionalmente di ricostruire e aggiornare la situazione politica, sociale, economica nei paesi del mondo, sarebbero attendibili, se l’informazione tratta non è anche contestualizzata nel tempo in modo tale da consentire la verifica che essa sia anche aggiornata, ovvero sia idonea ad identificare compiutamente la situazione all’attualità nel paese di provenienza.

Con il secondo motivo, lamenta l’omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione al prospettato rischio di subire un danno grave alla persona in caso di rimpatrio, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b).

Sostiene che non sia condivisibile la conclusione cui è pervenuta la corte d’appello, nel senso di escludere il rischio che il ricorrente possa essere sottoposto, tornando in patria, a trattamenti inumani o degradanti per la sola presenza di gruppi terroristici operanti sul territorio. Cita diffusamente in proposito il rapporto Easo 2018 e critica la decisione impugnata per non aver preso in considerazione l’aggravarsi della situazione, nonostante la stessa fosse stata denunciata e documentata con una produzione telematica.

Lamenta inoltre che non si sia tenuto in adeguato conto la presenza di una minaccia derivante dal conflitto armato interno o dalla violenza indiscriminata.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 4, 5 e 6 e art. 14, lett. b), nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

Con il quarto motivo, denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo, consistente nei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

In particolare, denuncia che la corte d’appello non avrebbe valorizzato il percorso di integrazione compiuto in Italia dallo straniero e che non abbia tenuto conto della documentazione lavorativa depositata, nè dei suoi denunciati problemi di salute.

Con il quinto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 2986 del 1998, art. 5 comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3.

A proposito del mancato riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria, lamenta che la corte territoriale non abbia tenuto conto di una documentazione attestante la sua regolare attività lavorativa.

Infine, con il sesto motivo lamenta che la corte d’appello abbia rigettato la sua domanda di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

Il sesto motivo è inammissibile.

Il provvedimento di revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, comunque pronunciato (sia con separato decreto che all’interno del provvedimento di merito) o il provvedimento di rigetto della domanda di ammissione al patrocinio devono essere sempre considerati autonomi e di conseguenza soggetti al loro, separato, regime di impugnazione ovvero l’opposizione del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170 e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 15. Contro tale provvedimento è ammesso il ricorso ex art. 111 Cost. mentre è escluso che della revoca irritualmente disposta dal giudice del merito possa essere investita la Corte di cassazione in sede di ricorso avverso la decisione. Va quindi dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione contro la revoca dell’ammissione, o contro il rigetto della ammissione proposto unitamente all’impugnazione della statuizione di rigetto della domanda di protezione sussidiaria ed umanitaria (in questo senso già Cass. n. 16117 del 2020).

Il primo motivo va quindi accolto, e i restanti motivi da 2 a 5 rimangono assorbiti, in quanto la corte d’appello dovrà rinnovare, uniformandosi ai principi di diritto sopra richiamati, la valutazione relativa alla protezione sussidiaria richiesta. Atteso che dovrà essere rinnovata la valutazione sulla sussistenza del diritto alla più ampia protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. c), nel caso in cui questa, a conclusione del nuovo esame del merito, non potesse essere concessa, il giudice dovrà provvedere a verificare se sussistono i presupposti della residuale protezione minore. Il sesto motivo è invece inammissibile.

La sentenza è cassata e la causa rinviata alla Corte d’Appello di Bari in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo, dichiara assorbiti i motivi dal secondo al quinto, dichiara inammissibile il sesto, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Bari in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 11 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2021

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